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LA BUONA SCUOLA OGGI: Documenti e interventi su  "Piano Renzi" (settembre 2014)

(17.03.2015)

La volpe, la lepre, e lo scopone “scientifico”
di Franco De Anna

 

Sia chiaro che non sono un cacciatore (se non forse di idee). E sia anche chiaro che non sono un animalista (come quelli che pensano che l’unico animale su cui si possa sperimentare un farmaco sia …l’uomo). So che i cacciatori (e i raccoglitori) hanno garantito lo sviluppo dell’umanità, per centinaia di migliaia di anni, dall’australopiteco al Cro Magnon, fino a circa 12 mila anni fa (scoperta/invenzione dell’agricoltura). Siamo tutti loro debitori. So anche che tra gli agricoltori (antichi e moderni), pochi, per non dir nessuno che conosca, sono animalisti, anche se spesso maledicono i cacciatori (ma per altri motivi…).
Pure, riflettendo su quanto dichiara il Governo di immettere nel Disegno di Legge sulla ”buona scuola”, e non conoscendo ancora  in dettaglio il suo reale e specifico contenuto, e riflettendo sull’ampio ventaglio delle reazioni di opinione che immediatamente si é sciorinato ai nostri occhi, e considerando che il drappo del sipario è governato dai media che non si pongono certo interrogativi di rigore informativo (si veda il perentorio e sbrigativo “I Presidi assumeranno i docenti..”. Vedi le testate di praticamente tutti i quotidiani… Danno una informazione palesemente deformata/parziale… ma che importa? Chi sta in questo mondo capisce i limiti e i contorni di quelle disponibilità. Ma chi ne sta fuori “memorizzerà” invece questa “epocale” svolta. ), sono stato obbligato, giocoforza a interrogarmi su problematiche venatorie.
Chi organizza la caccia? Quale è la preda? Quali i vantaggi dei cacciatori?
Si sa, la caccia alla volpe è in realtà una finzione. O meglio, una rappresentazione nella quale la preda (l’obiettivo dichiarato) è un oggetto assolutamente privo di significato in sé.
La volpe non si mangia, non è neppure di pelo così pregiato (giusto la coda, come trofeo..), e del resto i cani, se la raggiungono,  ne fan brandelli…
Il vero significato della caccia alla volpe è il rito, il raccogliersi di aristocratiche presenze, assolutamente indifferenti alla preda, ma impegnate nel galoppo e nell’inseguimento (e magari con qualche interessante deviazione in boschetti che favoriscano il coglier l’occasione…).
La preda (“quella” preda) è opzionale.
L’importante è che la compagnia di stimati attori e interpreti (con privilegio di invito all’evento), si eserciti al galoppo e, per qualche tempo, simuli di competere accanitamente (co’ i cani appunto). Contorno non trascurabile alla rappresentazione: le grida, i latrati de’ i cani, gli incitamenti, le destrezze equestri, al limite de’ i regolamenti e del savoir faire. Poi ci sarà, per tutti, il banchetto pacificatore (e, sia chiaro, non si mangia la volpe).

La lepre è tutt’altro. Si fa arrosto, ma meglio in salmì. La selvaggina, per andare in su’ la tavola dev’essere trattata. Non è cosa “pronta all’uso”, da quattro salti in padella.
Ma certo, l’affamato, fatta salva attenta cernita de’ i pallini di piombo del cacciatore, può trovare anche immediato conforto. Basta un buon fuoco, buoni denti e gusto de’ i sapori forti.
In ogni caso la preda “consiste”, dà un senso alla caccia stessa che non è solo “rappresentazione”.
Ma la caccia alla lepre è tutt’altro che facile. Le poche volte che mi è capitato, passeggiando in campagna (non abito  in città…), di stanarla senza volerlo, mi son trovato in una paralisi/meraviglia aristotelica ad ammirarne la velocità della corsa e lo scarto continuo di direzione, come una primadonna del balletto della Scala. Anche avessi avuto un fucile (ho un’ottima mira, sia detto per inciso), non sarei mai stato capace di coglierla. Paralisi da meraviglia, non altro pudore. (Certo i cacciatori hanno, a volte, rose di pallini larghe mezzo metro. Competizione sleale… Usa una carabina calibro 22. Ti voglio vedere..).

