Da più parti emerge l'accusa di mancanza di una visione
sistemica nell'emanazione dei decreti delegati della legge 107/2015.
Emerge d'altro canto una coerenza sotto un altro punto di vista: diffusamente
troviamo modifiche che vanno ad inficiare la qualità della scuola, ottenendo dei
risparmi di spesa, magari nascoste sotto norme apparentemente innocue ad uno
sguardo superficiale o che nulla modificano dei pesanti tagli che la scuola
italiana ha subito negli ultimi decenni e in particolare dal ministero Gelmini
in poi.
Proviamo a prendere in considerazione alcuni dei decreti, in particolare quelli
che più incidono sulla possibilità della scuola di essere inclusiva.
Cominciamo dal decreto che ribadisce il principio più
importante: quello del diritto allo studio.
Raffaele Iosa, nel suo articolo comparso il 25 gennaio 2017 sul sito Pavone
Risorse: “A proposito di un decreto di cui non parla nessuno”, prova a
vedere il bicchiere mezzo pieno. Con ansia ho letto il suo articolo, nella
speranza di trovare qualche novità che potesse favorire la rimozione degli
ostacoli richiesta dall'articolo 3 della nostra Costituzione. Purtroppo, anche
guidato dalla sua lettura, non ho riscontrato grandi possibilità:
u Già nell'articolo 1 e 2 l'attribuzione agli enti locali delle funzioni soffre della tipica frase: “nei limiti delle risorse disponibili”, attualmente scarsissime, prospettando quindi la prosecuzione dell'attuale stillicidio in termini di perdita di servizi e di diritti
u Nell'articolo 4 l'abolizione delle tasse per l'iscrizione alle scuole secondarie di secondo grado è un'ottima cosa; peccato però che siano una piccola parte del contributo che viene attualmente chiesto alle famiglie per sostenere le spese delle scuole, dopo i drastici tagli subiti dai fondi di istituto; se non si prospetta quindi un ritorno dei finanziamenti dei fondi per l'offerta formativa e di quelli per il funzionamento la tassazione, occulta, rimane e aumenta, per coprire ciò che Stato ed enti locali non pagano più
u Gli articoli 5, 6 e 7, su trasporti, mensa e libri di testo, possono avere alcuni aspetti positivi, ma i paesi civili con livelli di imposizione fiscale simili al nostro forniscono questi servizi gratuitamente a tutti gli studenti; chi lavora in scuole collocate in territori deprivati dal punto di vista economico sa quanto questi elementi ostacolano gli apprendimenti e finanche la frequenza scolastica: orari di sei ore consecutive studiati per evitare i rientri pomeridiani e il pagamento della mensa, alunni che non rientrano il pomeriggio, classi di scuola media con quasi un terzo degli alunni senza libri, abolizione di scuole di montagna e trasporti assenti o carenti
u Articolo 9, borse di studio: vengono stanziati 10 milioni di Euro; abolendo l'assurdità dei 500 euro distribuiti a pioggia ai diciottenni, senza progettazione educativa e con alto rischio di un utilizzo poco edificante ne risparmieremmo 290 milioni. Potremmo rinforzare sia le borse di studio che le risorse a disposizione delle scuole per renderle più efficaci e ridurre la dispersione.
u Nell'articolo 13 si prospetta poi la collaborazione con “soggetti pubblici e privati per l'erogazione di ulteriori benefici”. Le erogazioni liberali per istituire borse di studio sarebbero un'idea sicuramente migliore di quelle destinate alle singole scuole, che non fanno altro che aumentare la disuguaglianza tra territori ricchi e zone disagiate.
A questo proposito rimando all'articolo di Cinzia Mion “A
proposito di voti”, sito Pavone Risorse, 20/01/2017, e a miei diversi
articoli, nonché ai miei due ultimi libri (Berretta, 2016, 2016) nei quali si
ricorda, tra l'altro, come la valutazione formativa è l'unica in grado di
determinare miglioramenti degli apprendimenti, mentre la valutazione
classificatoria (non importa se strutturata per numeri, aggettivi, lettere o
altro) produce danni e limita le possibilità di apprendimento autentico.
Di tutto questo non c'è traccia nel decreto 384. Si ribadisce invece, nell'art.
2, la votazione in decimi nel primo ciclo, uno degli aspetti pedagogicamente più
contestati della riforma Gelmini.
