Direzione didattica di Pavone Canavese

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L' intervento dell'ispettore Giancarlo Cerini

è ripreso (per gentile concessione dell'editore e dell'autore)

dalla Rivista I diritti della scuola

(n. 1 del 1.09.1998)

I diritti della scuola è pubblicata dal gruppo editoriale Petrini

Primi passi sui sentieri dell’autonomia

L’avvio dell’autonomia coincide con l’esigenza di sviluppare in termini qualitativi la riforma della scuola elementare. Le opportunità offerte dai nuovi progetti sperimentali.
L’anno scolastico che si apre ci fa muovere un altro passo in avanti sulla strada dell’autonomia. Ormai assodato che l’autonomia organizzativa e didattica (quella che ci interessa più da vicino) decorrerà dal 1° settembre 2000 (mai data fu più fatidica!) restano da definirne gli esatti contorni.

 

Domande e interrogativi

Ma cosa significa – in concreto – "avere" l’autonomia ? Cosa succederà – di nuovo – nelle nostre classi? Come cambierà – si spera in meglio – il nostro lavoro?

Altre domande, ancora più urgenti, si impongono per questi due anni di transizione verso il nuovo: il 1998/99 e il ’99/2000. Come ci prepariamo all’autonomia?

Quali opportunità ci vengono offerte per vivere (possibilmente da protagonisti e non da spettatori) questa nuova stagione? E tutto questo, come si collega alle tante proposte di cambiamento annunciate in questi mesi dall’"ipercinetico" Ministro Berlinguer? In particolare, come si presenta la scuola elementare all’appuntamento con la Grande Riforma? E che uso fare dell’esperienza accumulata in oltre 10 anni di intensa innovazione, sospinta dai Nuovi Programmi (1985) e dai Nuovi Ordinamenti (1990)?

Le domande sono fin troppe e rischiano di provocare un vero e proprio "effetto disorientamento" tra insegnanti che forse si aspettavano alcuni anni di quiete, dopo i tanti cambiamenti vissuti dalla scuola primaria. Molti sembrano chiudersi in un mutismo elettivo (stiamo a vedere come andrà a finire) o addirittura tentano la via dell’esodo (sempre più difficoltosa).

Noi siamo però per il pensare "positivo". Siamo convinti che un giusto tasso di innovazione (magari senza stress e con qualche risorsa certa) faccia bene alla scuola, possa migliorarne la qualità e che – a lungo andare – tutto questo non potrà che portare vantaggi anche agli insegnanti. È vero, gli insegnanti (e anche i maestri) sembrano vivere un periodo di stanchezza e di delusione. Stando ai risultati di una recente ricerca commissionata alla Doxa sugli atteggiamenti dei maestri, anzi ormai delle maestre, il motivo principale dell’insoddisfazione è la scarsa "visibilità" del mestiere dell’insegnante: insomma, al di là della cerchia degli addetti ai lavori, non si riesce a far vedere e a far capire l’importanza di quello che avviene tra le pareti della scuola. Questo – a dire il vero – è un "difetto" che la riforma delle elementari non è mai riuscita a scrollarsi di dosso. Ancora oggi capita di leggere di una "riforma cinica", di "tre maestri al posto di uno", di sprechi inenarrabili e via di questo passo.

Nonostante tutto però, alla domanda "strategica": "ma tu, questo lavoro lo rifaresti?" oltre l’80% risponde positivamente. Il dato, confermato da altre indagini, testimonia l’attaccamento dei maestri alla loro professione (e questo è un punto di forza della scuola elementare) e segnala comunque una crescita della professione magistrale, anche a seguito della riforma del 1990. Non è certo più il tempo della "maestrina" dalla penna rossa... L’avvio, nelle prossime settimane, dei Corsi di Laurea per insegnanti elementari e la scomparsa dell’Istituto Magistrale rappresentano il suggello di questo cambiamento epocale.

