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LA BUONA SCUOLA OGGI: Documenti e interventi su  "Piano Renzi" (settembre 2014)

(04.08.2016)

Le riforme senza popolo. Sempre a proposito di reti di scuole..  
di Franco De Anna

 

Sono intervenuto di recente sul tema degli “ambiti territoriali” e delle “reti di ambito”, cercando di “esplicare” (toglier dalle pieghe..) prospettive, problemi, concezioni, significati anche assai distanti e/o contraddittori tra loro, che vengono “impacchettati” in una nota ministeriale, in schemi e modelli, a “rientrare” nel manuale operativo della Pubblica Amministrazione, e che generano reazioni le più varie: preoccupate, ostili, entusiaste, disponibili a discutere, ma che conservano, con l’atto che le genera in reazione, la medesima caratteristica: l’impacchettamento.
La difficoltà (la rinuncia?) cioè di individuare ed interpretare linee o scelte politiche, ipotesi definite di cambiamento e/o di riforma capaci di indicare strategie anche se sempre soggette a dimensionamenti e compromessi o rallentamenti nella operatività quotidiana.
Il contributo in questione cercava di sintetizzare la problematica del messaggio nel suo stesso titolo “L’autonomia delle istituzioni scolastiche e l’ornitorinco”  

Vorrei riprendere quella riflessione, rivolgendola però a quelle che, sempre nella nota ministeriale e nella “classificazione” della amministrazione, son chiamate “reti di scopo”.

L’ironia, inevitabile a fronte di tali “sistematiche”, è illuminante quanto e più e meglio di ogni sforzo analitico interpretativo, la lascio volentieri all’amico Aristarco Ammazzacaffè che si è esercitato da par suo ( Aristarco Ammazzacaffé  “Reti di scuole: grande fermento a Viale Trastevere”)

Gli scopi delle reti di scopo

Nel richiamato precedente intervento sottolineavo come la questione “reti territoriali” trovi una collocazione organica nella politica pubblica dell’istruzione se ci si riferisce ad un impegno politico generale (strategico) di revisione della articolazione territoriale delle pubbliche amministrazioni (Legge 56 dell’aprile 2014, passata nel dibattito “mediatico” come “abolizione delle Provincie) e che dunque in quella prospettiva andrebbe interpretata l’ipotesi di ristrutturare territorialmente il sistema di istruzione, con ridefinizione (e possibile integrazione di diversi servizi pubblici) di bacini territoriali sub provinciali (con chiusura dei Provveditorati), facendo perno sulla autonomia scolastica e sul ruolo possibile delle reti di scuole. Corollario di un disegno di riforma di tale portata la definizione di modelli di governo misto (governance) locale dei servizi all’istruzione.
Se si recupera tale dimensione dell’intervento si può dare senso a modifiche anche non indolori, in prospettiva di effettiva riforma. Se l’orizzonte è invece l’“impacchettamento” di una nota ministeriale e di schemi di accordo, con scadenze e date, l’istanza riformatrice si perde nella reattività verso gli adempimenti. Con l’aggravante (maliziosa) dell’inevitabile diffidenza circa il fatto che una riforma che ristruttura (o lo vorrebbe) l’algoritmo amministrativo tradizionale venga affidata alle sicure mani… della medesima amministrazione che usa il medesimo “manuale operativo”. (Vedi l’ironia di Aristarco sul carattere delle “scadenze”).
Una prospettiva come quella indicata, che dà senso pieno alla creazione degli ambiti territoriali e che rialza la sfida della autonomia (superando l’ornitorinco..) necessita mobilitazione culturale, politica, professionale. In tale senso può costituire una occasione e un progetto.
Costrutto analogo ha la disamina delle proposte relative alle cosiddette “reti di scopo”.
Anche in tale caso vi è un riferimento ad un quadro normativo più ampio e di spessore storico indiscutibile (comunque la si pensi in proposito..) costituito dal cosiddetto “Regolamento dell’Autonomia scolastica” (DPR 275/99) che realizzava, per la scuola, un orizzonte di riforma del sistema pubblico delineato nella Legge 59/97. Ampio orizzonte, che animò la discussione politica riformatrice alle soglie del secondo millennio… (sappiamo come andò poi… e si possono anche individuare le responsabilità politiche e culturali..)

