Direzione didattica di Pavone Canavese

L'educazione interculturale nell'anno del POF.....

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(06.03.2003)

La personalità nonviolenta
Diario di guerra n. 3

 Mi è capitato spesso, in questi mesi convulsi, di ritornare ad un filosofo che considero una delle figure più significative degli ultimi cinquanta anni. Si tratta di un distinto signore nato 70 anni fa a Cles e, dopo complesse vicende, finito ad insegnare filosofia pratica all’università di Stoccolma (per la sua biografia si veda il sito dell’Enciclopedia Multimediale delle scienze filosofiche).

Sua è la più importante antologia di scritti di Ghandi cui ha premesso una dei più significativi studi sulla nonviolenza (Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, nuova edizione, Torino 1996). E’ inoltre uno dei fondatori della International University of Peoples' Institutions for Peace - Università Internazionale delle Istituzioni dei Popoli per la Pace, (UNIP) con sede a Rovereto.

Sin dal suo primo testo (1974, oggi introvabile) Pontara si interroga sulla questione del rapporto fra fini e mezzi, ovvero della domanda cruciale che a tutti ricorda Machiavelli: "Il fine giustifica i mezzi?".

Ebbene, dicevo, in questi mesi più volte sono tornato ai suoi studi. A dire il vero ci siamo anche incontrati a dicembre, a Torino, all’interno di una serie di manifestazioni realizzate dal comune sul tema dell’obiezione di coscienza e del servizio civile alternativo al servizio militare. E’ certo stato per me un grande maestro: quando ci siamo conosciuti oltre 20 anni i suoi capelli non erano così bianchi ma la vitalità è la stessa. Come anche la curiosità e la stringente logica argomentativi

La personalità nonviolenta

Nel 1996 Pontara ha pubblica per il Gruppo Abele un libricino che oggi torna di grande attualità intitolato appunto La personalità nonviolenta.

Da pagina 40 in poi Pontara elenca le 10 caratteristiche della personalità nonviolenta che sommariamente riporto:

  1. il ripudio della violenza
  2. la capacità di identificare la violenza
  3. la capacità di empatia
  4. il rifiuto della autorità
  5. la fiducia negli altri
  6. la capacità di dialogare
  7. la mitezza
  8. il coraggio
  9. l’abnegazione
  10. la pazienza

Ognuna delle dieci caratteristiche richiederebbe una serie di precisazioni che qui non è possibile condensare.

Merita tuttavia riprendere almeno un punto, prima di sostenere la valenza pedagogica della proposta.

Rifiuto della violenza ed etica della responsabilità

Molto spesso si accusa la nonviolenza di utopia, scarsa praticità e, soprattutto di "fondamentalismo etico" del pacifismo assoluto che rifiuta sempre ed in ogni caso la violenza. In realtà la posizione ghandiana è molto più complessa. Secondo Pontara noi potremmo identificare inizialmente alcuni principi fondamentali che vietano l’uso della violenza, ovvero:

Le cose, tuttavia, non sono così semplici: può infatti accadere che l’inflizione di violenza ad una sola persona comporti la fine di enormi sofferenze per molte altre persone. Certo, il pacifista assoluto potrebbe sostenere che non vi è alcun obbligo di salvare altre vite ma solo quello di non infliggere uccisione o sofferenze dirette. Ciò implica una radicale distinzione tra atti commissivi ed atti omissivi (nello specifico la differenza tra uccidere o infliggere sofferenze da una parte, e omettere di salvare vite o diminuire sofferenze dall’altra). Tale distinzione non è tuttavia facilmente sostenibile, così come non è sostenibile una radicale differenza tra violenza attiva e violenza passiva.

D’altra parte, sostiene Pontara, se si interpretano i due principi in questione in modo tale per cui il primo proibisce non soltanto l’uccidere attivamente ma anche l’omettere di salvare vite, e il secondo proibisce non soltanto l’inflizione attiva, ma anche omettere di alleviare o prevenire le sofferenze altrui, ci si trova di fronte non più a due ma a quattro principi che non possono essere considerati tutti assoluti, giacché in tal caso si verificherebbero conflitti insolubili fra essi.

Ci si trova così di fronte al dilemma di come evitare di trovarsi di fronte a conflitti morali insolubili. Al riguardo sono pensabili due vie.

La prima, quella del pacifismo assoluto, sostiene che i principi che vietano di uccidere o infliggere sofferenze (i principi del "non") sia prioritari rispetto a quelli che prescrivono di salvare vite umane o diminuire sofferenze. Non importa quante vite si potrebbero salvare infliggendo anche un piccola violenza: la cosa più importante è non infliggere direttamente alcuna violenza. Si tratta, appunto, di una posizione assoluta difficilmente sostenibile se non a prezzo di scelte paradossali o impietose.

La seconda scelta è quella di considerare tutti e quattro i principi come principi non assoluti, ossia come principi relativi che, a seconda della situazione concreta possono assumere diversa valenza.

