Direzione didattica di Pavone Canavese

Conchiglie

piccole riflessioni nel mare della psicologia
a cura di Daniela Bardelli

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Non si può non comunicare

Continuiamo le nostre piccole riflessioni...

Vi propongo un argomento che può interessare un po' tutti in quanto si tratta di uno degli elementi più importanti nella nostra vita quotidiana: la comunicazione.

Spesso sentiamo dire che le cose non vanno perchè non c’è comunicazione: a scuola non si parla abbastanza, a casa neanche, sul lavoro....per carità...ma dimentichiamo che non è possibile che non ci sia comunicazione in quanto non è possibile non comunicare: ogni nostro comportamento è comunicazione, anche il più piccolo gesto quotidiano è comunicazione. A parte alcuni comportamenti patologici per eccellenza, come l’autismo o certe forme di schizofrenia, in cui vi è un tentativo quasi riuscito di non comunicare con l’altro, quotidianamente ci troviamo in situazioni in cui è presente, più che in altre, la voglia di non comunicare: quando litigo, quando parlo e il mio interlocutore mette le cuffiette, quando non ho tempo e non rispondo alle domande... Sono alcune delle situazioni in cui sembra che non ci sia comunicazione: invece si comunica di non voler comunicare.

Ogni comportamento ha valore di messaggio e siccome non è possibile avere un non-comportamento, non è possibile non comunicare. L’inattività, il silenzio, l’indifferenza, l’urlo, il sonno, la risposta verbale: tutto è comunicazione. Il viaggiatore in treno che tiene gli occhi chiusi comunica di non voler comunicare così come due persone che litigano animatamente.

Così come non si può non comunicare, non è possibile non rispondere alla comunicazione. Se siedo di fronte al viaggiatore con gli occhi chiusi e lo lascio tranquillo comunico di aver capito e di accettare il suo messaggio mentre, se tento di iniziare un dialogo comunico di non essere interessato alla sua "proposta" e ne faccio un’altra: starà al viaggiatore rispondere...

Nella comunicazione quindi ci sono sempre due momenti: uno propositivo ed uno imperativo.

Nel dire semplicemente "ciao come stai?" c’è un momento propositivo che è il mio saluto e un momento imperativo ("e tu?"), che impone una risposta. In ogni comunicazione quindi c’è sempre una situazione di domanda e una di risposta.

Alla mia domanda posso avere più tipi di risposta: è importante chiarire che si parla di comunicazione in termini di relazione quindi la risposta è sul piano della relazione e non dei contenuti, ossia non importa quello che dico ma come, perchè, a chi....

La mia comunicazione può essere accettata e/o confermata, ossia al mio messaggio relazionale l’altro risponde positivamente (ottengo conferma sul piano della relazione) ad esempio dico "ciao" e l’altro muove la mano in segno di saluto; può essere rifiutata, ossia al mio messaggio relazionale l’altro non risponde positivamente (ottengo un rifiuto sul piano della relazione) ad esempio dico "ciao" e l’altro mi risponde "non ho voglia di parlare con te"; può essere rifiutata attraverso l’utilizzo di un sintomo, ossia il soggetto che deve rispondere fa finta di essere impossibilitato a rispondere per giustificarsi, in modo da non essere biasimato; può essere disconfermata o squalificata: questo tipo di risposta ha alla base una risposta del tipo "tu non ci sei, per me non esisti", ad esempio dico "ciao" e l’altro si volta e se ne va. In termini di relazione è la risposta più patologica che si possa avere in quanto nega l’esistenza del soggetto da cui proviene il messaggio.

Ogni comunicazione, poi, non soltanto trasmette una informazione ma contemporaneamente impone un comportamento, quindi è composta da due parti fondamentali: il contenuto (informazione) e la relazione (comportamento).

La relazione è un metalinguaggio rispetto al contenuto, ossia è un elemento che lo classifica e lo definisce. Infatti il messaggio relazionale, cioè il comportamento, è più difficile da interpretare ma è più forte del contenuto: in ogni relazione è molto importante il termometro emotivo che, nelle relazioni non patologiche, si alza e si abbassa.

La relazione definisce e fa riferimento alle asserzioni del tipo "ecco come mi vedo...ecco come ti vedo...ecco come credo che mi vedi...". Un comune errore, a questo proposito, è cercare di mettersi d’accordo sul piano dei contenuti quando non si è d’accordo su quello della relazione. Un esempio è quello di una coppia in separazione che litiga sugli orari e sui diritti / doveri rispetto ai figli e non riesce a mettersi d’accordo in quanto non sta litigando sui ruoli genitoriali ma sui ruoli coniugali. A volte basta ampliare il contesto per ottenere un cambiamento.

Il contesto è un elemento fondamentale per comprendere la comunicazione in quanto è la matrice dei significati, qualifica i messaggi e aiuta a discriminarli.

E’ il contesto che fa leggere un sistema in un modo piuttosto che in un altro. Per cui, se io cambio il contesto ad un evento, cambio l’evento stesso. Per esempio: se a luglio vedo gente girare in costume non rimango stupito ma la mia reazione è diversa se ciò accade a dicembre. Se poi aggiungo qualche piccolo elemento al contesto, la mia reazione cambia ancora: ad esempio, se so che c’è una telecamera che sta riprendendo non mi stupisco della gente in costume anche se siamo a dicembre. La telecamera diventa un segnale di contesto; cogliere piccoli segnali di contesto mi permette di rileggere e ridefinire il problema e questa ridefinizione è la parte iniziale della soluzione.

In questo primo articolo sono stati presentati brevemente alcuni degli assiomi della comunicazione proposti da D. D. Jackson ed espressi in seguito da P. Watzlawick. Entrambi sono considerati tra i principali autori e fondatori della psicologia sistemica e fanno parte del "Mental Research Institute" di Palo Alto, California.

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