 

Orientarsi nel mosaico

Non spaventiamoci, dunque, di fronte all’apparente accavallarsi dei messaggi innovativi. Cerchiamo piuttosto di leggerli con serenità, di metterli in relazione tra di loro, e soprattutto di rapportarli con il nostro lavoro quotidiano. Alla fine, ci appariranno assai meno oscuri di quanto pensavamo, anche perché l’"ambiente riforma" ci ha già allenato a queste innovazioni. Dovendo scegliere tra le tante tessere della "strategia del mosaico" predisposta dal Ministro della Pubblica Istruzione, tre appaiono quelle "portanti": l’autonomia, i saperi, i cicli. È emblematico che su ciascuna di esse il Ministro abbia sentito l’esigenza di promuovere ampie consultazioni nel mondo della scuola, come già avvenne per le ipotesi di sviluppo della riforma.

Se la tessera "autonomia" è quella più concreta, trattandosi di una legge (la n. 59 del 15-3-1997) ormai in via di attuazione, la tessera "saperi" è appena in fase di incubazione (a partire dai diversi documenti della Commissione dei Saggi), mentre la tessera "cicli" sembra oggi più sullo sfondo (dopo l’accelerazione impressa lo scorso anno da Berlinguer con la proposta di riordino complessivo).

Da dove cominciare? Ovviamente dall’autonomia, con i progetti sperimentali di cui parleremo tra poco, ma senza dimenticare che la tessera "regina" è quella dei saperi. Solo interrogandoci a fondo sugli obiettivi formativi della scuola, sui contenuti culturali da presentare in classe, sulle competenze da sviluppare nei ragazzi, potremo poi muoverci con correttezza tra gli spazi di flessibilità consentiti dall’autonomia. Altrimenti sarà un’autonomia senza progetto, senza quelle garanzie di omogeneità del diritto alla formazione da realizzare in tutte le scuole del nostro paese. L’autonomia ha dunque bisogno di alcuni punti di riferimento stabili, definiti a livello nazionale, rispetto ai quali far agire le scelte "locali". Si tratterà di standard di apprendimento dei ragazzi ("quali sono i livelli di competenza considerati accettabili?") e di standard di funzionamento della scuola ("quali sono le caratteristiche essenziali di una buona scuola elementare?").

 

Gli standard di funzionamento

Mentre sul primo aspetto sta lavorando il sistema nazionale di valutazione (costituito presso il Cede di Frascati), sul secondo è in preparazione un primo documento di orientamento, a cura del Ministero della Pubblica Istruzione, che ricorda alle scuole alcuni punti irrinunciabili della Riforma del 1990 (la pluralità docente, il tempo scuola "disteso", l’organizzazione modulare) da mantenere anche all’interno di progettazioni organizzative molto più originali di quelle previste dalle disposizioni attuali. Questi "paletti" sono poi necessari anche per gestire l’organico funzionale di circolo, specie nelle situazioni di maggiore sofferenza (ad esempio nei plessi di piccole dimensioni, con organico ridotto), senza scardinare l’attuale organizzazione didattica (è improponibile ritornare al docente unico o ridurre l’orario di funzionamento), ma senza "ingessare" la struttura modulare. Saranno invece da studiare formule organizzative più elastiche, ad esempio mediante la costituzione di un unico team di plesso, la gestione di attività in interclasse, il tendenziale superamento della rigidità della classe (specie se formate da un numero ridotto di alunni).

È ovvio che la definizione di standard di funzionamento (una sorta di modello medio nazionale) richiederà un solido supporto normativo (una circolare non basta), visto che tali indicatori dovranno prendere il posto degli attuali ordinamenti, delegificandoli. È inoltre auspicabile che la individuazione di tali indicatori avvenga non dall’alto, ma in stretto rapporto con le scuole, anzi, ascoltando e interagendo con le scuole migliori. Il prossimo "monitoraggio" dell’autonomia (affidato dalla CM 239/98 agli Irrsae) dovrebbe riuscire proprio a scovare le good practices, cioè le migliori esperienze in fatto di organizzazione didattica.

È assai utile, in questa prospettiva, che ogni circolo sviluppi una propria capacità di autoanalisi, cioè di riflessione "strumentata" e documentata sui propri punti di forza e di debolezza, magari scegliendo un campo limitato di osservazione.

Non sono novità assolute per la scuola. Si tratta di riprendere e dare nuovo respiro a strumenti che, in parte, dovrebbero essere stati elaborati a partire dalla Carta dei Servizi, che invitava le scuole a individuare i fattori di qualità (cioè le caratteristiche portanti del servizio), i relativi indicatori (cioè la loro descrizione operativa) ed i connessi standard (cioè le soglie fanno ritenere soddisfacente quanto realizzato).

