Direzione didattica di Pavone Canavese

Conchiglie

piccole riflessioni nel mare della psicologia
a cura di Daniela Bardelli

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Che ci serve per non litigare ?

La "problematicità" dei comportamenti aggressivi è il punto di partenza di questa riflessione: l’aggressività non è una necessità ma è una delle risposte possibili alle situazioni conflittuali.

La risposta aggressiva è una risposta primitiva e molto diretta; rispondere in modo cooperativo, cioè tenendo conto della presenza dell’altro, non è altrettanto immediato, richiede maggiore impegno ed energie ma rende possibile la risoluzione di un conflitto alla radice mentre la soluzione conflittuale, determinando un vincitore e un vinto, spesso non agisce sulle cause che hanno determinato il contrasto. Ciò può anche significare che un conflitto risolto unicamente in termini aggressivi avrà maggiori probabilità di riemergere e di riproporsi.

La situazione di contrasto non è necessariamente negativa in quanto evidenzia l’esistenza di diversi punti di vista e di opinione di cui magari non ci si era resi conto prima. Il conflitto, quindi, può essere considerato anche un fattore di sviluppo cognitivo perché impone il confronto con un altro modo di veder le cose e ci costringe a confrontarsi con le opinioni altrui: il conflitto mette in crisi e la crisi è un importante momento di crescita e di cambiamento.

Nella letteratura emergono alcune condizioni e pre-requisiti necessari per poter intraprendere una strada di risoluzione creativa dei conflitti:

  1. la sicurezza, in quanto più una persona si sente insicura più facilmente ricorre a modalità difensive di tipo aggressivo.
  2. La sicurezza personale è un fattore indispensabile affinchè il bambino possa avventurarsi verso altri pianeti sociali, ad esempio altri bambini, sapendo che in caso di pericolo ha la sicurezza di un porto sicuro al quale tornare. Ecco che spesso l’aggressività vuole essere una modalità di affermazione personale o di esistenza (distruggo quindi esisto);

  3. la capacità di ristrutturare a livello cognitivo cioè la capacità di "staccarsi" dalla situazione conflittuale considerando la situazione da un punto di vista globale e complessivo evitando di arenarsi sul momento finale relativo allo scontro. La ristrutturazione cognitiva permette poi di scoprire nuove modalità di reazione e di relazione (capisco quindi agisco consapevolmente);
  4. la capacità di usare il linguaggio: lo strumento verbale facilita la risoluzione dei conflitti in quanto permette il distacco dalla situazione di scontro aiutando la rielaborazione e la riflessione sull’esperienza vissuta (chiarisco e non si generano interpretazioni);
  5. la capacità di simbolizzazione, cioè il distacco dal reale, che è un pre-requisito importante per l’instaurarsi di comportamenti collaborativi. La capacità di agire simbolicamente sugli elementi del reale (anche a livello simbolico) consente di recedere dalla soddisfazione immediata dei propri bisogni. Man mano che aumenta la capacità di agire simbolicamente sugli elementi del reale aumenta progressivamente l’abilità di tenere conto del punto di vista degli altri (mi fermo a riflettere senza la "paura di perdere");
  6. l’empatia, ovvero la sensibilità sociale alla presenza altrui e la capacità di tenerne conto sia a livello emotivo che a livello cognitivo: non si tratta solo di un contagio emotivo che permette di sperimentare i sentimenti dell’altro ma soprattutto della capacità "non appresa" di tenere conto dei sentimenti dell’altra persona facendoli propri e relativizzando così i ruoli (io esisto anche in funzione dell’altro).

Esistono sicuramente modi diversi di vivere il conflitto i quali però dipendono solo in parte dalle caratteristiche individuali, e se è vero che i fattori interni influiscono in molti modi, e non poco, sul comportamento, sugli atteggiamenti e sulle modalità di reazione individuali, non meno importanti sono le altre forze, spesso controllabili, di natura sociale e ambientale.

Tra queste, definibili " fattori esterni", sottolineiamo :

La tolleranza implica il saper vivere amichevolmente ed è fondata sulla fiducia, su un atteggiamento ottimistico nei confronti delle intenzioni e dei comportamenti altrui. La fiducia negli altri presuppone poi un certo atteggiamento positivo di base da cui deriva la fiducia in se stessi.
E’ possibile educare alla tolleranza?
Il modello competitivo è così diffuso che spesso sono gli stessi adulti ad incoraggiare i comportamenti aggressivi dei bambini.
La socialità, ai suoi vari livelli, comporta inevitabilmente l’emergere di conflitti fra l’individuo e il gruppo ma è importante sottolineare che la cooperazione non porta all’annullamento della personalità individuale o al suo appiattimento: vivere con gli altri significa prima o poi difendere la propria identità, indipendenza e autonomia ma questo non implica automaticamente il ricorso all’aggressività. Di fatto la competitività non porta all’autonomia ma alla pura e semplice contrapposizione.

La capacità empatica spesso risulta atrofizzata come la capacità di vedere il mondo dal punto di vista degli altri sia sul piano emozionale sia sul piano cognitivo.
Piaget sosteneva che le istanze cooperative e i fondamenti stessi della moralità dipendano dalla capacità dei bambini di svincolarsi dalla morale costrittiva sperimentata nei rapporti con i genitori e suggeriva che ciò avvenisse proprio nell’incontro-scontro con i coetanei, palestra di regole autonomamente create e negoziate ma fondamentali per la convivenza.
Il bambino possiede "geneticamente" alcune abilità pro-sociali ma vi sono condizioni che ne favoriscono o ne impediscono le attività. Gli studi sull’empatia hanno mostrato come già nei primi mesi di vita venga posta attenzione allo stato d’animo dei partner di gioco e dei propri amici in particolare. Fin dalla media infanzia il bambino sa concepire l’amicizia come una relazione diadica (a due) che deve essere tutelata e sostenuta anche a scapito delle esigenze dei singoli, ma all’interno della quale è possibile e necessario che siano preservate l’identità individuale e l’autonomia personali.
Riconoscere l’altro come uguale a sè non solo impedisce di farsi del male ma stimola il comportamento empatico e prosociale.
Il fatto che nel corso di un’interazione i bambini strutturino un comportamento cooperativo piuttosto che competitivo dipende dalla presenza e dall’intersecarsi dei diversi fattori prima menzionati ed è quindi evidente che è possibile agevolare e promuovere i comportamenti tolleranti e cooperativi.
E’ quindi possibile, in quanto genitori ed educatori, incoraggiare il bambino ad avere fiducia nelle proprie possibilità di superamento e di risoluzione dei conflitti, sollecitarne l’autonomia promuovendo l’adozione di un atteggiamento di tipo tollerante anche attraverso l’accettazione attiva della "diversità" ( di qualunque genere essa sia) in quanto possibile fattore di crescita personale, di apprendimento e di arricchimento.

Per arrivare a tutto ciò…si inizia dal principio…..

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