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LA BUONA SCUOLA OGGI: Documenti e interventi su  "Piano Renzi" (settembre 2014)

03.04.2016)

Il dirigente scolastico, tra idealtipi e ricerca di status
di Franco De Anna

 

Confesso (lo faccio spesso) di avere una formazione giuridica approssimativa che si trasforma in una lontananza istintivamente perplessa/ostile all’approccio giuridico amministrativo alla realtà.

Un vecchio maestro mi diceva: il diritto civile ha a che fare con gli interessi delle persone; il diritto penale ha a che fare con le passioni umane; il diritto amministrativo è …il nulla. La pura forma che si dà da sé autoconsistenza.
Deve essere per questi miei pregiudizi se il confronto politico culturale che si sta sviluppando sui Dirigenti Scolastici (profili di ruolo, inquadramenti nella dirigenza pubblica, elaborazioni sulle tipologie di leadership, esiti di ricerche sul campo come quella della Fondazione Agnelli intitolata “Equilibristi” o quella promossa dall’IPRASE trentino con il contributo sulla “Leadership per l’apprendimento”) mi desta qualche preoccupazione.
Innanzi tutto per le diverse suggestioni che divaricano e segmentano gli approcci di tale confronto fino a renderli incomunicabili tra loro. Provo a riassumere.

1.      Le controverse disposizioni della legge 107 e le reazioni che hanno suscitato. Da un lato il potenziamento e il delinearsi di nuove funzioni ed impegni professionali del Dirigente (dalla funzione di indirizzo del POF triennale, alla valutazione del personale, alla connessione tra valutazione-miglioramento della scuola e valutazione del Dirigente medesimo); dall’altro la fioritura di metafore attraverso le quali si è voluto stigmatizzare tale prospettiva (il DS sceriffo, il boss..), ma anche la speculare fioritura a sostegno: il costruttore di comunità, il leader pedagogico, ecc.. La metafora è strumento potente perché evoca semantiche non immediate, rimanda a diverse e divergenti combinazioni di significato. Ma, e proprio per questo, va usato con avvertenza e sapienza di contesto. Va bene in un pensoso dibattito tra “esperti impegnati”; può determinare un concentrato di equivoci in un social network o in un comizio sindacale.

2.      L’elaborazione che si vorrebbe scientifica che tenta di delineare un profilo ed un ruolo della dirigenza scolastica attraverso repertori di attività, di funzioni, di competenze professionali, di manifestazioni della fisionomia dirigenziale specifica per l’organizzazione scolastica.
Si tratta di contributi diversi e importanti. Alcuni citati più sopra. Ma hanno un tratto in comune che enuncio semplificando e chiedendone scusa a tanti interpreti prestigiosi e anche amici (da Angelo Paletta a Antonio Valentino, Cinzia Mion, tutti i colleghi dell’ANDIS…)
Il tratto in comune è quello di cimentarsi prevalentemente con un “dover essere” del Dirigente Scolastico. Una sorta di sforzo per tracciarne un “idealtipo”. La ricerca della Fondazione Agnelli citata si mette invece in osservazione del vissuto (professionale ed umano) quotidiano di un Dirigente “reale” e scopre le clamorose distanze con quelle elaborazioni.
Naturalmente la descrizione di configurazioni ideali è alimento fondamentale per le politiche riformatrici. Ma… se la realtà si ostina a presentare strutture e interpretazioni che non si accordano con le nostre categorie di pensiero, non si può continuare a ritenere che “la realtà si sbagli”. Forse qualche falsificazione/ricostruzione dei nostri paradigmi è necessaria e indispensabile.
Neppure l’ispirazione al raffronto internazionale può risultare di molta consolazione. Molte ricerche internazionali spesso molto citate nei contributi ai quali mi sto riferendo, correlano i caratteri della leadership e del management scolastico ai risultati complessivi della scuola (alla sua “bontà”). Spesso si dimentica che il valore intrinseco di tali ricerche sta proprio nella definizione rigorosa delle specifiche variabili che si mettono in correlazione (altrimenti ne risulterebbe una affermazione banale che “la qualità di una organizzazione è legata alla qualità della sua direzione”..). Ed è esattamente ciò che difetta nelle nostre interpretazioni dove spesso i due termini  - management e leadership - vengono usati in modo indifferenziato e equivalente.
Mentre proprio tale “distinzione determinata” di tali costrutti (leadership e management) è una delle problematiche più rilevanti nel rintracciare prospettive di sviluppo per il ruolo e i caratteri professionali del Dirigente Scolastico nel nostro “determinato” sistema di istruzione.