Una scuola capace di acquisire informazioni sul proprio modo di operare (processi) e sui risultati via via raggiunti, è già sulla strada dell’autonomia, perché in grado di regolare per tempo e a ragion veduta le proprie scelte. Non dimentichiamo che prima dell’autonomia organizzativa e didattica viene l’autonomia di ricerca, cioè la capacità di porsi le domande giuste sull’apprendimento dei bambini, sul senso delle discipline, sulla qualità dei metodi. Solo dopo – e di conseguenza – verranno le decisioni organizzative, come ben sappiamo noi della scuola elementare, perché qualche volta ci siamo lasciati prendere la mano dagli schematismi dei moduli.

 

Standard e indicatori di apprendimento

Sul versante degli standard di apprendimento si dovrà procedere in modo sostanzialmente analogo.

L’apertura di un dibattito in grande stile (un po’ forzato) sui "saperi fondamentali" (costituzione della Commissione dei 44 saggi, elaborazione di documenti, polemiche tra gli accademici ecc.) non deve lasciare in ombra il seguito della "manovra": la costituzione di appositi gruppi di lavoro (formati dai saggi, ma anche e soprattutto da insegnanti) con il compito di elaborare curricoli verticali, coerenti e in continuità dai 3 ai 18 anni, con una più precisa esplicitazione degli obiettivi formativi, cioè delle competenze da promuovere nei ragazzi, in virtù del loro incontro con le discipline di studio.

La stessa struttura dei programmi è destinata a modificarsi, con l’abbandono dell’impianto eccessivamente narrativo e l’emergere di una più puntuale descrizione di indicatori di competenze, sotto forma di enunciati, verbi, operazioni, abilità. Un’ulteriore caratteristica dei nuovi curricoli sarà la loro sobrietà (cioè la selezione di obiettivi formativi portanti e lo sfrondamento dei contenuti), dovuta ad un ripensamento culturale del progetto formativo e all’esigenza di lasciare uno spazio adeguato alle scelte "locali" .

Si fa strada l’idea di un vero e proprio curricolo di scuola, ove a fianco delle discipline fondamentali (circa il 70 % del monte-ore annuo obbligatorio) troveranno spazio le discipline opzionali (all’incirca il 20 %) e quelle elettive, cioè elaborate in loco (almeno il 10%), oltre ad una fascia aggiuntiva facoltativa (variabile a seconda delle esigenze locali, degli interessi, delle domande degli utenti).

Ma è sul lato degli standard di apprendimento (e quindi dei risultati attesi) che si registreranno le maggiori novità. Il Servizio di valutazione, che già sta operando in tal senso avvalendosi di una rete di scuole elementari "corrispondenti", metterà via via a disposizione test, item e prove strutturate per consentire alle scuole di raccogliere dati e informazioni sui livelli di apprendimento e favorire il confronto con situazioni simili.

Il trattamento statistico dei dati permetterà di delineare l’andamento reale degli apprendimenti (media, scarti, distribuzione ecc.) e di delimitare (a posteriori) gli standard di fatto. La parallela costruzione di standard di progetto (cioè di ipotesi a priori sul livello ottimale degli apprendimenti, operazione – questa – affidata alle commissioni di esperti) indicherà lo spazio di miglioramento possibile per ogni scuola.

Il meccanismo sembra ben "oliato", ma sta suscitando notevoli preoccupazioni tra i docenti che temono l’eccessiva rigidità e la costrizione dovuta a standard considerati "intrusivi" della propria libertà didattica. Tra l’altro – si fa notare – l’uso massiccio di test oggettivi potrebbe ingenerare un appiattimento delle prestazioni dei ragazzi, il loro convergere verso una presunta "normalità", a scapito della qualità/originalità dei processi di apprendimento.

