Direzione didattica di Pavone Canavese

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Un intervento sulla polemica Russo-Maragliano
a cura di
Andrea Bagni (docente di Istituto Tecnico Commerciale - Prato)

Se n’è molto discusso sui giornali di sinistra questa primavera e davvero viene fuori dal saggio di Lucio Russo "Segmenti e bastoncini" (Feltrinelli pp. 139, L.22000) un’idea di scuola semplice e a suo modo affascinante: la società moderna è ormai divisa in pochi produttori consapevoli dei processi e competenti e un mare di consumatori ignoranti (o esperti di libretti d’istruzioni). La scuola italiana si sta adeguando a questo modello "americano" e si fa facile distributrice di istruzioni per l’uso, avendo rinunciato ad essere selettiva per diventare accogliente, socializzante, fondata sulla libera scelta del cliente.

Si tratta di un ragionamento assai radicale e coerente che riconduce la realtà sociale ad un solido principio socio-economico di fondo, una specie di nuovo "piano del capitale" (ma qui nel progetto della borghesia multinazionale finisce l’idea democratica di scuola, chi sta dalla parte del popolo dev’essere severo e selettivo).

La società, tuttavia, è un po’ più complicata.

Pochi produttori stabili e molti variamente precari, di un sottolavoro insicuro, flessibile e sempre meno garantito. Un lavoro che esiste – se non altro come problema – e chiede comunque una formazione. Per certi versi, paradossalmente, "politica", cioè più alla società che alla produzione (ad una produzione sempre più sociale).

D’altra parte basterebbe dare un’occhiata alle statistiche per avere qualche dubbio sulla scuola che ha rinunciato a selezionare. Forse proprio nei mitici licei classici, ma perché si è preselezionato prima (qualcuno vada a vederli gli scrutini dei professionali o nei tecnici, la vedrà la scuola dell’accoglienza e della socializzazione…). Alla fine tutto il ragionamento di Russo sfocia nella richiesta di conservare una formazione seria per una minoranza (per quanto non di specialisti) e riconoscere il "diritto all’ignoranza" per gli altri; non sarebbe una scuola di classe perché fondata sulla "libera scelta" di un impegno responsabile. (E se questa è sinistra, come sarà la destra?).

L’equivoco è ritenere che la scuola pre-68 (vero oggetto del desiderio) fosse selettiva perché di classe, non di classe perché selettiva. Quasi mancasse una vera meritocrazia, mentre semplicemente meritavano solo gli "appartenenti alla ditta": giustamente, essendo coloro per i quali quella scuola avesse senso. Cioè potesse generare passioni o dovere.

La vecchia scuola d’élite ha risposto "alle masse" spengendosi, accumulando contenuti in un’enciclopedia impazzita da trasmettere burocraticamente, serializzando i processi d’apprendimento per tenerli sotto controllo, come nel vecchio taylorismo - altro che libera scelta dello studente-cliente-consumatore. E continuando ad escludere. Anche la scuola dello psicologo e dei cic è un’ulteriore articolazione para-assistenziale, pervasiva di ulteriori spazi di vita, della megamacchina di controllo e trasmissione di conoscenze preconfezionate. Altra faccia della stessa medaglia.

Ma la questione seria, sollevata da Russo in pagine lucide e interessanti, è come passare dalla scuola degli assaggi di un po’ di tutto, magari "aggiornati", ad una scuola delle "grammatiche profonde" del sapere, proprio per non perdersi nella frammentazione dei saperi.

Però allora è indispensabile anche alleggerire i contenuti, gli orari, liberarsi dall’ossessione delle certificazioni, per approfondire, trovare tempi distesi per la cura e la passione della conoscenza . Ed è possibile che i "tempi moderni", segnati dalla differenza femminile e dall’ambientalismo, da codici nuovi e antichissimi (informatica e immagini, oralità, corpi ed emozioni) non chiedano e offrano un nuovo paradigma dell’apprendimento, articolato su nuove preconoscenze di ragazzi e ragazze?

Oggi si può fare riferimento per la scuola ad una riflessione e ad un modello di scienza capaci di pensare l’evoluzione, il caso, la scoperta e l’imprevisto, i tentativi e gli errori. Si può riconoscere l’intreccio di immaginazione e rigore, ricerca e formalizzazione, in processi d’apprendimento non "versativi", meccanici, lineari ma circolari e vivi, biologici e biografici.

Se tutta la discussione oscilla fra cosa dare agli studenti e cosa chiedere indietro, schierati in difesa delle classiche, solide discipline o puntando tutto sulla magia delle nuove metodologie multimediali, Russo e i mitici saggi guidati da Maragliano finiscono per allearsi nel restare del tutto estranei al fare scuola reale. Che avviene in un "campo magnetico" di ricerca ed elaborazione di significati comuni, ed è costruzione non semplice trasferimento di contenuti. Una ricerca di sapere e di senso giocata nel presente di uno spazio "ravvicinato" culturale e politico, non solo in vista del passato della nazione (anzi della patria, come dice una delle "appendici" al saggio di Russo) o del futuro della competizione globale.

Un’esperienza curiosa ma assai interessante è leggere Segmenti e bastoncini insieme a un’opera collettiva uscita quasi nello stesso momento, Buone notizie dalla scuola, curata da Lelario, Cosentino, Armellini per Pratiche editrice (pp. 278, L.28000). Viene fuori la possibilità di un’altra teoria della scuola, senza tecnicismi pedagogici, "assistenzialismo sociale" o nostalgie gentiliane. E’ un libro di insegnanti - fatto pressoché rivoluzionario - e insegnanti abbastanza "felici"; che sanno come la scuola non sia luogo neutro in cui si incontrano semplicemente domanda e offerta di un bene (magari il prezioso capitale conoscitivo della società postfordista), da attraversare con un pacchetto di conoscenze predefinite o metodologie illuminate e "scientifiche".

E’ la rete di relazioni attraverso cui una tradizione si trasmette e si misura. Magari si trasforma, cioè vive, entrando in gioco. In un bel gioco - diciamolo dopo tante dichiarazioni di sfascio scolastico – che forse occorrerebbe ricominciare a raccontare e ascoltare, prima di giudicare, riformare, restaurare.