In quel Regolamento, come è noto, la problematica delle reti di scuole (una possibilità che si apriva in quel momento come innovazione assoluta) era riassunto nell’art.7 alla cui lettura completa rimando. Ne voglio sottolineare solamente alcuni aspetti dei quali occorrerebbe tenere conto per dare prospettiva alla discussione attuale (spesso asfittica). In corsivo il testo dell’art.7.

1.      I contenuti degli accordi di rete sono descritti in un numero sintetico ma esaustivo di “scopi” indicano  “attività didattiche, di ricerca, sperimentazione e sviluppo, di formazione e aggiornamento; di amministrazione e contabilità, ferma restando l'autonomia dei singoli bilanci; di acquisto di beni e servizi, di organizzazione e di altre attività coerenti con le finalità istituzionali…” (si noti che rispetto alla attuale “novità” classificatoria si incrociano scopi e scopi di ambito..)

2.      La formazione di reti delinea anche una soluzione di continuità rispetto al monopolio della gestione del personale come previsto da manuale operativo della amministrazione “L'accordo può prevedere lo scambio temporaneo di docenti, che liberamente vi consentono, fra le istituzioni che partecipano alla rete i cui docenti abbiano uno stato giuridico omogeneo. I docenti che accettano di essere impegnati in progetti che prevedono lo scambio rinunciano al trasferimento per la durata del loro impegno nei progetti stessi, con le modalità stabilite in sede di contrattazione collettiva.” E’ una “novità dell’altro secolo” Forse era più necessario pervenire a sensate e coerenti misure di cambiamento nella gestione del personale (compreso il richiamo a corrispondenti nuove relazioni sindacali) per dare corpo a tali condizioni di flessibilità e mobilità, piuttosto che alla sequenza successiva di “riforme epocali”..

3.      Si delineavano anche elementi di potenziale mutamento della stratificazione organizzativa interna delle scuole, con prospettive di articolazione professionale, di responsabilità, compiti, mansioni “Quando sono istituite reti di scuole, gli organici funzionali di istituto possono essere definiti in modo da consentire l'affidamento a personale dotato di specifiche esperienze e competenze di compiti organizzativi e di raccordo interistituzionale e di gestione dei laboratori…”

4.      Si prospettava infine un processo di individuazione delle scuole autonome come interpreti di una dimensione di sussidiarietà (non dunque solamente “filiali” del Ministero..) “Anche al di fuori dell'ipotesi prevista dal comma 1, le istituzioni scolastiche possono promuovere e partecipare ad accordi e convenzioni per il coordinamento di attività di comune interesse che coinvolgono, su progetti determinati, più scuole, enti, associazioni del volontariato e del privato sociale. …… Le istituzioni scolastiche possono costituire o aderire a consorzi pubblici e privati per assolvere compiti istituzionali coerenti col Piano dell'offerta formativa ….e per l'acquisizione di servizi e beni che facilitino lo svolgimento dei compiti di carattere formativo. “      

Il commento non può che essere amaro: una norma che apriva uno spazio di esplorazione reale più ampio della esperienza disponibile: si configurava come sfida del futuro. In un quindicennio di applicazione si può solo dire che ha prevalso la conservazione. Affermazione ancora più triste perché tale spirito conservativo è stato distribuito verticalmente, investendo le classi dirigenti, ma altrettanto in modo orizzontale investendo il popolo della scuola, la sua cultura professionale, le forme di rappresentanza culturale e sindacale.
Ci fu in realtà una sola stagione, a cavallo del millennio, nella quale ci si provò a esplorare quegli spazi innovativi. Poi il riflesso conservativo prevalse e, se mi si consente la cattiveria, sintomatico è il fatto che il punto di flesso emblematico si costituì attorno al rifiuto dell’intreccio oggettivamente necessario di autonomia/responsabilità/valutazione. (Sulla valutazione un Ministro fu abbattuto da fuoco amico..)
Una responsabilità specifica e grande grava sulle organizzazioni sindacali e sulla loro incapacità di esplorare nuovi assetti del mercato del lavoro specifico (formazione e reclutamento dei docenti) e delle specifiche relazioni sindacali (l’appiattimento sull’universalismo aspecifico del Pubblico Impiego… poco soddisfacente, ma così protettivo da non avere bisogno di relazioni sindacali effettive: basta il Diritto Amministrativo e un pugno di avvocati…)