Lepri e volpi

Difficile uscir di metafora. Coltivarla consola l’anima con la ricongiunzione di immediatezza e profondità, che in genere son separate, e consente risparmio di fatica analitica.
Come se, nel pensiero, tutto fosse “già detto” attraverso una immagine. Che altro resterebbe da dire? Veda il lettore, di distinguere, nella vicenda “buona scuola” le volpi e le lepri.
Pure, il sito che ospita i miei pensieri (!?), vuole giustamente di più, e mi toccano (almeno) degli esempi.

In un precedente articolo indicavo, sempre per via metaforica, i rischi della caccia alla volpe che si era aperta con il documento sui “La buona scuola”. Il titolo del pezzo era indicativo: “Supermercato della speranza e congiura della reazione in agguato”

Tentavo di “fare il verso” da un lato alla raccolta, più o meno sottoposta ad attenta “destrezza comunicativa” di un corredo globale di rappresentazioni innovative ( con tanto di debiti lessicali all’anglosassone…), dall’altro al contrappunto di una  reazione segnata dal pregiudizio  “complottista/congiuralista” pronta a vedere in ogni proposta innovativa  il pericolo della “privatizzazione”, della “subalternità alla cultura di impresa”, della disuguaglianza della “meritocrazia” discriminatoria , dell’autoritarismo del Preside-manager. E via scongiurando.

La volpe era stata liberata e gli invitati sollecitati a galoppare, con tanto di “destrieri informatici” per una consultazione on line, in sé  apparentemente disintermediante (parlo direttamente con il premier? Allora Matteo, ascoltami…). Ma l’intermediazione ci fu, eccome! Dai Collegi dei  Docenti (!?) a conferenze di servizio degli USR. Al galoppo.
D’altro canto gli zoccoli su terreno morbido così percosso  sollevavan zolle come proiettili inzaccheranti  in tutte le direzioni. Difficile proteggersi senza reagire. Così si andò dal potenziamento degli insegnamenti di Storia dell’Arte,  alla Musica, al “coding” informatico (a proposito di innovazione: chi si ricorda il confronto, primi anni ’80, tra cultori del valore formativo dei linguaggi, dal Basic, al Pascal, al Logo, e chi proponeva i “pacchetti integrati” come strumenti di uso significativo per le applicazioni del  “fare scuola”? Ricordo interlocutori che, purtroppo non sono più: da Fabio De Michele a Marta Genoviè De Vita…). 
E i contendenti han risposto  a modo.  Per esempio in proposito di coding mi scrisse , invitandomi a prender posizione,  anche un vecchio amico-maestro come Mario Fierli…Altre parole ci mise Benedetto Vertecchi.
Galoppa comunque, e dimentica i pensieri, semmai approfitta dell’occasione… Come se tutto fosse “nuovo”...
Qualcuno (non ricordo chi…) ha detto “chi dimentica la storia è condannato a ripeterla”. Vorrei correggere  la seconda parte dell’affermazione: “… è condannato a non saper/poter  decidere se mantenerla (continuità, conservazione) o cambiarla (riforma/rivoluzione),  sicchè lascia che si compia..”.
Importante, in questo approccio,  non è la preda, è il galoppare.
Sul “programma di  caccia” (la buona scuola),  una preda era davvero “forte”. Centocinquanta mila precari in ruolo non sono una volpe dietro cui galoppare per diletto, sia pure “dialettico”. Sono una lepre (e che lepre!!) da catturare, trattare e rendere al meglio commestibile e gradevole al palato.
Fuor di metafora: le risorse necessarie per raggiungere l’obiettivo sono ingenti. Sul tavolo della partita non ne rimangono molte altre (ammesso che ne rimangano).
Ciò significa che, quale che sia la rappresentazione (la volpe e la preda aristocratica), i giochi son (quasi) fatti. Rimane, appunto, il diletto del galoppo su altri obiettivi  e della simulazione della competizione senza preda “vera”.   
Naturalmente possiamo sempre ribadire l’esigenza di ”investire in istruzione”,  o il richiamo alla sentenza  europea sul lavoro precario, o la comparazione internazionale  delle  retribuzioni degli insegnanti, o denunciare la paralisi dei rinnovi contrattuali.  Fa parte del copione. Della volpe.