Inoltre – aggiungiamo noi - maneggiare prove strutturate (o addirittura standardizzate) comporta una competenza docimologica non sempre presente nelle nostre scuole. Una ragione in più per impegnarsi in un serio processo di ricerca sulla valutazione (nonostante le disavventure delle schede per i genitori), magari a partire dalla elaborazione "locale" di prove semistrutturate di valutazione, che lasciano meglio intravedere (rispetto a quelle strutturate) i processi di pensiero che portano gli alunni a fornire certi tipi di risposte piuttosto che altre. Si tratta infatti di prove per verificare l’apprendimento, costituite da stimoli chiusi (non ambigui, ad interpretazione univoca), ma a risposte aperte (non prevedibili e predeterminate dall’insegnante, ma originali, entro i limiti e/o i criteri previsti: vedi tabella in questa pagina).

 

Strumenti operativi per l’autonomia

La progressiva attuazione dell’autonomia, che si avvia da quest’anno con la formula sperimentale dei micro-progetti di innovazione (CM 239/98) rappresenta il nuovo ambiente operativo entro cui far evolvere la riforma della scuola elementare.

Anzi, l’autonomia organizzativa e didattica, che porta con sé in corredo ampi margini di discrezionalità/flessibilità delle soluzioni didattiche, può aiutarci anche a superare concretamente quei limiti dell’organizzazione modulare (rigidità, frammentazione, artificiosità) più volte segnalati in questi anni e da ultimo, autorevolmente, dalla verifica parlamentare (Camera dei Deputati, maggio 1997).

La gestione dei nuovi margini di flessibilità dovrà però rispondere a criteri di qualità, cioè essere pensata in funzione di un effettivo miglioramento dell’ambiente didattico e non rispondere semplicemente a spinte e controspinte, spesso di carattere strumentale.

Ad esempio, si può anche optare per la settimana corta (già adesso lo si può fare), ma solo se questa scelta si accompagna ad una migliore e più equilibrata distribuzione dei tempi scolastici nell’arco della settimana, evitando forzature e compressioni a danno dei tempi di vita e di apprendimento dei bambini. Organizzarsi su 5 giorni, nella prospettiva delle 30 ore, implica l’attivazione di almeno tre rientri pomeridiani (o meglio, di permanenze) con servizi di mensa, trasporti, spazi adeguati ecc.

L’autonomia però ci invita a essere ancora più coraggiosi, a ripensare al concetto stesso di calendario scolastico, a una distribuzione delle giornate di attività didattica molto più mobile delle scadenze fissate regionalmente dalle singole Sovrintendenze scolastiche (data di inizio) e nazionalmente dallo stesso Ministro (data unica di chiusura).

In questo campo dobbiamo aspettarci prossimamente importanti novità, tenendo conto che l’unico vincolo previsto dall’art. 21 della L. 59/97 si riferisce al monte-ore annuo del curricolo.

Sul tema si nota una estrema prudenza del Ministero (CM n. 182 dell’8-4-1998) che tra l’altro si riferisce ancora impropriamente alla sola variabile dei 200 giorni minimi di lezione (e il tempo pieno allora ?).

In attesa di indicazioni normative più convincenti vale comunque la pena di sfruttare appieno tutte le possibilità offerte dall’attuale calendario scolastico (ad esempio, aprendo determinate finestre nel corso dell’anno – rispettando i 200 giorni – e in cui, non essendo gli alunni impegnati in attività a scuola, gli insegnanti potrebbero fruire di brevi periodi sabbatici per partecipare a corsi, stage, iniziative di formazione ecc. Le eventuali delibere dei consigli di circolo dovranno comunque interpretare correttamente le norme emanate dal locale Sovrintendente.

In qualche ambiente si è anche ventilata l’idea di smontare l’attuale anno scolastico (da settembre a giugno) per farlo coincidere con l’anno solare, con un ritmo assai diverso degli insegnamenti. Non ci aspettiamo tanto; i tempi non sembrano maturi (e poi non è detto che la nuova soluzione sia più efficace della precedente), ma che si dia la possibilità alle scuole di attuare con coraggio quanto previsto dalla L. 59/97 (secondo le forme sperimentali "coperte" con il DM 765/1997).

