Direzione didattica di Pavone Canavese

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I MEDIATORI INTERCULTURALI

 

All’interno del "pianeta" interculturalità ed immigrazione si sono mossi negli ultimi anni diversi tentativi di definire nuove professionalità quali il mediatore interculturale, il mediatore culturale, il mediatore socio-culturale, il mediatore linguistico, l’animatore interculturale. Le varie figure di mediatore appena citate necessitano di una precisa definizione del dominio che le caratterizza. Spesso, infatti, accade di pensare alla figura di mediatore interculturale utilizzando definizioni molto diverse fra loro.
E’ necessario pertanto fare chiarezza e per farlo non si può che partire dal concetto che, a prima vista, appare il più ovvio, ovvero quello di mediazione.

1. Cosa si intende per mediazione
2. Mediatore interculturale: una definizione
3. Il mediatore linguistico
4. Il tutore etnico 

 

1. Cosa si intende per mediazione

A ben riflettere ogni attività educativa e/o sociale costituisce una mediazione. L’ educazione - come sostiene Mialaret - è una precisa forma di relazione comuncativa tra soggetti che, in posizione asimmettrica, sono implicati in un processo ove la comunicazione è sempre traduzione, ovvero mediazione.

Ogni professionista dell’educazione e dell’ambito dei servizi sociali sa che il proprio modo di porsi e di comunicare i diversi saperi e le diverse modalità di possibile soluzione di problemi, as esempio, di inserimento sociale, nascono da uno specifico modo di interpretare il mondo, la società, i fini, i valori, il senso stesso della vita.

Così, come scrive Duccio Demetrio, "ciascuno, più inconsapevolmente che razionalmente, comunicando, traduce il proprio modo di pensare sempre e in tutti i casi (letteralmente lo trasferisce da se stesso agli altri) e attua, così facendo, sempre, una mediazione culturale" (D. DEMETRIO - G. FAVARO, Bambini stranieri a scuola, Firenze, La Nuova Italia, 1997, pag 5). Ma quando ci troviamo di fronte ad una situazione educativa o sociale noi abbiamo a che fare anche con operatori, professionisti quindi, che dovrebbero avere consapevolezza di tale processo e pertanto dovrebbero, altrettanto consapevolemente, adoperarsi non tanto e non solo a tradurre (trasformare un messaggio da un codice all’altro) quanto piuttosto inventare un metodo, una zona franca ed intermedia che permetta agli uni ed agli altri di comprendersi indipendentemente dai pregiudizi e dalle convinzioni reciproci.

Se le cose stanno così allora ogni insegnante, ogni formatore, ogni operatore sociale è in se stesso mediatore interculturale in quanto specialista in comunicazione.

 

2. Mediatore interculturale: una definizione

La definizione di mediatore interculturale, ripresa ancora da Demetrio, può allora così riassumersi: "per mediatore interculturale intendiamo l’insegnante che, con sonsapevolezza, si interroga e si attrezza per favorire non tanto la transizione da una cultura all’altra quanto la sintesi - dove è possibile - tra culture, allo scopo di creare momenti pedagogici capaci di andare oltre le reciproche differenze".

Seguendo ancora la proposta di Demetrio possiamo aggiungere che il "buon" mediatore deve, in sede preliminare, mettere in essere una quadruplice autoriflessione così riassumibile

  1. Quali sono gli scopi del mio comunicare?
  2. In quale clima o contesto attuo il mio comunicare?
  3. Che cosa voglio comunicare?
  4. Che cosa voglio sapere dal’interlocutore?

Dall’autoriflessione nasce il circolo virtuso del comunicatore interculturale che si pone il problema di

Non si tratta, come si può vedere, di entrare in possesso di culture altre quanto piuttosto di costruire in modo meditato, ragionato e consapevole un luogo (un ambito relazionale, una rete) di mediazione dove le differenze possano accadere, parlarsi, incontrarsi, distanziarsi, autoriconoscersi ed etoriconoscersi.