Nell'art. 3 troviamo solo due righe e mezza relative alla non ammissione, che
peraltro riguardano solo la scuola primaria e non modificano nulla di ciò che
già succede. Eppure sarebbe un tema pedagogico rilevante anche per la scuola
media, considerando che, dai dati della ricerca, emerge che la ripetenza di un
anno non produce quasi mai miglioramenti, anzi, è uno degli eventi più correlati
con l'abbandono scolastico. Nell'imponente lavoro di raccolta di ricerca di John
Hattie (2009, 2012) la bocciatura occupa la 148° posizione su 150 elementi presi
in considerazione come predittivi del successo scolastico ed è uno dei cinque
con segno negativo; solo quelli con punteggio superiore a + 0,40 vengono
considerati elementi che favoriscono l'apprendimento. Un disastro.Ciononostante
non troviamo nulla per la scuola secondaria di primo grado, malgrado il fatto
che sia il luogo per eccellenza produttore di dispersione scolastica. Quale
pensiero pedagogico c'è dietro una riforma che non affronta i nodi più critici
dell'insuccesso?
Per quanto riguarda gli allievi con disabilità troviamo la modifica più
sconcertante: l'art. 12, comma 5 recita:
“Le
prove differenziate, se equipollenti a quelle ordinarie, hanno valore ai fini
del superamento dell'esame e del conseguimento del diploma finale.”
Nell'art. 11, comma 12 dell'OM 90/2001, coerentemente con l'art 16, comma 2
della legge 104/1992, non si richiedevano prove equipollenti per ottenere il
diploma di licenza media e si
contemplava il rilascio di un attestato di credito formativo solo nel caso di
mancato raggiungimento degli obiettivi del PEI.
Nel DPR 122/09, articolo 9, comma 2 troviamo che “Le
prove differenziate hanno valore equivalente a quelle ordinarie ai fini del
superamento dell'esame e del conseguimento del diploma di licenza.”
Quindi si fa un passo indietro dal punto di vista dell'inclusione. Qual è lo
scopo? Nell'ambito di quale progetto complessivo si inseriscono queste scelte?
Oppure si tratta di disattenzione o incompetenza?
A questo proposito suggerisco la lettura dell'articolo di Flavio Fogarolo:
“Pugno duro solo verso gli alunni con disabilità?”, comparso sul sito Pavone
Risorse in data 19/01/2017.
Nell'art. 1 il decreto sembra partire abbastanza bene: “Il
percorso formativo ha l'obiettivo di rafforzare le metodologie didattiche dei
saperi disciplinari e le specifiche competenze della professione di docente, in
particolare pedagogiche, relazionali, valutative e tecnologiche, integrate in
modo equilibrato con i saperi disciplinari, nonché a rafforzare la capacità di
progettare percorsi didattici flessibili e adeguati al contesto scolastico, al
fine di favorire l'apprendimento critico e consapevole e l'acquisizione delle
competenze da parte degli studenti.
Al comma 4 aggiunge poi: I contenuti e le attività del percorso formativo
sono coordinati con la formazione continua in servizio dei docenti”. Sarebbe
stato però preferibile un riferimento più chiaro al fatto che i “percorsi
didattici flessibili” hanno lo scopo di favorire l'apprendimento di “tutti” gli
studenti in un'ottica inclusiva.
Nel comma 5 arriva comunque la solita limitazione: “Dall'attuazione del
presente provvedimento non devono derivare ulteriori oneri per la finanza
pubblica tenuto conto anche delle risorse previste dal presente decreto.” La
solita pretesa di attuare riforme a costi ridotti in un paese dove gli
investimenti per la scuola sono tra i più bassi d'Europa.