Ma la lepre (ingombrante..)  sta lì, e non è pur detto sia facile catturarla.
Ricordo sempre un Ministro (non faccio nomi..) che durante un trattativa nazionale (anni ’80) ci prese da parte, noi della CGIL con nella testa la “riforma della scuola “e poi e di conseguenza” le rivendicazioni di categoria”, e ci disse: “..ma perché chiedete così poco?..”  (qualcuno, che scrive anche su queste pagine,  ricorda certamente) Come finì, secondo voi?
In quegli anni il debito pubblico era circa l’80% del PIL. Sono passati trent’anni e oggi è al 130% del PIL, non ostante avanzo primario, che significa produzione e fiscalità. (Il disavanzo è frutto dell’onere del debito contratto). Non credo sia sensato che  ne debbano passare altrettanti per “rientrare” (vedi tutte le suggestioni di “sbilanciamoci”) , ma certo occorre qualche dose di realismo da cacciatore (hai una doppietta o un calibro 22?), per distinguere una lepre da una volpe. 
Se metto in ruolo 150 mila persone, la “dotazione” per una riforma non avanza molte altre risorse. Semmai ci sarebbe da concordarle con le pensioni o con il sistema sanitario.
Difficili definizioni di priorità, e ancora più difficile, al dunque, raccolta di consenso..
Qualche galoppatore che insegue la volpe potrebbe dire “ma l’evasione fiscale…!!?” . Certo. Galoppa amico mio … dopo qualche decennio di rigore “calvinista” (!?), se tutto va bene, ne riparleremo.…
Ma occorre intervenire  ora, e dunque? Rinviare non si può, occorre un programma.
Lo ha scoperto anche la sinistra greca… Non bastan le dichiarazioni, per convincenti che siano, per neutralizzare le armi dell’avversario e sconfiggerlo
Prendiamo atto che sul tavolo della innovazione della scuola, l’ immissione in ruolo di migliaia di precari ha un effetto gravitazionale fondamentale. “Curva” l’intero universo della questione scuola. E del resto è così da almeno trent’anni. Segno che vi è qualche cosa di più di una contingenza colpevole (concorsi non fatti… meccanismi di assunzione difettosi…trent’anni di trascuratezza). In realtà si tratta di un modello, non di un “incidente”.
Un modo di intendere, inquadrare, classificare e infine retribuire un lavoro assimilato al Pubblico Impiego (modalità di formazione, di reclutamento, di organizzazione nel “manuale operativo” della P.A., in particolare evidenza).

 Volpi e volpacchiotti, lepri e leprotti.

 Ma, giusto per non togliere gusto alla competizione, soffocandola con le immissioni in ruolo, si possono sempre aggiungere ”varianti” stimolanti per il galoppo ; nel dibattito in corso sulla scuola se ne contemplano numerose. Uso come esempio una questione che ovviamente suscita (scatena..) discussione fortemente caricata di ragioni ideali-ideologiche, come quella variamente agitata delle forme di finanziamento delle scuole.
Me ne sono occupato da molti anni, esplorando diversi versanti della questione. Per esempio la possibilità di intrepretare l’autonomia delle istituzioni scolastiche in chiave di sussidiarietà dando vita (non “diventando”, ma “dando vita”) a soggetti del terzo settore come Onlus o Fondazioni: L’accesso al mondo no profit avrebbe consentito (consentirebbe) di accedere sia a forme di finanziamento, sia a rapporti economici nei quali si scambiano valori ma non profitti, e vincolando la propria attività alle regole di rendicontazione e rendicontazione sociale che sono proprie del terzo settore. Nulla impedisce che una o più scuole diano vita ad una Fondazione, o  che una associazione di genitori o ex alunni si costituisca in Onlus e diventi canale, controllato, “pubblico” e rendicontato, di finanziamento finalizzato. (Del resto vi sono alcuni esempi già operativi da anni…).