Si tratta dell’etica della responsabilità intesa come "la concezione per cui se o meno le nostre azioni siano moralmente giustificabili dipende, almeno in parte dalle conseguenze cui esse conducono. Ma se è così, se, plausibilmente, le conseguenze che scaturiscono dalle nostre azioni (e dalle nostre omissioni) hanno rilevanza morale in merito alla giustificabilità di esse, allora l’uso della violenza non può essere condannato a priori come sempre e del tutto ingiustificabile. Questo non comporta però – conclude Pontara – che non sia possibile argomentare a sostegno di una norma che proibisce il ricorso alla violenza. Ciò si può fare movendo da una concezione etica secondo la quale quello che moralmente conta sono le conseguenze delle nostre azioni sul benessere generale" (pag. 46).

Qui mi fermo. Chiunque volesse andare oltre può utilmente dedicarsi alla lettura del saggio di Pontara.

La cosa che mi interessava sottolineare è che quanti trattano i teorici della nonviolenza come degli imbelli utopisti e "fondamentalisti etici" dovrebbero perlomeno dedicarsi allo studio della complessa posizione qui succintamente esposta e che, guarda caso, è in realtà figlia dell’utilitarismo classico di Bentham.

Insomma, semplificare è davvero sempre un grave atto di violenza.

E i nonviolenti che si oppongono alla guerra prossima ventura non lo fanno a partire dal rifiuto assoluto della violenza quanto piuttosto in considerazione delle miriadi di argomenti che l’etica della responsabilità produce per mettere in crisi l’idea che la guerra a Saddam sia il modo migliore per raggiungere gli obiettivi di pace, giustizia, vittoria del bene contro il male ecc…. che stanno alla base della retorica di George Bush.

In sostanza fondamentalista e fautore di una concezione assoluta dell’etica è proprio chi sostiene la necessità della guerra. Altro che realismo!

E l’educazione ?

Chiedo scusa se vi ho tediati sin qui con ragionamenti filosofici che possono sembrare inutili sofismi. Non credo sia così, anzi. Qui del resto sta anche la valenza pedagogica dei 10 tratti della personalità nonviolenta. Ed anche la loro assonanza con le dimensioni di fondo della personalità interculturale

Educare significa infatti affrontare criticamente la realtà, divenire capaci di argomentare e di assumere personalmente posizione. La personalità nonviolenta poi non si crea dal nulla ma è figlia di un lungo processo che costituisce l’habitus nonviolento. Del resto, come già sosteneva Aristotele, è rubando che si diventa ladri, compiendo atti di giustizia che si diventa giusti,…. Ovvero non un atto singolo ma l’abitudine ci costruisce come persone con certi tratti e caratteri. E questo è il compito dell’educazione.

Rileggere adesso le 10 caratteristiche della personalità nonviolenta e provare a declinarle in percorsi formativi diventa certo un po’ più complesso.

Più complesso, ad esempio, di una semplice esposizione della bandiera della pace alle finestre della propria aula. Il che non significa che non la si debba esporre. Significa al contrario che quella bandiera deve essere il segno non solo un segno estetico quanto piuttosto la dichiarazione che in quel luogo, in quella scuola, si fa educazione alla pace, alla soluzione nonviolenza dei conflitti, alla nonviolenza in modo approfondito, trasversale, critico.

Che in quella scuola si formano costruttori di pace, uomini e donne capaci di etica della responsabilità.

Il che, onestamente, è davvero un compito difficile. Ma proprio per questo il nostro mestiere è affascinante.

La finestra di fronte: pretendere di vivere in un mondo migliore

Non capisco molto di cinema e lascio a Paola Tarino ogni possibile commento sul film "La finestra di fronte" di Ferzan Ozpetek. E’ solo che le riflessioni sulla personalità nonviolenta e Pontara mi sono nate ripensando a Davide/Simone (una stupenda, nobile e decadente ultima prova di Massimo Girotti) che decide, assassino, di salvare dai campi di concentramento nazisti moltissime persone piuttosto che il solo, unico, proprio amore. Qualunque ne sia la motivazione, fosse anche quella bieca di dimostrare che un omosessuale non è quel "frocetto" di cui poter ridere senza problemi.

E mi ritornano in mente le parole di Davide ad una confusa Giovanna:

"Per me è tardi. Io non posso fare niente ormai.
Lei invece può scegliere.
Non si accontenti di sopravvivere!
Lei deve pretendere di vivere in un mondo migliore
"

Cosa sia un mondo migliore non è dato sapere: sarà inseguire un amore più sognato/idealizzato o diventare pasticcera? Non importa. Questo non importa. Ciò che importa è non accontentarsi di sopravvivere. E le due lettere d’amore su cui si implaca il film sono terribilmente tristi. Terribilmente belle. Terribilmente nietzschiane: la perdita dell’amore è come la perdita del sole, della bussola, dei punti cardinali, del colore. Del senso.

Ma dobbiamo pretendere un mondo migliore. Non è tardi per noi. Certo non è tardi per i nostri studenti.

Una bella metafora per la scuola di oggi.
Anche per chi, come me, si sente molto Davide/Simone/Massimo Girotti. Vecchio e decadente. Forse saggio. Forse. Molto forse.

Aluisi Tosolini

Tra le moltissime pagine internet che approfondiscono il pensiero di Giuliano Pontara consiglio la visita del sito dell’IPRASE di Trento che, in occasione della premiazione di Pontara quale "trentino dell’anno 2001" ha pubblicato una interessante intervista che tocca anche la questione della società multilculturale e dell’educazione interculturale

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