3.      In un terzo approccio, si ribadisce l’identificazione del Dirigente scolastico con la “dirigenza” come definita nell’ambito della Pubblica Amministrazione italiana.
I DS sono a tutti gli effetti “classificati” entro quel repertorio, ma, come noto, in un “comparto” che li considera come “dirigenti con caratteri specifici” e dunque, pur entro il medesimo strumento normativo (il DLGS 165/2001) e il suo impianto generale, come “inquadrati” diversamente (con riflessi economici e normativi legati a tale “specificità”).
Si tratta di una “scuola di pensiero” che reclama una parificazione degli inquadramenti e che ha un consenso entro la categoria, che va al di là delle diverse linee di pensiero: anche chi pensa alla “leadership pedagogica” non può non essere sensibile alla richiesta di uniformare inquadramenti (per esempio economici) con tutta la dirigenza pubblica…
Sintomatica, sotto tale profilo, la posizione assunta rispetto al disegno di riforma della Pubblica Amministrazione (la legge 124/2015 con le sue deleghe).
L’art.12 di quel provvedimento articola la dirigenza pubblica in tre segmenti (Dirigenti dello Stato, delle Regioni, e degli Enti Locali) dichiarando intenzioni e impegni ad ispirare la decretazione delegata, per omogeneità, compenetrazioni, assimilazioni di inquadramenti ecc… (si rinvia al testo per approfondimenti doverosi..) ma escludendo da tale ripartizione i Dirigenti scolastici, come quelli medici e veterinari del sistema sanitario.

Rispetto a tale prospettiva (tutta da esplorare nel merito della decretazione delegata) vi è, nelle posizione che qui si richiamano, una forte richiesta di ricondurre, alla unità rappresentata dal DLGS 165/2001, le medesime proposte della Legge 124/2001. Insomma la “garanzia di ruolo” risiederebbe nella assimilazione alla Dirigenza della Pubblica Amministrazione.

 

E se cambiassimo paradigma radicalmente?

La “filosofia” del DLGS 165/2001 è tutta contenuta nel suo “postulato” fondativo dichiarato nel secondo comma dell’art.1:

“Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 ”
Con questa affermazione “normativa” viene costituito un insieme contenente elementi assai diversi tra loro se li consideriamo dal punto di vista dei loro caratteri funzionali, degli scopi, delle dimensioni operative, del contenuto concreto della loro operatività. Cosa possono avere in comune, nella loro materialità operativa, l’amministrazione ministeriale, le aziende e gli enti del sistema sanitario, le istituzioni scolastiche autonome?
Ciò che la realtà non contempla (l’omogeneità di caratteri) lo si afferma attraverso un articolo di legge. E tutto il resto (regole, quadri di riferimento, inquadramenti del personale…) deriva da tale istanza di astratta e assiomatica omogeneità.

Effetto paradossale: la specificità “materiale” identitaria di ciascun elemento dell’insieme diviene terreno di “eccezione” rispetto ad una omogeneità artificiosa e artefatta affermata nella forma della norma. Un capovolgimento netto del rapporto tra “realtà e rappresentazione” direbbe qualcuno…

Così, per stare all’argomento, i Dirigenti Scolastici, per i caratteri specifici del loro lavoro, ricevono un trattamento di “eccezione” rispetto ad una richiamata omogeneità ai “dirigenti dello Stato”, di cui non vi è traccia materiale nel loro lavoro.
Sottolineo altro singolare paradosso: nel sistema di istruzione si concentra il circa il 32% dei dipendenti pubblici; nei Ministeri il 5% ( si vedano i dati contenuti nel “Analisi di alcuni dati del conto annuale 2007-2013” a cura della Ragioneria Generale dello Stato – MEF)
Per contro i Dirigenti Scolastici sono circa il 21% dei dirigenti dello Stato, ma di questi ultimi il 40% sono ufficiali dell’esercito, e 16% ufficiali di polizia. Il resto, assoluta minoranza, sono dirigenti della PA in senso stretto.

