Direzione didattica di Pavone Canavese

Educazione interculturale: interventi, documenti e materiali

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(07.12.2008)

IL DIALOGO COSTRUISCE LA CITTA’
A proposito dell’intervento del Cardinale Dionigi Tettamanzi

 

Venerdì 5 dicembre sera, nel corso di una delle più importanti cerimonie della diocesi di Milano, il Cardinale Dionigi Tettamanzi ha letto, in Duomo ed alla presenza di tutte le autorità civili e politiche, un importantissimo intervento sul presente e sul futuro di Milano.
L’intervento ha causato un ginepraio di irose e polemiche prese di posizione da parte di molti uomini politici. Ma di che si tratta?

Ripartire dal sant’Ambrogio

Il testo dell’intervento del Cardinale è disponibile sul sito della diocesi di Milano e va chiarito subito che, stando a quando scrivono i giornali, si tratta del testo che il cardinale ha “letto” durante la Santa Messa. Si tratta cioè di una sintesi del “discorso alla città” che è più lungo e che è stato consegnato stampato a tutti i presenti. E’ in questo ultimo testo che è riportata la richiesta del Cardinale di aprire alcune moschee a Milano, proposta che ha scatenato irriverenti prese di posizione di molti politici.
Il punto di partenza del ragionamento del Cardinale è la figura di Sant’Ambrogio, patrono della città e della diocesi.
L’uomo sapiente e giusto, dice Tettamanzi, è l’uomo del dialogo. E, continua, una città non costruita sul dialogo, è una città votata al fallimento. Dialogo con tutti e tra tutti: tra ricchi e poveri, tra politici e società civile e semplici cittadini, tra religioni e culture diverse che vivono e condividono la stessa città. Non è qui possibile riprendere tutti i passi salienti (per questo si rimanda al testo del Cardinale) ma su due aspetti è certo utile soffermarsi. 

Cosa significa dialogare?

Nella prima parte del suo intervento il cardinale si chiede che cosa significa dialogare e a quali condizioni il dialogo sia possibile.

La risposta di Tettamanzi è limpida ed impegnativa:
 

Solo a queste condizioni il dialogo diventa possibile. Ovviamente ciò che vale per i singoli, vale anche, se pure con modalità differenti, per le diverse componenti sociali, per le diverse generazioni, per le parti politiche, per i popoli, i laici e i credenti, le diverse razze, nelle istituzioni, dentro la Chiesa… “

La città:  non fortezza ma luogo di dialogo

La città, ogni città, è davvero tale non se eretta come fortezza “contro” qualcuno ma come luogo di incontro in cui le differenze e le identità si relazionano per costruire la casa comune in cui tutti stanno bene.

Il cardinale è al riguardo molto schietto:

Il riferimento stasera diventa la nostra Città: anch’essa è chiamata con urgenza al dialogo, perchè ne ha un profondo bisogno, forse mai come oggi. Solo in un clima di dialogo autentico potremo rinnovare la Città e iniziare così la costruzione della Milano del futuro. É una Città, la nostra, da sempre chiamata all’incontro delle genti, delle culture, delle città: in questo si giocherà la sua identità e metterà in evidenza la sua anima.

Conosciamo l’obiezione: dialogando, la nostra Città non corre il rischio di divenire un luogo senza identità precisa? No, personalmente sono convinto che il dialogo rafforza l’identità, la arricchisce, la rinnova, la proietta verso il futuro. La paura di indebolire o di perdere, nel dialogo, la nostra identità non è forse segno di un’identità già indebolita, se non addirittura estenuata? Siamo stati disposti ad un percorso debole nella storia occidentale, perché abbiamo ritenuto che questo ci permettesse di vivere meglio, più comodamente, senza problemi di confronto, consentendoci individualismo e separazione.

Adesso però la sfida, anzitutto culturale, portata alle nostre città dai popoli e dalle genti che domandano cittadinanza ci provoca a questo inevitabile confronto. E’ venuto il tempo, ed è questo, di rinnovare la disponibilità all’incontro e al dialogo, per scoprire e ricordarci “chi” veramente siamo.

 

Milano (…solo Milano ??) ha bisogno di dialogo non solo per garantire coesione sociale ma anche, e soprattutto, per “sapere chi siamo”, per scoprire la propria identità.

E così, poco oltre, il Cardinale accenna, tra gli altri, al dialogo con l’islam:

Spesso sentiamo dire che: “l’Islam disprezza le altre religioni ed i loro credenti, non ha il senso dello Stato tipico della tradizione occidentale, non accetta il principio della laicità, è fanatico, strumentalizza la fede per finalità distorte o criminose, non usa la ragione come mezzo nel confronto e nella discussione con i popoli, schiavizza le donne…”. Sì, ma intanto il dialogo, anzitutto culturale, va incominciato. Singoli gesti e atteggiamenti, per quanto gravi e da deprecare con forza, non siano occasione per guardare con sospetto ed accusare tutti gli appartenenti ad una religione. Si obietta che per un vero dialogo occorre una disponibilità reciproca. Ma è pur necessario che almeno uno inizi, cerchi l’incontro, stabilisca una relazione. Il tutto con pazienza, fiducia, onestà intellettuale, rispetto della libertà dell’altro, capacità di ascolto, e lasciando che il tempo faccia crescere quanto di buono è stato seminato.

 

In poche frasi Tettamanzi ricorda che il principio di reciprocità NON è un principio evangelico e, con riferimento ai diritti umani fondamentali e universali, non è neppure un principio “politico”.