L’impacchettamento amministrativo delle reti

A quell’orizzonte delineato nei punti precedenti, il recente intervento del Ministero a proposito di reti aggiunge il riferimento (obbligato) alla legge 107. La discutibile classificazione di reti di ambito e di reti di scopo recupera infatti un riferimento-elenco di scopi attorno ai quali dovrebbero formarsi le reti. Si tratta del richiamo al comma 7 della legge 107/2015.
Impossibile qui riportare l’elenco di tale sistematica: si va  dalla valorizzazione delle competenze linguistiche, logico matematiche, digitali, alla “alfabetizzazione” all’arte, alla produzione di immagini;  dalla promozione alla cittadinanza consapevole, alla lotta al bullismo “anche informatico”; dall’educazione motoria e sportiva, all’incremento delle esperienze di alternanza scuola lavoro; dalla individualizzazione della formazione, alla valorizzazione delle eccellenze, passando per le attività di orientamento…
Insomma nell’indicare i possibili “scopi delle reti di scopo” nulla viene taciuto: c’è tutto quanto non può non esserci in una politica pubblica dell’istruzione e formazione. E, rispetto alle indicazioni generali del Regolamento dell’Autonomia, qui si entra nel dettaglio.
Personalmente (ma è solo una mia ipotesi..) tale è l’effetto del bricolage emendativo del lavoro parlamentare che ha prodotto la Legge 107…(che di quel bricolage porta segno strutturale..)
Ma rimane il fatto che un testo normativo siffatto, utilizzato per indicare gli scopi delle reti di scopo, sembra consegnare allo sviluppo di queste ultime l’intero repertorio della politica pubblica dell’istruzione.  

Potremmo dire: un bel rilancio valorizzante della autonomia scolastica!!! In sostanza ci sia affida ad essa per realizzare l’intera politica scolastica. Proprio tale enfasi apre il varco alla severità critica.
Per delineare davvero un modello siffatto occorrerebbe infatti  verificare altre componenti.
Provo a riassumere sinteticamente un “modello” di Amministrazione “regolativa” che affida la “produzione” del servizio pubblico a soggetti autonomi che operano ravvicinati ai cittadini portatori di diritti ed alla articolazione di potere e partecipazione del territorio e delle comunità locali.

1.      La Pubblica Amministrazione centrale (nel nostro caso il Ministero) deve misurarsi con il compito fondamentale di definire un sistema funzionale e coerente di distribuzione del finanziamento pubblico attraverso definizione di Livelli Essenziali di Prestazione, di “costi standard” (cosa diversa da “costi medi”), eventuali fondi di riequilibrio e solidarietà. Tale flusso di finanziamento ha carattere budgetario: il singolo produttore (l’istituzione autonoma) riceve il cumulo di risorse che ha le responsabilità di suddividere, destinare, impegnare, spendere secondo i criteri di appropriatezza, efficacia, efficienza di cui è interprete..

2.      Il cuore della “politica scolastica di sistema” si concentra nella definizione di “linee guida” impegnative per l’intero sistema, che esprimono le scelte di fondo della politica pubblica che vincolano il “soggetto politico” responsabile di fronte ai cittadini (darà conto politico della sua modalità di interpretare il “bene pubblico”) e l’attività conseguente dell’esecutore amministrativo (darà conto di promuovere la realizzazione coerente, efficace ed efficiente di quelle “linee guida” elaborate dal decisore politico). La nostra Costituzione afferma che un Ministro (espressione politica) è contemporaneamente responsabile della Amministrazione cui è messo in capo. (Certo se si considera che in 70 anni di Costituzione vi sono stati 63 compagini governative, è facile pensare che vi sia stata una inversione di ruoli tra politica e amministrazione nel dare continuità alla “politica pubblica”. E se guardiamo al potere e alla riproduzione del management amministrativo ne abbiamo ampia conferma…ma si sa…c’è il referendum sulla “carta più bella del mondo”..).
Elaborare linee guida esaustive e significative per le  scelte di fondo del sistema di istruzione e affidarne la realizzazione ai “produttori” anche attraverso un coerente e strutturato sistema di finanziamento budgetario, è cosa assai diversa dal sostituirsi alla elaborazione scientifica e culturale, armati del deterrente delle risorse finanziarie e del monopolio della gestione del personale, finalizzati a questo o quel progetto, con il “cuore” in Trastevere…La pedagogia e la didattica non sono compito e competenze dell’Amministrazione. Ma il controllo sui finanziamenti “finalizzati” rappresenta la gerarchia tra le direzioni generali..