 

Il paradosso è che si adottano questi ultimi (assoluta minoranza appunto)  come “paradigma”, e si considerano “eccezioni specifiche” quelle che caratterizzano la grande maggioranza delle figure dirigenziali. L’impronta speculare di tale paradosso è la rivendicazione (vedi organizzazioni rappresentative dei DS) che si assuma quel paradigma minoritario come ispirazione per definire inquadramenti, retribuzioni, istituti del rapporto di lavoro.
Taccio naturalmente (ma si veda il rapporto citato della Ragioneria Generale dello Stato) dei dati relativi per esempio al sistema sanitario e a quello delle regioni e degli enti locali. Quantità dei dirigenti, distribuzione e, alla base di tutto, compiti e professionalità specifiche del lavoro concreto hanno la “rilevanza del dato di realtà” rispetto alle assiomatiche affermazioni delle norme che quella realtà vorrebbero “conformare” e governare.

Rammento ai cultori del pensiero giuridico, che in realtà tutto ciò ha una storia, che, come sempre accade, muove il suo pendolo con oscillazioni spesso così lunghe che par fermo.

 

Alla fine degli anni ’70, un padre illustre del Diritto Amministrativo come Massimo Severo Giannini, da Ministro, pubblicò un “rapporto sulla Pubblica Amministrazione” italiana che ne metteva drammaticamente in luce la ingovernabile eterogeneità di enti, soggetti pubblici, rapporti lavorativi ecc… La cosiddetta (da allora..) jungla del Pubblico Impiego.
Contemporaneamente proprio in quegli anni si andava consolidando una presenza sindacale nel Pubblico Impiego di carattere “confederale” che tendeva, a differenza di organizzazioni di settore e di ispirazione particolaristica (corporativa?), a riportare la contrattazione dei rapporti di lavoro pubblici entro il grande contenitore della contrattazione sindacale. Si cercava e reclamava una “omogeneità”, confrontabilità, “unità” dell’intero comparto pubblico e un raccordo con l’intero movimento sindacale (almeno sul fronte confederale di peso ed autorevolezza contrattuale crescente).
Da quelle istanze di razionalizzazione del comparto, di riunificazione degli istituti del rapporto di lavoro, di omogeneità e sviluppo della contrattazione, prese alimento l’iniziativa legislativa che culminò, nel 1983 con la cosiddetta “legge quadro del Pubblico Impiego” (Legge 93/1983)
Così l’oscillazione del pendolo raggiungeva il punto più significativo della esigenza storica di riunificazione e razionalizzazione della “macchina pubblica”.
In contemporanea si sviluppavano processi materiali di altrettanta significatività storica: la crescita delle strutture e del welfare (la costruzione del sistema sanitario, la dinamica quantitativa della scuola e dell’università con incrementi occupazionali significativi) e del welfare territorializzato (il processo costitutivo delle autonomie regionali, lo sviluppo dell’Assistenza nelle deleghe al sistema delle autonomie). Quanto a dire si muoveva il processo opposto verso la determinazione delle “specificità” legate ai diversi comparti del welfare e alla “produzione” dei servizi corrispondenti, necessariamente alimentati da professionalità, tecniche, forme organizzative assolutamente specifiche.

Sotto questo profilo il DLGS 165/2001, con il suo postulato formalmente unificante, è un “figlio ritardato” di un’altra stagione storica.  O, se si vuole, la testimonianza di incapacità politica e tecnica di governare una macchina pubblica a cui la storia e i cittadini chiedono di produrre servizi, non o non solo “pratiche” o “atti” amministrativi.
L’essere tutti “dipendenti, funzionari, dirigenti dello Stato” oltre che essere un immaginario storicamente inconsistente (vedi sconnessioni con lo stesso dettato costituzionale dove “pubblico” non significa “statale”) non dice nulla di particolarmente “unificante”, se non il richiamo costituzionale alla “disciplina e onore”. Richiamo più che necessario, ma evidentemente insufficiente a descrivere e normare il lavoro concreto di chi opera nei diversi comparti del welfare pubblico. Una sopravvivenza culturale “oggettivamente” conservativa, di qualsivoglia colore si ammanti la sua tunica.
Occorre naturalmente tenere conto che, nella determinazione degli elementi del rapporto di lavoro, in primo luogo la retribuzione, operano anche variabili diverse da quelle relative al contenuto del lavoro concreto, in termini di quantità, intensità, professionalità/autonomia/responsabilità, fungibilità.
Contano infatti elementi “culturali/sociali” come il riconoscimento di status, il “prestigio” valoriale di alcune professioni, ecc…(
[1])...