Ma una simile prospettiva, a parte la sperimentazione coraggiosa che comunque ha stimolato, richiederebbe un consolidamento “di principio” e anche “di regole” sulla fisionomia di quell’ente pubblico particolare che è la scuola autonoma e, (implicitamente) di quali siano i suoi rapporti con il “superiore” Ministero. (Per esempio sarebbe necessario dare profonda revisione alle regole contabili e finanziarie della scuola stessa).
Qualche anno fa scrissi un articolo (tra altri sul medesimo tema)  in cui prendevo spunto da una questione di fondo della struttura economica del nostro paese: la contemporanea presenza di un enorme debito pubblico e di un risparmio privato di consistenza assolutamente rilevante, anche nel confronto internazionale.
In un “paese normale” la connessione tra debito pubblico e risparmio privato è realizzata dalla mediazione della fiscalità… Ma da noi….
Ma è anche vero che di fronte a una impresa collettiva e pubblica di particolare rilievo storico, sono molte, anche nel panorama internazionale, le esperienze di utilizzazione del risparmio privato attraverso sottoscrizioni pubbliche, emissione di obbligazioni, prestito finalizzato  (dalla Tennesse Valley, alla ricostruzione post bellica, alla riunificazione della Germania..)..
In quell’articolo proponevo in modo un poco provocatorio,  che rispetto alla esiguità delle risorse pubbliche disponibili per la scuola, e alle esigenze di rientro del debito pubblico, e a fronte della disponibilità di risparmio privato, il Governo emettesse dei minibond finalizzati al finanziamento del sistema di istruzione, ovviamente a lunga scadenza (Citavo l’esempio di molte università, come per esempio il MIT di Boston che emette bond trentennali a rendimento modesto ma sicuro per il proprio finanziamento; ma anche una ipotesi francese per finanziare la ricerca…).

La provocazione consisteva in realtà non tanto nella “proposta economica”. Quanto nel fatto che la raccolta (volontaria ovviamente)  del risparmio privato per indirizzarlo verso una “speciale” finalizzazione pubblica necessita di alcune condizioni politico-operative  che riguardano “l’essere pubblico” e le forma di organizzazione pubblica,  nonché il livello di fiducia-rendicontazione –controllo che il soggetto pubblico è in grado di offrire ai cittadini. Insomma per la Tennessee Valley, ci vuole Roosevelt…e non se ne vedono in giro…

Così è meglio (più conveniente?) liberare la volpe del fund raising o del crossfounding  (come è utile il camuffamento anglosassone) come potenzialità da lasciare alla abilità, impegno, responsabilità del singolo Dirigente Scolastico (oh cchè: non è un “manager”, Sindaco, Leader democratico, o, secondo scelte, un autocrate/burocrate  ecc..ecc..?), piuttosto che affrontare la questione ricordata di ri configurazione effettiva dell’autonomia scolastica, revisione strutturale del rapporto con il Ministro, riscrittura radicale delle regole di funzionamento e rendicontazione economico-finanziaria.
Meglio lasciare tutte queste cose nell’immaginario e generico “alleggerimento burocratico”, (e intanto lasciare per esempio che i bilanci “pubblici” delle scuole siano in sostanza opachi – falsi?-  perché caricano nelle entrate, gonfiandole,  crediti che non sono realisticamente esigibili, il debitore è il MIUR… ed è il debitore che ha imposto il “trucco contabile” nel Bilancio della scuola…).
Ah se il preside-manager potesse impacchettare quei i crediti e farne dei derivati da piazzare sul mercato!!!Potesse fare come il Monte de’ Paschi…
Intanto è più conveniente  liberare la volpe della “ricerca del finanziamento privato..” Così si rincorron tutti, scambiandosi accuse di privatismo e aziendalismo o di  retroguardia passatista e gentiliana, o di svendita della scuola a interessi privati…
Non riescono proprio  a liberarsene, i Presidi, di tanti imprenditori che li inseguono, soldi alla mano, per impadronirsi della scuola, e sottometterla ai loro interessi “privati”…
(Mi rimane sempre difficile, da difensore del valore pubblico, capire il motivo per il quale tanti “ideologhi” della scuola pubblica non si curino del fatto che i suoi bilanci “pubblici” siano in sostanza menzogneri e diano informazioni false ai cittadini, ma trovino scandaloso  che i genitori diano “contributi volontari”… Intanto, non ostante l’artiglio dell’opposizione, l’autore del trucco contabile mantiene responsabilità di primo livello nell’amministrazione…)