3.      A livello sistemico vanno definite ed eserciate le attività di definizione dei livelli di qualità vincolanti delle prestazioni pubbliche, la realizzazione conseguente di un sistema di valutazione dei risultati e dei processi; la produzione di servizi coerenti di assistenza, consulenza, ricerca alla “produzione” messi a disposizione della pluralità dei produttori (singoli e/o associati). Nel caso specifico istituti e strumenti della “ricerca educativa” (credo sia inutile ribadire che non è il “mestiere” dell’Amministrazione..)

4.      Va definito e reso operante un sistema di “governo misto” tra i diversi soggetti che hanno titolarità di servizi alla cittadinanza sia di carattere formativo, sia da integrare con essi, a livello centrale e di territorio (si veda sempre il mio precedente intervento L'autonomia e l'ornitorinco).
Entro tale sistema di governance va collocato il ruolo “terzo”, ma di servizio all’intero sistema, delle tecnostrutture di ricerca e di service.

Insomma in tale modello, rispetto a quello tradizionale, lo Stato passa da “produttore diretto” a “regolatore” della attività di una pluralità di soggetti pubblici. La fisionomia di un Ministero cambia radicalmente. Il “primato del pubblico” non ha carattere di affermazione ontologica che proviene dall’etichettatura ministeriale, ma si verifica nella produzione concreta che dà corpo ai diritti di cittadinanza (l’istruzione nel nostro caso).
E’ un modello di “produzione pubblica”. Non è detto che sia il migliore. Ma è dentro tale modello che acquista senso pieno il richiamo alle attività di rete; non entro la riedizione dell’algoritmo del comando amministrativo, che “impacchetta” le reti come dispositivi di adempimenti.
I modelli sono sempre difettosi (sono fondati su descrizioni approssimate della realtà..). Sapere dei loro difetti consente, attraverso un sensato sistema di valutazione, di provvedere a necessarie correzioni. Ciò che non si può fare è pensare di “mescolare” modelli diversi: non si prende il meglio di ciascuno (vana illusione..) ma sempre se ne sommano i difetti… (vedi gli effetti storici di “un po’ di decentramento” immesso nel modello centralistico tradizionale: il decentramento diviene meccanismo di riproduzione e amplificazione dei difetti del centralismo…. Corruzione compresa..)

Una occasione? Ma a quali condizioni?

Il potenziamento dell’autonomia scolastica previsto dalla 107 e interpretato in questo caso attraverso l’iniziativa delle reti di scopo va nella direzione di rimodellare coerentemente il sistema?
E’ chiaro che non si tratta (o non solo..) di intenzioni, ma di misurare la congruenza di tali provvedimenti, con gli altri ingredienti del “modello”.
Per esempio la questione del carattere budgetario del finanziamento pubblico. Più elevata è la quota di finanziamenti finalizzati governata dall’algoritmo amministrativo (la negazione del carattere budgetario), più il richiamo alle reti rivela un carattere squisitamente strumentale (una mistificazione in realtà..) …
Ancora: più rimane concentrata nelle forme e nei dispositivi del “manuale operativo tradizionale” (nelle sue rigidità combinate a protezioni: titolarità, cattedre, classi di concorso, mobilità..) la gestione del personale, meno realistico e più mistificato è il richiamo alle “reti di scopo”. Manca infatti alle reti (come per altro alle scuole autonome..) qualunque grado di padronanza di una delle risorse fondamentali di un settore come la formazione: il lavoro vivo e organizzato.
Più recentemente il flusso dei finanziamenti non budgetari, ma “finalizzati”  (dai progetti digitali alla alternanza scuola lavoro) ha assunto la fisionomia di “bandi di finanziamento” cui le scuole (singole o in rete) possono/devono concorrere per realizzare diversi progetti. (vedi il rilievo nel mio “Banditi dall’amministrazione” ).
La Pubblica Amministrazione qui non è certamente “produttore”, ma non è neppure “regolatore”. Diventa in realtà soggetto “committente”. Si tratta di altro modello ancora, sovrapposto ai precedenti. Non siamo stati capaci di trasformare lo Stato da producer a provider (anni ‘80/90) e bypassiamo la transizione (blairiana?) con la funzione pubblica che si esercita direttamente come commitment… Dal New Public Management alla Thatcher (nella versione Tremonti/Gelmini?), ma con oltre un ventennio di ritardo e con interpreti politici che sostengono di avere ben altri riferimenti (coerenze e corrispondenze problematiche tra decisore politico e decisore amministrativo? E da quale parte stanno i “problemi”? Sono problemi di ispirazione culturale e politica o di competenza tecnica?).