Di nuovo Flavio Fogarolo, in un articolo comparso sul sito Superando.it,
in data 26/01/2017, dal titolo
Carriere separate per il sostegno? No, blindate! fa poi emergere come
l'abbandono dell'idea di laurea differenziata, prevista dalla proposta di legge
2444 FISH-FAND,
non sventa, nella scuola secondaria, il pericolo di avere figure professionali
così diverse da rendere difficile una vera contitolarità delle classi tra
insegnanti curricolari e insegnanti di sostegno. Le carriere vengono infatti
separate a causa del percorso di formazione triennale, previsto dopo il
concorso, che risulta essere completamente separato e che, cosa gravissima, non
prevede sostanzialmente nessuna formazione dei docenti curricolari sui temi
dell'inclusione. Una separazione che parte già dal concorso previsto per
accedere al percorso di formazione triennale, che prevede una prova d'esame
aggiuntiva per gli aspiranti insegnanti di sostegno. Il limite di 10 anni sulla
cattedra di sostegno risulta a questo punto superfluo, visto che per insegnare
come insegnante curricolare occorre fare un nuovo concorso e una nuova
formazione triennale con impegno a tempo pieno. Vedi art. 7 comma 3: “Le
opzioni valgono
come rinunce definitive alle altre opzioni esercitabili”
e art. 9 comma 1: “Il
corso di specializzazione per l'insegnamento secondario è a tempo pieno”
È vero che è di
fondamentale importanza trovare il modo di garantire la continuità didattica per
evitare che gli allievi con disabilità subiscano un'inaccettabile girandola di
insegnanti di sostegno come succede attualmente, ma a questo scopo poteva essere
presa in considerazione l'ipotesi della “cattedra mista” (parte dell'orario come
insegnante curricolare e parte come insegnante di sostegno) come prospettata già
in numerosi articoli, tra cui quello comparso
sulla
Rivista ufficiale della Società Italiana di Pedagogia Speciale
“Riflessioni su una nuova prospettiva: la cattedra mista”,
(Dicembre
2015) e nei due
volumi già citati (Berretta, 2016, 2016), per non rischiare di perpetuare la
carenza di insegnanti specializzati. Ci si chiede infatti quanti saranno
disponibili a intraprendere un percorso così lungo e blindato.
Ma l'aspetto più grave è che viene rimarcata l'attribuzione al solo docente di sostegno della responsabilità del percorso di integrazione e inclusione, che, a queste condizioni, è in realtà impossibile da realizzarsi. Quale inclusione può esserci infatti se un allievo con disabilità è seguito con competenza professionale solo da un docente, mentre tutti i suoi compagni di classe usufruiscono del lavoro di tutti gli insegnanti? Ma soprattutto: come può esserci inclusione in una scuola che non prevede competenze specifiche di tutti i docenti per favorire l'apprendimento di tutti? Non solo gli allievi con disabilità, ma ogni alunno che per le più svariate ragioni incontra difficoltà di apprendimento ha il diritto di avere insegnanti con competenze metodologico-didattiche e relazionali tali da rendere la scuola inclusiva per tutti. Anche in questo caso ci si chiede quale pensiero pedagogico abbia prodotto queste idee. Il dubbio è che il pensiero ispiratore sia in realtà di tipo esclusivamente economico: avere supplenze a costi ridotti grazie al lavoro dei tirocinanti durante il lungo percorso di formazione. L'art. 8 comma 3 prevede infatti che la retribuzione nel periodo di formazione iniziale sia decisa dal MIUR in mora al contratto collettivo nazionale.
Infine vediamo il decreto specifico sull'inclusione, dove sarebbe stato auspicabile trovare innovazioni determinanti per migliorare una situazione fortemente critica, a causa non tanto di norme da modificare, quanto piuttosto della mancata applicazione delle norme esistenti. Sarebbe stato importante pensare al modo di rendere effettive le disposizioni della legge 104/1992 contemplando qualche piccola modifica normativa, come quella proposta già da diverso tempo delle “cattedre miste” e l'attribuzione di precise responsabilità ai dirigenti per l'applicazione delle norme sull'inclusione.
Troviamo invece alcuni aspetti preoccupanti:
a)
L'art. 3 comma 2d prevede la formazione di
classi con presenza di allievi con disabilità fino a 22 alunni, quando il DPR
81/2009 prevedeva il numero di 20 alunni
b)
Nel comma 5 dello stesso articolo, in merito
ai compiti degli enti locali, si pone la fatidica condizione: “nei limiti delle
risorse disponibili”. Ciò è particolarmente grave perché renderebbe inesigibili
diritti garantiti anche dalla
Sentenza della Corte
Costituzionale n. 275/2016, che stabilisce che “È la garanzia dei diritti
incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a
condizionarne la doverosa erogazione”
c)
Nell'art. 5 si
stabilisce che la valutazione diagnostico-funzionale sostituisce la vecchia
documentazione, facendo riferimento al modello bio-psico-sociale dell'ICF, ma
contraddicendone lo spirito, dal momento che viene attribuita alla sola
commissione medica il compito di redigere un documento il cui principio
ispiratore dovrebbe essere quello dell'interazione interprofessionale, al fine
di considerare la persona nella sua globalità. Succederà così, come peraltro già
adesso succede in alcuni territori, che i professionisti della sanità
redigeranno anche la parte concernente “attività e partecipazione”, componente
in merito alle quali sono sicuramente più utili le competenze di insegnanti e
genitori.