 
Volpacchiotto e leprotto

 Solo un altro esempio tra i tanti. Alle paritarie è annunciato un contributo indiretto, sotto forma di bonus fiscale. Ovviamente partono richiami angosciati sull’art.33 della Costituzione. Nulla da eccepire. Anzi.
Ma a prescindere dalla eccezione della “autentica interpretazione Costituzionale” (ricordo una speciosa spiegazione del “senza oneri per lo Stato” che sottolineava che effettivamente lo Stato non era “obbligato” a sostenere l’iniziativa privata in campo di istruzione, ma “non obbligato” non significava che “volendolo, non potesse”. Interpretazione speciosa, ma che ha sorretto una intera stagione storica della politica scolastica. Non sarà un caso che la legge di Parità, dopo quasi cinquant’anni di politica scolastica repubblicana, sia venuta da un Ministro (allora) comunista.
Politicamente mi proverei a capire il significato di quella misura oggi proposta di sgravio fiscale, che non dà risorse dirette alle scuole paritarie, ma che alleggerisce fiscalmente i cittadini che ne usufruiscono (si misuri quanto e si vedrà l’entità “dell’oggetto del contendere”. Naturalmente “conta il principio” ma, numeri alla mano,  credo che se mi mettessi dalla parte delle paritarie, avrei di che offendermi della elemosina. E credo che  per le famiglie che mandano i figli alle paritarie lo sgravio fiscale sia prossimo alla insignificanza).
Avendo fino all’altro giorno operato sul campo come ispettore in tante visite per il controllo sulla parità, potrei dire sinteticamente come di seguito.

Vi sono casi (specie nella superiore) nei quali il problema sta nella stessa Amministrazione che, a suo tempo male applicando la Legge di Parità, riconobbe come paritarie (cioè svolgenti un servizio “pari” a quello pubblico) scuole che erano lontane dal presentare i requisiti richiesti. Con l’aggravante che ogni volta che si intervenga con proposta di togliere la parità (me ne sono capitati alcuni casi…) ci si paralizza con ricorsi e contenzioso, nei quali l’Amministrazione non si sa “da che parte stia” (gioie e dolori del fare l’ispettore…). Con qualche pudore (?!) il Ministro oggi dice che non estende alla Superiore il bonus, poiché “lì ci son casi di gestione discutibile…” . Oh!!! chi ha dato la parità? E chi lasciava inevase ed anzi ostacolate le relazioni ispettive? I responsabili, nella struttura del Ministero, han nome e cognome…

Vi sono casi (specie scuola dell’infanzia)  nei quali il Sindaco (comunista et similia) del Comune di collina, ti si raccomanda: “ispettore, non mi tocchi la scuola delle monache, per favore, altrimenti non saprei come fare..” E siccome ormai le monache (che lavoravan per amore dei) non ci son più, la cooperativa di genitori che tenta di sostituirle nella gestione, si ritrova a fare i conti con il problema di fornire un servizio che rispetto al piccolo Comune ha indiscutibile significato pubblico, ma dovendo misurarsi con costi e impegni “fuori misura” per la cooperativa stessa. Ma “fuori misura” anche per le risorse del Comune. E le due “fuori misura”, spesso di schieramento politico opposto, trovano insieme la “misura adeguata” per offrire un servizio pubblico.

Vi sono casi in cui da “controllore della parità” ti misuri con una cultura che ha “insegnato ad insegnare” a tutti noi. Fate un esercizio: rileggete la “Ratio studiorum” dei Gesuiti e confrontatela con alcune pratiche che oggi consideriamo innovative e scoprirete che già nel ‘600 … Per esempio se prendete la tecnica della disputatio  e provate a darle un nome anglosassone e qualche supporto digitale…
Se poi, come mi accadde in una visita ispettiva ai Salesiani (?!) il rettore mi presenta un CD con gli interventi del corso di formazione nazionale per i loro Presidi/Rettori, nel quali compare, e con grande successo e rilievo, l’intervento di Bertinotti che si conclude invitando ad una comune alleanza per difendere i deboli e gli oppressi…
Vi sono casi in cui, anche nel più discutibile esamificio, che però non riesci a far chiudere (perché come sempre e ovviamente la quinta colonna sta al quartier generale)  trovi giovani insegnanti superprecari che ci metton l’anima per porre rimedio, inventandosi tutto il recupero e rinforzo possibili, a ciò che esimi colleghi di ruolo non son riusciti a fare ma che hanno dato al loro fallimento il volto delle ripetute bocciature  
Quante cose stan dentro, a fianco, al di sotto e al di sopra dei puntigliosi richiami all’art. 33… Ma ciò che mi preme è mostrare l’effetto volpe/lepre, e come venga usato con oculatezza da un lato (proporre  prede immaginifiche ma insignificanti) e con stoltezza dall’altro (non guardare alle lepri che davvero passano, veloci e imprendibili, per inseguire le volpi, che se anche prese, a nulla servono se non per ornamento di code…).