Vorrei al riguardo ricordare che il cristianesimo va molto oltre la reciprocità ed infatti chiede di amare i propri nemici e che se i diritti fondamentali sono sottoposti alla logica della reciprocità perdono completamente il proprio valore diventando “concessioni” e non diritti inalienabili e non negoziabili. Il che significa, sia ovvio, che mentre riconosciamo, ad esempio, il diritto alla libertà religiosa e quindi anche alla costruzione di templi ove pregare (diritto garantito dalla Costituzione Italiana) ci impegneremo anche al massimo perché tale diritto sia garantito anche nei paesi in cui non lo è. Ma non può certo significare che noi riconosceremo il diritto alla libertà religiosa altrui solo a fronte della reciprocità.

Magari potremo, al riguardo, stare anche attenti a non fare di tutte le erbe un fascio. Per inciso ricordo che il 5 dicembre sera, in contemporanea con l’intervento del cardinale di Milano, il telegiornale RAI2 metteva in onda un servizio dall’Oman (paese islamico) dove il terreno per costruire le chiese cattoliche e di altre confessioni cristiane è stato messo a disposizione gratuitamente dal governo locale.

Il dialogo rende forte la città

L’idea di fondo del cardinale è che la città è il luogo nel quale ognuno è chiamato a costruire la propria nuova identità che è sempre una identità relazionale.
Milano, in sostanza, non è chiamata tanto a “assimilare” ed integrare” in una mitica e non ben chiara milanesità i nuovi arrivati, quanto piuttosto è chiamata ad essere il luogo in cui tutti coloro che vivono a Milano costruiscono, assieme, la nuova Milano come casa delle differenze in cui tutti vivere dignitosamente.

Dice il cardinale:

Sono convinto che solo il dialogo costruisce e rende forte la Città, perché la sua convivenza sociale e civile poggia sulla relazione. E la trama di rapporti che animano la Città non può essere solo di tipo mercantile, ma deve diventare un evento in cui ogni interlocutore si mette in gioco con fiducia, si apre all’altro, lo ascolta, gli risponde senza pregiudizi, senza desiderio di asservirlo.

É dalla qualità del dialogo che dipende il vero volto della Città, il suo essere aperta, accogliente, attenta ai suoi cittadini: ai piccoli, agli anziani, ai malati. Proprio da questa capacità di dialogo è scaturita la storia di questa nostra splendida Città: un dialogo favorito anche dalla posizione geografica, all’incrocio di tanti ed importanti vie di comunicazione. Questa storia siamo chiamati a custodirla e a continuarla. Così la Città sarà continuamente “nuova” nel senso bello ed alto del termine.

Costruire la assieme la nuova città

Qualcuno, anche con responsabilità istituzionali significative, ha dato del catto-comunista al cardinale. Altri commenti si possono leggere facilmente in rete.
La cosa che impressiona, almeno me che sono cattolico, è che i commenti più duri sono venuti da politici che dicono di volersi richiamare proprio al cristianesimo. Ed anzi sottolineano ad ogni passo che vogliono difendere le radici cristiane della nostra società.
Che un politico che non si richiama al cristianesimo possa sostenere che il card. Tettamanzi ha torto o che il suo intervento non lo riguardi è non solo legittimo ma anche ovvio. Ma chi della croce ha fatto la propria spada dovrebbe, io credo, prendere un po’ più sul serio le parole del Cardinale. Potrà argomentare il proprio disaccordo politico ma non certo irridere la dimensione dottrinale – e di fede – dell’intervento del pastore della diocesi ambrosiana.
Diocesi che da anni lavora con impegno costante e fortissimo nei confronti dei migranti che qui vengono chiamati “nuovi milanesi”.

Ricordo solo due elementi di questo impegno.

a) Scuola di italiano per stranieri:  presso moltissime parrocchie ed istituzioni delle diocesi da anni funzionano scuole di italiano per immigrati gestite da volontari. Si tratta di un lavoro capillare ed approfondito che prevede anche percorsi di formazione per i docenti.

b) Costruire la città: il contributo dei migranti. Nel 2006 si è tenuto a Milano un convegno su città e migrazione. Gli atti sono stati pubblicati dalla casa editrice Centro Ambrosiano ed al suo interno l’intervento del card. Tettamanzi (pp. 19-34) anticipa tutti i temi che sono stati oggetto di riflessione il 5 dicembre, che non appare così certo come un intervento casuale o sporadico.

Nel suo intervento al convegno (pp 31-32) il cardinale esplicita  “tre grandi ambiti di lavoro comune, con e per i migranti, che rappresentano tre priorità:

1. la necessità di educarci a vivere insieme rispettando le diversità di ciascuno

2.  giungere ad un corretto riconoscimento dei diritti civili per i migranti. All’interno di un’ottica di comune assunzione di responsabilità entro la logica dei diritti-doveri il cardinale indica la necessità di riconoscere il diritto di voto ai migranti ed anche la conseguente possibilità per gli stessi di assumere incarichi amministrativi.

3.  rafforzare il lavoro sociale e culturale al fine di permettere  lo cambio di esperienze reciproche e la valorizzazione dell’apporto di carattere letterario, artistico e figurativo dei migranti.

L’obiettivo è chiaro e ben definito, e con queste parole del cardinale chiudo questo lungo intervento:

“Impegnarci in questi tre ambiti è il modo per dare volto concreto all’amore che noi tutti  nutriamo per la Città, per questa nostra città che è Milano. Noi tutti la amiamo perché, per noi, Milano è la casa comune: una casa che avvertiamo come nostra proprio perché aperta a tutti coloro che giungono in essa col desiderio di abitarla, di viverla, di renderla ogni girono migliore con la loro stessa vivacità, presenza, operosità, collaborazione; una casa su misura per tutti e per ciascuno, perché chiunque possa giungere a sentirla propria, a trovarsi e a vivere in essa come “a casa propria”.

Aluisi Tosolini

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