La premessa del potenziamento e sviluppo dell’autonomia, e il rigore della sua realizzazione

Se si raccolgono le notazioni precedenti, e le si rileggano incrociate con numerosa e corposa elaborazione attorno alle problematiche dell’autonomia sviluppate in questi faticosi e solo in rarissimi casi entusiasmanti processi realizzativi (rinvio a letteratura) si comprende il registro qui utilizzato per elaborare un giudizio sulle iniziative ministeriali relative alle reti.
L’orizzonte di senso e di principio è ampio e si riferisce a riforme strutturali di sistema.
In questo senso la problematica delle reti potrebbe rappresentare una “occasione di sviluppo” coinvolgente e di permanente impegno (altro che scadenze entro il 30 c.m…). L’impacchettamento in uno dei dispositivi classici dell’algoritmo amministrativo (la Nota del “capo dipartimento”, le schede da compilare..) rischia in realtà di “ripiegare” tale prospettiva e di occultarla, appunto, tra le pieghe del pacchetto… L’occasione di sviluppo diventa ennesimo adempimento… Aggiungo che, paradossalmente, tale “riduzione” mortifica prima di tutto le non poche esperienze di rete che in questi anni si sono faticosamente sviluppate. Sicché da un lato si suscita la piccata reazione di chi dice “ancora impegni!!!”, e dall’altro si “distanzia” e si riduce a perplessità interrogativa la “conoscenza esperienziale” maturata dai più attenti interpreti della autonomia…

Il crogiuolo rimescola un miscuglio avvelenato: una “narrazione” politica esorbitante di “destini” (la buona scuola, lo sviluppo della autonomia, le sfide della società della conoscenza…); una produzione legislativa che sommerge le strategie (condivisibili o meno che siano..) nel bricolage dei micro rapporti di forza e delle micro rivendicazioni identitarie (una “legge di sistema” di un solo articolo e centinaia di commi…) con responsabilità politiche variamente distribuite tra chi comanda e chi si oppone (emendamenti prodotti in automatico dall’algoritmo dell’opposizione..); dispositivi applicativi di carattere amministrativo che riconducono la complessiva e instabile dialettica entro il rassicurante manuale operativo (vistovistovistovisto… e schede da compilare entro scadenze rassicuranti..)…Manca evidentemente un ingrediente fondamentale per costruire effettivamente una “transizione al cambiamento”
Non vorrei allargare troppo le considerazioni politiche: ma le riforme senza popolo non si fanno. O meglio: si possono concepire e realizzare con un severo e rigoroso giacobinismo, del quale però non si rintracciano attualmente interpreti politici adeguati.
Se non vi è disponibilità di giacobini e della loro vocazione al sacrificio, bisogna costruire pazientemente “il popolo delle riforme” …Sapendo però che ogni riforma, se autentica, incide e divide, non lascia le cose e gli interessi “come stanno” …Costruire il popolo delle riforme “richiede di..”, ma “non coincide con…” l’istanza del “garantirsi il consenso”… neppure rispetto a se stessi ed alle proprie convenienze, se la vogliamo mettere sul piano soggettivo. Non si twitta..

Il primo passo della costruzione non opportunistica del consenso (che ha sempre l’interfaccia speculare del dissenso altrettanto opportunistico) è quello di cimentarsi con la “costruzione del senso”. Esplicitare e socializzare i significati è impegno intellettuale, prima che politico, essenziale: Gramsci avrebbe detto “organizzazione della cultura”… Difficile affidare tale compito al paradigma amministrativo.