d)
Nell'art. 6 troviamo che
“la quantificazione delle risorse di sostegno didattico è effettuata dal
gruppo inclusione territoriale (GIT)”
“sulla base della valutazione diagnostico-funzionale” e l'art. 8
definisce il GIT e sostituirebbe l'articolo 15 della legge 104/1992. Ne emerge
che non verrebbe più contemplata l'esistenza di gruppi di lavoro nelle singole
scuole e che la quantità di risorse assegnate ad un allievo, anche in termini di
ore di insegnante di sostegno, verrebbero proposte da un gruppo territoriale
(che non può sicuramente conoscere ogni singolo allievo) invece che da un gruppo
di lavoro sul singolo caso composto dai suoi insegnanti, dai suoi genitori, dai
suoi educatori e dai sanitari che se ne prendono cura. Come possono così essere
rispettate le “effettive esigenze” nell'assegnazione delle risorse (come
stabilito dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 80/2010) se chi prende le
decisioni non conosce la persona portatrice di quelle necessità?
e)
Anche l'art. 11, a
proposito della redazione del Piano Educativo Individualizzato (PEI), non fa
riferimento a un gruppo di lavoro (l'attuale GLHO), ma afferma che il PEI è
approvato dai docenti “con la collaborazione dei genitori delle risorse
professionali specifiche e degli operatori socio-sanitari”. Pare quindi una
questione interna della scuola in cui i genitori hanno poca voce in capitolo. La
valutazione diagnostico-funzionale la fanno i medici, il piano educativo lo
fanno gli insegnanti e la famiglia può solo “collaborare” con l'operato dei
professionisti. Il fatto che i genitori siano coloro che conoscono più di ogni
altro i propri figli non mi pare venga preso in sufficiente considerazione.
L'esatto opposto della logica ICF, che cerca di mettere in comunicazione i
diversi soggetti e soprattutto di mettere al centro dell'attenzione la persona
in quanto protagonista del proprio progetto di vita e i suoi genitori, quando si
tratta di un minore. Questo è uno dei punti che mettono in evidenza la mancanza
di pensiero pedagogico alla base di questi decreti.
L'assenza della possibilità per un gruppo di lavoro, come avveniva
precedentemente, di indicare il numero di ore di sostegno necessarie sembra
rispondere di nuovo alla logica di ridurre le spese e i possibili ricorsi.
f)
Nulla è previsto a
proposito della formazione degli insegnanti curricolari sulle tematiche
dell'inclusione, fatto molto grave visto che uno dei problemi attualmente più
rilevanti consiste proprio nella delega al solo insegnante di sostegno del
percorso didattico degli allievi con disabilità, rendendo così vuote le parole
integrazione e inclusione. Come sottolinea Dario Ianes nel suo articolo La
mela avvelenata, si perdono diversi elementi positivi della proposta di
legge 2444 FISH-FAND, tra cui i 30 CFU sull'inclusione per gli insegnanti
curricolari
g)
L'art. 15 fa nascere
qualche speranza sulla formazione di tutto il personale della scuola, dirigenti
compresi. Sarebbe però necessaria una valutazione delle scuole e dei dirigenti
che consideri anche criteri relativi all'inclusione
h)
L'art. 16 sulla
continuità didattica garantisce nel comma 1 la continuità, ma ben poco di
concreto si vede che possa rendere effettiva questo impegno. Nel comma due
sembra profilarsi una possibilità per la realizzazione delle cattedre miste, ma
in modo marginale e poco rilevante, soprattutto se visto alla luce delle
precedenti considerazioni relative alla formazione iniziale. A questo proposito
rimando all'articolo di Paolo Fasce (Pavone Risorse, 25/01/2017)
Per concludere inviterei alla lettura del libro di Benedetta Tobagi La scuola
salvata dai bambini, libro scritto da una giornalista che, non essendo una
persona di scuola ha pensato giustamente di informarsi, con un viaggio in molte
scuole di tutta la penisola, per poter scrivere con cognizione di causa sul tema
dell'inclusione dei bambini non italiani nelle scuole; cosa che dovrebbero fare
anche quei decisori politici che vogliono legiferare in materia di scuola non
affidandosi solo alle pressioni di lobby estranee alla scuola o a luoghi comuni,
ma facendo riferimento alle evidenze scientifiche derivanti dalla ricerca in
ambito pedagogico e all'esperienza di tanti insegnanti che quotidianamente
affrontano le situazioni più difficili con passione, competenza e
professionalità.