 

Tra discipline, orari e team

Un discorso assai concreto riguarda la gestione su base annua del tempo attribuito alle diverse discipline del curricolo. Come è noto, a seguito della riforma del 1990 furono emanate direttive con DM 10-9-1991 che stabilivano una tabella degli orari minimi di ciascuna disciplina su base settimanale, rispetto ai quali il Collegio avrebbe dovuto individuare le soglie massime. Si determinava così una banda di oscillazione entro la quale ogni team si ritagliava il tempo settimanale per le diverse discipline (solo in qualche caso, aggregate per "ambito").

Questo meccanismo, alla prova dei fatti, si è dimostrato meno liberatorio di quanto previsto, incentivando una organizzazione didattica spesso del tutto simile al modello orario a scacchiera della scuola secondaria. Ha forse facilitato la stabilizzazione degli ambiti e quindi la strutturazione delle competenze all’interno del team, ma con un effetto di cristallizzazione di ruoli, figure, competenze. L’attribuzione dei tempi alle discipline è risultata assai rigida e quasi immutabile nel tempo.

Si sono visti pochi esempi di variazione in itinere del tempo attribuito ad una disciplina (ad esempio, portare le ore di scienze da 2 a 4 per far fronte ad eventuali carenze degli alunni in tale apprendimento) e ancor meno la "semestralizzazione" degli insegnamenti (ad esempio, 4 ore settimanali di geografia solo per il 1° quadrimestre, 0 ore nel 2° quadrimestre).

L’organizzazione modulare, nata per consentire la modularità degli interventi didattici (che può comportare una diversa intensità e organizzazione degli insegnamenti o una diversa strutturazione del rapporto insegnante-classe, in favore di gruppi più mobili) ha finito invece con il mutuare gli aspetti più routinari dell’organizzazione didattica della scuola secondaria.

Non è detto che gli esempi che abbiamo riportato siano di per sé validi per la scuola elementare, ove le discipline hanno una loro plasticità e "porosità". Simili novità sono al momento in fase di sperimentazione nella rete di scuole superiori che aderiscono al cosiddetto "progetto 2002"; pur tuttavia, anche nella scuola elementare, una ricerca si impone sulla efficacia della distribuzione degli orari ai fini del miglior apprendimento per i ragazzi.

Ad esempio, come intervenire quando un ragazzo è in difficoltà in matematica ?

Le strategie di recupero sono le prime beneficiarie di un’autonomia ben progettata e orientata ai bisogni degli alunni. L’autonomia può suggerire l’invenzione di soluzioni organizzative (nel nostro caso, sotto forma di gruppi di livello, gruppi di recupero, attività aggiuntive, opportunità extracurricolari), ma dovrà sostanziarsi in autonomia di ricerca e di sviluppo, in questo caso in approfondimento delle questioni pedagogiche e didattiche connesse al mancato apprendimento.

 

Lunga vita al team docente

Anche l’organizzazione dei docenti in gruppi di insegnamento è fortemente stuzzicata dalle nuove possibilità offerte dall’autonomia. Il team rappresenta senza dubbio l’elemento di maggior novità della riforma del 1990 e di forte originalità rispetto al panorama europeo. Supera la genericità (la elementarità) della proposta formativa, evitando però la frammentazione della docenza in eccessivi specialismi (un fenomeno che si vorrebbe ora contenere anche nella scuola secondaria, attraverso la formula degli accorpamenti delle cattedre in macro-aree disciplinari).

Il monitoraggio della riforma ha messo in evidenza alcuni limiti delle soluzioni organizzative che si sono venute consolidando, soprattutto il fenomeno di una moltiplicazione inaspettata di figure docenti presenti in una classe (dal sostegno alla lingua straniera, dalla religione all’educazione fisica ecc.) e la casualità di certe combinazioni (moduli verticali, a scavalco, prevalenti ecc.). Si è aperta anche una riflessione più attenta alla diversificazione progressiva dei modelli organizzativi, che oggi appaiono del tutto simili sia in prima classe che in quinta.