C’è sempre un equilibrio tra tutte le determinanti della retribuzione e la componente “riconoscimento di status” opera specie nelle qualifiche intermedie e alte. Ma appunto occorre un “equilibrio” tra componenti e composizione del lavoro.
La stagione storica (positiva) della definizione di un quadro omogeneo e coerente di istituti del rapporto di lavoro pubblico ha lasciato i residui di corrispondenze e parametrizzazioni formali, che, per esempio, si sono tradotte in una dinamica accentuata delle retribuzioni dei dirigenti della PA rispetto alle qualifiche intermedie.(verificate l’evoluzione dei rapporti tra le retribuzioni pubbliche negli ultimi 15 anni: differenziali tra docenti e DES e differenziali tra DS e Dirigenti del Ministero).
Oggi, dopo quella stagione, l’oscillazione del pendolo della storia dovrebbe spingerci a misurarsi scientificamente, tecnicamente, sindacalmente, giuridicamente con la specificità di ruoli, funzioni, mansioni, contenuti del lavoro.
Le astratte unificazioni normative sono incapaci di descrivere, comprendere, governare la realtà.
In tale situazione la stessa “rappresentazione degli interessi”, e le “rappresentanze” che su di queste si costruiscono, minacciano di essere “deformate” dal paradigma normativo impropriamente “unitario”: una sorta di “calco” in negativo tra i due poli della dialettica dei rapporti di lavoro.

Lo chiedo innanzi tutto agli amici sindacalisti. E se invece di tentare di “omogeneizzare” la Legge di riforma della Pubblica Amministrazione (che tien fuori i dirigenti della scuola e della sanità dal paradigma unificante), con il paradigma “unificante” del DLGS 165/200, dicessimo chiaramente la fine di quest’ultimo come bussola per la declaratoria delle unità e delle differenze, delle speranze e delle realtà, delle rivendicazioni di comune parametrizzazione retributiva di lavori totalmente diversi? Smettiamola di tradurre una sensata esigenza di aumento retributivo con l’assimilazione alla dirigenza amministrativa.

E invece afferrassimo l’occasione della Legge 124/2015 concentrando l’impegno politico, culturale, tecnico, scientifico, giuridico, per esplorare, nella produzione decretativa di attuazione, una assennata declinazione delle specificità esclusive della Dirigenza Scolastica.
Magari non dimenticando il dato di più sopra riportato: i DS sono la maggioranza dei Dirigenti “statali”. Non devono “essere come gli altri” per avere più forza. Semmai invertiamo la proposizione…(
[2])

Il profilo di ruolo dei Dirigenti Scolastici e la ricchezza della specificità

 

Coerenza vorrebbe che, dopo avere proposto di superare il DLGS 165 e di concentrarsi sul compito  di dare fondamento alla specificità dei Dirigenti della scuola, mi ci misurassi riprendendo le elaborazioni, citate all’inizio di questo articolo. In questa sede è possibile solo qualche richiamo, e rimando ad altri contributi sviluppati in questi anni ([3]).


La precisazione che vorrei però proporre è la necessità di trovare la sensata composizione tra il fascino del tracciare un “idealtipo” di Dirigente (si vedano le mie osservazioni sui limiti di certe suggestioni come la leadership educativa, distribuita, democratica ecc…) e la presa d’atto necessaria e demistificante della realtà operativa quotidiana (si veda l’ottima ricerca della Fondazione Giovanni Agnelli citata in apertura).
Provo a indicare tre campi di approfondimento sulle “specificità” del dirigere la scuola.

 

Il DS è un dirigente orientato al “prodotto”
Nella analizzare l’organizzazione di qualunque impresa, la composizione del management e in particolare il relativo peso specifico assunto tra management amministrativo/finanziario e management di prodotto, costituisce un buon indicatore sui caratteri dell’impresa stessa, sulle sue prospettive e convenienze, sulle strategie che ne dovrebbero disegnare il futuro.
E’ chiaro che il prevalere del management di prodotto segnala una strategia legata alla “linea”, all’innovazione di prodotto e processo, alla ricerca tecnologica finalizzata all’innovazione, ecc…
Il prevalere del management amministrativo/finanziario segnala l’adeguarsi alla “maturità” del prodotto, alla “manutenzione”, all’impegno allo sviluppo di convenienze finanziarie ecc…(
[4]).

Se ci riferiamo alla scuola, la qualificazione di “dirigente orientato al prodotto” comprende, ma è qualche cosa di più della cosiddetta “leadership pedagogica”.
Ovviamente la “pedagogia” è il cuore della attività della scuola. Ha il suo “oggetto” nella relazione educativa e nella sua multiformità (Uno a Uno, Uno a Molti, Molti a Molti) (
[5]).

