In Italia sorgono periodicamente accese discussioni intorno ai problemi della religione nella scuola. L’ultima di esse riguarda l’esposizione del presepio nei locali scolastici. In una scuola di Cetalina (BG) è sorta una diatriba tra il Dirigente scolastico e molti genitori. Questi ultimi si sono opposti alla decisione del Dirigente di vietare l’esposizione del presepio in occasione del Natale. È seguito l’immediato intervento del segretario della Lega Nord, sempre pronto a sfruttare ogni occasione per lucrare voti attraverso campagne xenofobe (subito amplificato dai media nostrani, che, in nome dell’audience, lo hanno subito promosso, volenti no, a leader nazionale).

Non voglio intervenire sullo specifico della vicenda che non conosco a sufficienza. Essa, peraltro, ha a che fare con una questione, il presepio che, differenza di altri simboli religiosi (ad es., il crocifisso), appartiene in modo specifico alla tradizione popolare italiana[1]. Dunque, si tratta di un tema controverso. Lo  segnalo, però, perché fa emergere ancora una volta un problema mai risolto nella società italiana e nelle sue istituzioni, quello della laicità, frutto di interminabili discussioni. Introduciamo dunque qualche osservazione più generale.

La dimensione politica della laicità

Che cos’è la laicità e che significato  deve assumere nella scuola? Il termine “laicità” può essere visto sotto differenti aspetti.  Il primo aspetto, quello politico,  riguarda il rapporto tra le religioni e lo spazio pubblico, in primo luogo lo Stato, il suo principale garante. Secondo una definizione molto ampia, la laicità implica l’assunzione di una teoria dello Stato: “La teoria dello Stato laico si fonda su una concezione secolare e non sacrale del potere politico come attività autonoma rispetto alle confessioni religiose”[2]. In una visione laica,  le confessioni religiose devono essere collocate su uno stesso piano di libertà. La laicità è una doppia tutela: tutela lo spazio pubblico dall’invadenza del potere clericale, tutela l’autonomia delle religioni rispetto al potere civile, che perciò non può imporre a nessuno una sua religione. Questa concezione si è gradualmente affermata nella modernità a partire da alcuni Paesi, la Francia repubblicana a tradizione cattolica e i Paesi a tradizione protestante. Il modello francese, almeno nelle sue prime fasi, si è imposto come “laicità di lotta”. Per scalzare il secolare potere del clero cattolico ha imposto regole rigide di separazione. Per i rivoluzionari francesi si trattava di imporre la ragione contro la superstizione, lo Stato centrale contro i particolarismi locali. Di qui i vincoli rigidi: no all’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche e divieto di utilizzare simboli religiosi negli spazi pubblici (scuole, uffici pubblici, ecc.).


[1] Ad esempio, nella  Francia laica è ancora aperto un dibattito per stabilire se il presepio sia un simbolo religioso, come il crocifisso, o sia da ascrivere alla tradizione popolare. In una recente sentenza  un tribunale della Vandea si  è pronunciato per la proibizione ai sensi della Legge sulla laicità delle Istituzioni (1905).

 [2] N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Dizionario di politica.

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