Troviamo in queste esigenze il fondamento del concetto di organico funzionale di circolo (che la L. 59/97 estende a tutti gli ordini scolastici), anche se ha disturbato – in questo frangente – l’apparizione di concomitanti ragioni di contenimento della spesa per il personale. Al di là delle prospettive politiche e contrattuali, l’organico funzionale segna comunque una tangibile evoluzione dell’organizzazione didattica modulare, perché la svincola da formule precostituite (sempre e comunque 3 docenti ogni 2 classi, a prescindere dalla consistenza di quelle classi). La titolarità di circolo (e non più di plesso) può consentire infatti di distribuire le risorse professionali con criteri di maggiore equità e sulla base di effettivi bisogni. Di fronte a classi vicine ai 25 alunni (o a moduli vicini ai 50 alunni) si potrà potenziare il team con presenze aggiuntive (per rendere possibili articolazioni interne più agili); analogamente si potrà agire nei casi di situazioni problematiche oppure per sperimentare innovazioni didattiche. Ad esempio, perché non togliersi lo "sfizio" di un quarto ambito specifico sulle scienze o sulla multimedialità o sulle arti, magari nelle classi quinte interessate ad un progetto di raccordo e continuità verso le scuole medie?

Naturalmente, poiché le risorse sono limitate (in materia di organici si assiste da alcuni anni ad un rigoroso controllo), sarà necessario redistribuire con la massima equità posti all’interno del circolo, soppesando le effettive esigenze. Classi di dimensioni ridotte (attorno ai 10 alunni) potrebbero abbinarsi in gruppi più ampi, per lo svolgimento temporaneo di numerose attività (arricchendo, tra l’altro, il ventaglio delle relazioni sociali e cognitive degli allievi).

 

Una fase costituente per l’autonomia

Si apre quest’anno una fase "costituente" per l’autonomia, che si presenta come occasione per ripensare gli assetti della scuola elementare. Non si tratta di buttare all’aria ciò che di positivo (e con tanta fatica) si è realizzato in questi anni, ma di sviluppare l’organizzazione in senso qualitativo, cioè con criteri-guida di ordine pedagogico, rimettendo al centro del discorso le esigenze formative dei bambini.

È questo l’obiettivo prioritario che si dovrà perseguire attraverso l’utilizzo della Direttiva 238 del 19-5-1998 (e della relativa CM 239/98), che invita le scuole a presentare progetti sperimentali di avvio dell’autonomia. In fondo, il rischio dell’autonomia è quello di essere percepita solo come un accidente giuridico o amministrativo, buono tutt’al più per legittimare la dirigenza dei Capi di istituto o i nuovi poteri conferiti agli enti locali dalla Legge Bassanini. È necessario invece che l’autonomia abbia una sua "visibilità" in termini di immaginario positivo, di miglioramento della proposta della scuola, di successo della scuola e degli allievi, di benessere e di professionalità per gli operatori.

La riforma della scuola elementare soffre del medesimo problema; in questi anni è stata percepita quasi solo come cambiamento dei modelli organizzativi nel lavoro degli insegnanti, con scarsa visibilità della qualità delle esperienze vissute dai bambini. In un passo del documento sullo sviluppo della scuola elementare, presentato dal Ministro della P.I. nel dicembre 1996 e sottoposto ad un’ampia consultazione, ci si riferiva ai "progetti-qualità" da sostenere finanziariamente, anche d’intesa con gli Enti locali, per alimentare una progettualità didattica imperniata anche su oggetti "visibili", come le biblioteche (per promuovere il piacere della lettura), il laboratorio scientifico (per incentivare metodologie più operative), gli atelier (per stimolare l’educazione alla creatività), le stazioni multimediali (per incontrare le nuove tecnologie), i beni culturali e ambientali (per favorire il rapporto consapevole con il proprio territorio).

La Direttiva 238/98 (con la possibilità di presentare progetti innovativi entro il 30 settembre 1998) sembra oggi muoversi in questa direzione; non tanto per abbellire con qualche "fiocco" colorato un curricolo che rischia di restare grigio ed immutabile, ma proprio per qualificare le esperienze formative di base, curricolari, attraverso l’immissione di nuove idee, di motivazioni, di voglia di fare e, perché no, di qualche finanziamento aggiuntivo.

Nei prossimi mesi, il futuro della scuola elementare si intreccerà straordinariamente con il futuro dell’autonomia scolastica.

Anzi, con la sua recente esperienza innovativa, la scuola dei piccoli può contribuire a dare un indirizzo, un senso propositivo all’autonomia per gli altri livelli scolastici. La scuola elementare torna dunque a fare notizia: e sono – una volta tanto – buone notizie.