Underground: tracce nascoste di scopi di reti di scopo

Vorrei dedicare quest’ultimo paragrafo ai tanti colleghi (dirigenti, docenti..) che in questi anni hanno sperimentato impegno e impegnato risorse intellettuali e materiali per dare vita a quelle reti delineate nel Regolamento dell’autonomia nell’art.7 richiamato nei punti essenziali in un paragrafo precedente.
La “messa a regime” delle reti da parte del MIUR con il suo “pacchetto”, con ogni “se e ma… più o meno..” che possono caratterizzare il confronto/dibattito in corso, certamente sfida gli innovatori a compiere ulteriori passi in avanti, mettendo a frutto l’esperienza anticipatrice maturata.
Il “pacchetto ministeriale” che si cimenta con la sistematica delle reti di ambito e delle reti di scopo non lo dice. Ma siamo in presenza di un processo di definizione di un altro segmento di orizzonte nel quale collocare la problematica delle reti.
E’ stata infatti appena approvata la Legge delega per il riordino del terzo settore. Come tutti i provvedimenti delega occorre che il suo percorso venga seguito con attenzione critica e con sapienza politica: il settore ha davvero necessità di un nuovo inquadramento generale che ne recuperi il senso fondamentale, costruisca il sistema di garanzie perché tale significato non venga disatteso o deformato, si offra come “cornice” e intelaiatura che dimensioni, armonizzi, rilevi la espressione dell’impegno sociale della autonomia della società civile.

Il MIUR, nel dispositivo sulle reti, non richiama tale riferimento (pour cause, e meglio così..).
Ma il rapporto tra le istituzioni scolastiche autonome (singole o in rete) ed il terzo settore era già previsto e delineato negli ultimi commi dell’art.7 del Regolamento. “.. le istituzioni scolastiche possono promuovere e partecipare ad accordi e convenzioni per il coordinamento di attività di comune interesse che coinvolgono, su progetti determinati, più scuole, enti, associazioni del volontariato e del privato sociale. … Le istituzioni scolastiche possono costituire o aderire a consorzi pubblici e privati per assolvere compiti istituzionali….“.
Il rapporto tra scuole autonome e terzo settore ha una sua non molto diffusa ma significativa storia, fatta di diverse esperienze e rappresentazioni. Vi sono scuole cha han dato vita a fondazioni, a consorzi, in qualche caso ONLUS. (Anche le associazioni temporanee di impresa per gli l’istruzione tecnica terziaria sono esperienze dei questo tipo..) Più frequenti le associazioni, per maggiore semplicità d’uso degli strumenti giuridici. Comunque e per ragioni diverse hanno esplorato la possibilità di configurare soggetti giuridici “di scopo”, con le adesioni volontarie, i propri organismi, i propri programmi, le forme di rendicontazione delle attività.

Negli anni passati tali esperienze hanno dovuto misurare diverse difficoltà sia di carattere giuridico (per esempio alcuni Tribunali non hanno consentito la configurazione in ONLUS, la legislazione regionale sulle Fondazioni pone condizioni di capitale iniziale assai diverse tra loro…) sia dovute alla ostilità dell’amministrazione.
L’occasione del riordino del terzo settore ri declinata entro la dichiarata volontà di ri lancio delle reti di scuole potrebbe essere la condizione per un passo ulteriore in quella direzione.
Vi si connettono questioni fondamentali di principio e concezione dell’autonomia: le scuole autonome non o non solo come “filiali” del MIUR, ma “imprese sociali” che producono i servizi che rispondono  al diritto fondamentale di cittadinanza all’istruzione nel confronto diretto con i cittadini della comunità locale di riferimento, che possono raccogliere ed organizzare le risorse, varie e di diversa fonte, che la dinamica della società civile rende disponibili per la realizzazione di quel diritto.
Ma anche questioni di operatività efficace ed efficiente: i soggetti del terzo settore fanno riferimento al codice civile e non al formalismo del Diritto Amministrativo; accedono a forme di possibile finanziamento volontario, regolato certamente ma  non dai vincoli della contabilità di stato (di passaggio: le regole previste per le erogazioni liberali, in applicazione 107, in realtà le disincentiveranno radicalmente); sono vincolati a forme di rendicontazione che non sono solo economiche e contabili e che non sono solamente “pubblicità e trasparenza” (traguardi che per altro la PA non ha ancora raggiunto) ma soprattutto obblighi di rendicontazione e bilancio sociale. (Se si preferisce: il “bilancio di missione”, come si dice per le Fondazioni..).
Al di là degli sforzi classificatori del MIUR per distinguere tra “ambiti e scopi” il futuro progressivo delle “reti di scopo” potrebbe essere proprio quello di procedere ulteriormente nel promuovere la costituzione comune di nuovi soggetti giuridici capaci di raccogliere e promuovere “attorno allo scopo” tutte le risorse umane, materiali, organizzative e gestionali disponibili nella società civile,  per realizzarlo, dando conto della missione e dei risultati e non della corrispondenza formale con il manuale operativo delle PA (che serve ma deve servire ad altro…)

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