In
questa direzione vanno i due libri che ho appena pubblicato, già citati, scritti
proprio con l'intenzione di formulare delle proposte basate su evidenze
scientifiche e sull'esperienza dei professionisti della scuola:
Proposte per una scuola inclusiva. La
teoria e la pratica per una riforma condivisa,
un saggio che cerca di sintetizzare quanto emerge come più auspicabile per la
creazione di un contesto scolastico nazionale realmente inclusivo e
La scuola di Davide,
che attraverso la narrazione cerca di rendere più vive le motivazioni delle
proposte contenute nel primo libro.
Un sistema nazionale di istruzione veramente inclusivo non è infatti quello che
prevede solo normative specifiche per gli allievi con disabilità e difficoltà di
apprendimento di varia natura, ma deve essere caratterizzato da un contesto
normativo e fattuale complessivamente inclusivo e da un sistema di valutazione
formativo, per gli alunni, per gli insegnanti, per i dirigenti, per le scuole,
che abbia lo scopo di aiutare a migliorare e contempli criteri di valutazione
relativi all'efficacia delle scuole in termini di inclusione.
Un tale contesto è realizzabile se si riesce a pensare in un'ottica sistemica
nella direzione di un
cambiamento che non sia guidato dalla necessità di realizzare risparmi di spesa
ai danni degli allievi o da impianti ideologici fondati su luoghi comuni e su
obiettivi estranei ai bisogni di crescita di bambini e adolescenti, ma che
invece trovi nell'esperienza di tanti insegnanti competenti e appassionati del
proprio lavoro, nella pedagogia e nella ricerca nell’ambito delle scienze
dell’educazione i propri riferimenti scientifici e nella creazione di una
società giusta, democratica, solidale, inclusiva, i propri riferimenti
valoriali.
Bibliografia
Claudio Berretta,
(2011),
Professore... lei è felice?, Per una scuola di tutti: racconti e riflessioni,
Roma, Aracne Editrice.
Claudio Berretta,
(2013),
BES e Inclusione. Bisogni educativi “Normalmente Speciali”,
Catania, Ed. La Tecnica della Scuola.
Claudio Berretta,
(2016), Proposte per una scuola inclusiva. La teoria e la pratica per una
riforma condivisa, Roma, Aracne Editrice.
Claudio Berretta,
(2016), La scuola di Davide, Roma, Aracne Editrice.
Claudio Berretta,
“Valori per una scuola inclusiva”,
Scuola e Didattica, n° 1, anno LXII, settembre 2016.
Claudio Berretta,
“Proposte per una scuola inclusiva”, Handicap&scuola, n° 187-188, Anno
XXXI,maggio-agosto 2016.
Claudio Berretta,
“Cosa può fare la scuola?”, “La scuola per un società democratica ed inclusiva”
Educazione Aperta. Rivista di pedagogia critica., n° zero 2016
Claudio Berretta Paolo Fasce, “Come può fare la scuola? “La scuola per un
società democratica ed inclusiva”
Educazione Aperta. Rivista di pedagogia critica., n° zero 2016
John Hattie (2009),
Visible Learning,
New York, Routledge.
John Hattie (2012),
Visible Learning for Teachers,
New York, Routledge.
Benedetta Tobagi (2016),
La scuola salvata dai bambini,
Rizzoli, Milano.
Flavio Fogarolo (19/01/2017), “Pugno duro solo verso gli alunni con disabilità?“,
Superando.it,
http://www.superando.it/2017/01/19/pugno-duro-solo-verso-gli-alunni-con-disabilita/
https://m.facebook.com/notes/dario-ianes/la-mela-avvelenata-ovvero-il-decreto-sullinclusione-degli-alunni-con-disabilità-/1855946667996449/?_ft_=qid.6380176396782593408%3Amf_story_key.1166711633445032%3Atop_level_post_id.1166711633445032%3Atl_objid.1166711633445032&__tn__=C