Ma non è tutto il “prodotto” dell’impresa scolastica.. Vi sono le tecniche che accompagnano la gestione della relazione educativa (le didattiche..) e la loro organizzazione. Vi sono le “enciclopedie” delle conoscenze, le loro articolazioni e il campo di ricerca che delineano…
Vi sono tutte le misure organizzative e gestionali necessarie a realizzare la strategia capace di “combinare” e ottimizzare tali elementi.
Per queste ragioni (compresa naturalmente la mia incapacità di comprensione…) preferisco “dirigente orientato al prodotto” piuttosto che “leader pedagogico”. Mi pare più “comprensiva” del lavoro del Dirigente Scolastico. Il prodotto è la “formazione”, la “costruzione” collettiva del soggetto. (Invidio la semantica del termine “buildung” che contempla il richiamo al “costruire”).
Ma una leadership “orientata al prodotto” ha bisogno di alcune condizioni per esprimersi: la prima è superare l’insufficienza di un modello organizzativo “orizzontale” con un dirigente e un “gruppo di pari”, che, proprio in merito al “prodotto”, cessa di essere “dirigente” ma è “primus inter pares”…
La complessificazione organizzativa (oggi va di moda parlare di middle management) deve essere “consolidata” in istituti del rapporto di lavoro e sviluppi professionali, non essere interpretata come transitoria, occasionale e contingente… La seconda condizione è quella del livello di padronanza e semplificazione degli strumenti gestionali (gestione delle risorse umane e gestione economica). Difficile da praticare. Lo dico in termini tranchant: superare l’incastellatura formalistica del procedere amministrativo e pervenire ad una sensata forma di gestione budgetaria delle risorse.
Nessun dirigente in nessuna impresa, anche in quelle più legate al mercato, ha padronanza piena delle risorse (umane e economiche). Agisce sempre entro il perimetro di norme e di relazioni sindacali… Dunque è un problema non di affermazioni assolute (una “norma”…una “legge” a validità erga omnes) ma di “combinazioni” operative sensate e collegate ai due valori di autonomia e responsabilità. (E al corollario della valutazione).

 

Il DS è un dirigente orientato alla gestione del personale
L’istruzione è una “impresa” caratterizzata da un elevato contenuto di lavoro vivo, caratterizzato da ampia autonomia operativa, bassa prescrittività (non c’è un “mansionario” vincolante), bassa “fungibilità” (anzi, per alcuni il lavoro del docente è insostituibile..).
Inoltre la “composizione tecnica” del lavoro docente è bassa: lo sviluppo delle tecnologie digitali può arricchire tale composizione e, per questa via, dare maggiore determinazione ad un “mansionario” docente; ma comunque vi è un nocciolo costitutivo  profondo e ineliminabile del “lavoro vivo” nella docenza.
Ciò significa che un “dirigente orientato al prodotto”, nella scuola  si misura innanzi tutto con la gestione delle risorse umane.(
[6])

 

Un Direttore Generale di un Ministero esercita responsabilità estese, ma lavora direttamente con un gruppo di collaboratori che è in genere da dieci a venti volte meno numeroso del personale che collabora con un Dirigente Scolastico. Si tratta, con tutta evidenza, di due tipologie diverse di direzione.
Uso sempre una battuta con i miei amici Dirigenti Scolastici: “un bravo DS capace di organizzare i propri uffici, non ha nulla da fare tutto il giorno….tranne… parlare con le persone”.
La lettura della ricerca della Fondazione Agnelli citata in apertura, ne dà conferma.
Tale condizione oggettiva/soggettiva che indica al DS come priorità quella di stare ai “nodi” della comunicazione interna alla sua organizzazione (una “leadership sottile” direbbe Quaglino..) avvalora una affermazione precedente sulla necessità di rideclinare sensatamente le condizioni di “padronanza” nella gestione del personale entro la medesima organizzazione (mobilità, affidamento di compiti, alternative organizzative…”la persona giusta al posto giusto” come obiettivo e la capacità sia di individuarla, sia di impegnarla).


Il DS è un Dirigente responsabile del “prodotto finale” offerto dal sistema di istruzione.