Così, conclude Demetrio, "la mediazione che già fa parte intrinsecamente della professionalità docente diventa interculturale nel momento in cui l’insegnante predispone le condizioni affinchè si instaurino i quattro prerequisiti precedenti in rapporto a:

Ne consegue la definizione di mediatore culturale in ambito educativo: "colui o colei che, in quanto membri delle comunità di appartenenza dei bambini, hanno il compito che queste non vengano del tutto disperse e di farle conoscere ai bambini italiani".

 

3. Il mediatore linguistico

Per quanto riguarda invece il mediatore linguistico si tratta di persona "esperta nella lingua e nella cultura del paese di provenienza degli allievi". Ovviamente il mediatore linguistico opera non solo sulle mediazioni linguistiche "verso" la lingua italiana ma anche

 

4. Il tutore etnico

Il "Rapporto 1997 sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza" afferma che nell’interesse dei bambini stranieri l’identità etnica deve rappresentare una scelta e che ciò comporta una precisa verifica di quanto questa possibilità sia garantita e garantibile valutando nel contempo le difficoltà che ne impediscono la realizzazione.

Il rapporto, dopo aver precisato che sono sostanzialmente tre i grandi ostacoli da superare (assenza o eccesso di visibilità; l’obbligo migratorio; il terremoto identitario), si sofferma ad indicare alcune azioni positive specifiche tese a rafforzare le identità etniche originarie, tappa intermedia del percorso verso la reale società multiculturale e multietnica a matrice interculturale.

Tra le azioni positive il rapporto ritiene fondamentale una nuova e specifica figura professionale che si può definire tutore etnico con il compito di "prendersi cura del minore in un’ottica di tutela etnica e con un ruolo di consulenza in luoghi particolarmente significativi come: la frontiera, la questura, le strutture per l’infanzia, la scuola, l’ospedale, il carcere, le strutture ricreative, i centri di accoglienza, gli enti locali....".

Per diversi aspetti il tutore etnico sembra avvicinarsi alla figura del mediatore culturale (spesso ridotto al solo ruolo di interprete). Invece, sostiene il Rapporto, "l’attività del tutore etnico va oltre e parte dalla necessità di garantire il rispetto dell’identità etnica del minore, anche in un’ottica di difesa e mediazione. Un suo compito molto importante è quello teso a favorire la mediazione tra minore, famiglia, società d’arrivo e, se presente comunità di connazionali o d’origine".

Seconda azione positiva proposta dal Rapporto è la creazione di "luoghi etnici" tendenzialmente autogestiti dalle comunità straniere presenti sul territorio. Lo scopo dei luoghi etnici è quello di permettere al minore di rafforzare la stima di sé ed offrirgli maggiori strumenti per un confronto più diretto con la società d’arrivo. Gli obiettivi sono due: permettere al minore straniero di scegliere la propria identità ma anche stimolare la convivenza con altri identità etniche.

Per quest’ultimo aspetto, conclude il Rapporto, si dovrebbero creare "luoghi meticci" (soprattutto extrascolastici) dove minori italiani e stranieri possano incontrarsi alla pari al fine di approfondire la reciproca conoscenza e di favorire l’attività interculturale.

La supervisione delle attività di questi spazi deve essere garantite da specifiche figure professionali, una sorta di mediatori interculturali, "il cui obietivo non è tanto quello di mediare, di raggiungere una sintesi tra le diverse culture, quanto quello di educare ad un metodo di confronto, che non esclude il conflitto ed il mantenimento delle divsersità".

Qui sta anche la diversità di prospettiva fra la proposta di Demetrio e quella del Rapporto. Diversità che, a mio parere, deriva da una diversa sottolineatura dei "tempi" della società multiculturale a matrice interculturale. Se infatti Demetrio sottolinea la mediazione come "sintesi - dove è possibile - tra culture, allo scopo di creare momenti pedagogici capaci di andare oltre le reciproche differenze", il rapporto riconosce che tale "sintesi" (che non è assimilazione, superamento o omogeneizzazione delle differenze) deve prima passare per il riconoscimento della propria identità etnica e che ciò permetta di "avviare una maggiore riflessione sulle identità di tutti, che non può che condurre ad un universalismo più condiviso e soprattutto frutto delle scelte di tutti".

Aluisi Tosolini