Le scuole paritarie, soprattutto quelle del primo ciclo, non quelle prestigiose di Gesuiti e Salesiani (o, per altre e opposte ragioni, gli esamifici  ) sono “alla frutta”. Altro che prospettive di “privatizzazione del sistema”. Economicamente non reggono più. O si viaggia su rette di assoluta aristocrazia ( ma oltre un certo livello le famiglie possono scegliere l’estero…) oppure non si riesce a far quadrare i conti. Gli interventi che si propongono oggi da parte del Governo, quale ne sia il parere e l’opinione che si formula, sono interventi di rimedio e di piccolo cabotaggio… Altro che strategia di privatizzazione.
Il giudizio politico va commisurato a tale analisi della realtà, altrimenti è inconsapevolezza del problema e dunque difetto strategico, per quanto roboante sia il richiamo alla Costituzione. Ma considerazione speculare vale per il Governo: ha senso rischiare una immagine politica, non per assumere più o meno energicamente e chiaramente un principio e per darne corso o per definire una saggia ed operativa mediazione, ma per praticarne una versione da “piccolo cabotaggio”, di favore elargito a schieramenti prossimali, da tener buono il piccolo alleato che gioca all’ago della bilancia…
Ma tanto i puri e duri e intransigenti inseguon le volpi.
In proposito basterebbe un sintomo. In un articolo su queste pagine, commentando la fase di avvio del Sistema Nazionale di valutazione, denunciavo difformità del Questionario Scuola, attraverso la compilazione del quale il MIUR rileva alcune caratteristiche delle scuole. Questionario che è comunque una fonte di dati da usare per il rapporto di autovalutazione e che ha (con tutti i difetti dello strumento applicato per la prima volta) se non altri pregi, quello di essere uno strumento unitario, eguale per tutte le scuole, capace dunque di abilitare il confronto e la comparazione dei dati.
Bene: il questionario approntato per le paritarie (obbligate come le statali alla valutazione) in tutto è eguale a quello delle scuole statali, tranne per le rilevazioni relative alla gestione delle risorse, ai finanziamenti, alla spesa per la progettazione del POF (si tratta comunque di variabili che influiscono sul giudizio di parità). Trovo gravissima la cosa.
Ma forse non per ciò che pensa il lettore… a me pare francamente “politicamente stupido” che una amministrazione che sta dando avvio ad un progetto pieno di rischi, contraddizioni, difficoltà, come quello della costruzione di  Sistema nazionale di valutazione, corra il rischio di compromettere tale impegno (per molti versi davvero storico..) per un “favore piccolo piccolo” ad una “clientela” piccola piccola (non saranno certo Gesuiti e Salesiani ad avere paura delle domande del questionario. Un gesuita ha sempre la risposta giusta… Non così un Ministro).
Ma, ovviamente c’è pure l’altra faccia della questione: quel mio rilievo non ha avuto alcun seguito. Probabilmente i tanti colleghi presi dall’inseguimento della polemica sulla valutazione, non sono riusciti a scorgere questo parallelo oggetto di intervento politico come quello che, ponendosi il fondamento del sistema di valutazione, occorresse garantire “per l’intero sistema” uniformità di strumenti, approcci, scale di valori, metodologie valutative.

Sicchè il piccolo cabotaggio di governo finisce per “tenersi” con le roboanti opposte dichiarazioni di principio dell’artiglio dell’opposizione.

Infine un consiglio al Sindacato. Nello scopone scientifico, se ti limiti a rispondere colpo su colpo, devi sapere che con certezza quasi assoluta alla fine vince chi tiene il mazzo. Se non hai il mazzo (e il Sindacato non lo ha più in mano dalla fine degli anni ’70) e se vuoi conservare la speranza di fare la partita, devi sparigliare… Non rispondere carta su carta a quelle dell’avversario, ma trovare nuove combinazioni… altrimenti puoi, al massimo, limitare i danni, ma perdi.
Io avrei provato (con opportune furbizie) a buttare sul piatto due carte diverse: l’unificazione giuridica ed economica della funzione docente (a prescindere dalle tradizionali classificazioni: pensate in prospettiva al riflesso di ciò su quello che chiamiamo “organico funzionale”), e l’orario di lavoro (una parte di flessibilità non mortificata da contenitori pre-definiti,  dedicata all’autonomia…).
Ma certo occorreva davvero cambiare anche le proprie convenienze immediate.

Facciamoci coraggio.   

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