Un dirigente amministrativo è in genere responsabile di un segmento, per quanto rilevante, dell’algoritmo di comando della amministrazione in cui opera.
Un Dirigente Scolastico, collocato alla base dell’algoritmo amministrativo, è responsabile del “prodotto finale” nella sua interezza e nella sua olistica consistenza, e esercita direttamente tale responsabilità in rapporto con i cittadini che, in quel “prodotto” vedono la fruizione materiale del loro diritto all’istruzione.
Anche in tale caso non si tratta di responsabilità più ampie o meno ampie, ma di responsabilità “diverse”. Si aggiunga che, proprio per tali ragioni (il “prodotto finale”) la permeabilità sociale di una scuola è enormemente più ampia di quella di qualunque ufficio della Pubblica Amministrazione. Non è lungo e impervio il percorso che conduce un cittadino all’ufficio del DS…

Il dirigente di una scuola non può limitarsi alla “pubblicità e trasparenza” degli atti che compie (mancherebbe…). Deve fare quel qualche cosa di più che si chiama “rendicontazione”, della quale le prime due sono condizioni necessarie, ma non sufficienti.
Rendicontare significa certamente anche dotarsi di strumenti e tecniche (il Bilancio Sociale, per esempio…). Ma è prima di tutto una “filosofia” che interpreta un carattere fondamentale del lavoro del DS e che si manifesta nei rapporti con il territorio, con gli utenti ad ogni livello, con l’intera e complessa governance di un sistema di servizi e di welfare territorializzato.

Naturalmente le tre che indico sono aree complesse di analisi: qui mi basta ribadire la necessità di esplorare in quelle direzioni, per rielaborare un sensato “profilo di ruolo” del Dirigente Scolastico, superando la tentazione di risolvere i problemi con la semplice (e illusoriamente remunerativa) comparazione con “la dirigenza dello Stato”. Come ovvio tale obiettivo ha valore plurimo: radicare su base materiale gli istituti del rapporto di lavoro; tenera aperta la ricerca per un adeguamento e manutenzione permanente; costruire una comune cultura professionale (formazione e sviluppo professionale); orientare i meccanismi di selezione in ingresso; orientare i modelli e i protocolli valutativi.
Ma è una condizione per mandare in soffitta una strumentazione normativa che in nome di una formale uniformità smarrisce il significato di una specificità dei servizi dovuti ai cittadini.



[1] Ricordo un grande maestro del mio giovanile impegno sindacale e politico (Bruno Trentin) che in una occasione di discussione sostenne che, a suo parere, la concezione della retribuzione e del salario nel Pubblico impiego fosse vissuta come una sorta di “risarcimento” piuttosto che in termini di corrispondenza con il lavoro concreto svolto (analisi acutissima riferita al pubblico impiego e al suo retaggio storico…)

 

[2] Ho vissuto una storia simile: gli ispettori scolastici vollero, fortissimamente vollero, essere assimilati ai dirigenti di seconda fascia della amministrazione della scuola. Così uscirono dal “comparto” (e dal relativo contratto). Ne guadagnò la loro busta paga (anche la mia…). Ma fu l’inizio della fine del loro ruolo specifico…E il loro organico, da quello definito negli anni ’80 ad oggi è stato ridotto ad un terzo, e delle loro funzioni agite e riconosciute… è bello tacere…

 

[3] Mi limito a indicare un articolo “Leader, Giullari, impostori” reperibile in  http://www.pavonerisorse.it/scuolaoggi/leadership.htm . Un materiale formativo messo a punto per INDIRE reperibile in http://www2.indire.it/materiali_dirigenti/allegati/1_DeAnna.doc e un testo: Franco De Anna, “Valutare i Dirigenti della Scuola”, Casa Editrice Spaggiari

[4] Per brevità: pensi il lettore alle vicende della FIAT e usi la coppia di opposizione costituita da due nomi del suo management storico: Vittorio Ghidella (management di prodotto) e Cesare Romiti (management finanziario). E guardi al decadere della qualità innovativa della produzione automobilistica italiana in quella fase storica che consegnò la prevalenza al secondo.

 

[5] Si veda il mio articolo “Un docente indaffarato” in  http://www.pavonerisorse.it/buonascuola/docente_indaffarato.htm

 

[6] Si vedano due contributi “Il lavoro del docente, un “mestiere” di confine” in http://www.pavonerisorse.it/scuolaoggi/lavoro_di_confine_1.htm e http://www.pavonerisorse.it/scuolaoggi/lavoro_di_confine_2.htm

 

 

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