Direzione didattica di Pavone Canavese

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La rubrica quindicinale
n. 7 del dicembre 1998


Il dibattito
sulla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo

Nel numero precedente della rubrica di educazione interculturale avevamo chiuso il primo percorso di analisi della dichiarazione dei diritti dell’uomo evidenziando due nodi problematici (il nodo dell’ etnocentrismo e quello della democrazia planetaria che verranno qui affrontati con particolare attenzione al versante educativo.

Due nodi problematici

A. La dichiarazione "Universale" non pecca forse di "etnocentrismo"?
In fondo essa si deve, inizialmente, solo ad una cinquantina di paesi. Questa critica è stata mossa prima da intellettuali africani e poi, in particolare nel 1995 a Vienna, dai rappresentanti politici di alcuni paesi asiatici.

B. I diritti dell’uomo sono definiti universali ed indivisibili. Ad tale definizione non corrisponde tuttavia un eguale livello politico-giuridico capace di farli rispettare. Detto altrimenti: oggi assistiamo alla globalizzazione economica, finanziaria, ecc. ma non ad una eguale "globalizzazione" della politica che sola potrebbe mettere le basi per una politica di reale rispetto dei diritti dell’uomo a livello globale. E’, insomma, il nodo della democrazia cosmopolitica o panumana.

 

Etnocentrismo?

La dichiarazione universale dei diritti umani è stata da più parti criticata proprio per la sua universalità: ciò che si critica è che essa non fa null’altro che universalizzare una delle molte culture esistenti al mondo, quella occidentale.

Tra le molte posizioni critiche ne riassumo qui tre:

a. La posizione africana. Il politologo nigeriano Claude Ake scrive nel 1975: "L’idea dei diritti umani, e di diritti giuridici in generale, presuppone una società atomistica e individualista, una società dal conflitto endemico. Presuppone una società cosciente della propria separatezza e dei propri particolari interessi, nonché desiderose di realizzare tali interessi. Noi invece diamo meno risalto all’individuo e più alla collettività. Noi non permettiamo che l’individuo avanzi pretese che si sostituiscano a quelle della comunità. Noi postuliamo armonia e non divergenza di interessi, competizione e conflitto. Siamo più desiderosi di ricordare gli obblighi che ci legano agli altri membri della società piuttosto che inclini a rivendicare diritti che ci contrappongono a loro" (The african context of Human Rights, in Africa Today,, 34, 1975).

La carta africana dei diritti umani e dei diritti dei popoli (1981)elaborata dall’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA) sostiene gli stessi concetti sottolineando il ruolo dei doveri umani e dell’etica comunitaria: "La promozione e la protezione della morale e dei valori tradizionali riconosciuti dalla comunità è un dovere dello stato" (art. 17 §3).

b. La posizione asiatica. Nel 1991 il governo di Singapore pubblica la nota sui Shared Values e nel 1993 quattro paesi asiatici (Singapore, Malesia, Taiwan e Cina) firmano la Dichiarazione di Bangkok ovviando un dibattito che è poi continuato alla conferenza mondiale sui diritti umani di Vienna (1993). Il nucleo dei due documenti è la critica al taglio individualistico dei diritti umani ed allo scarso peso che le culture orientali (in particolare il confucianesimo) hanno all’interno della dichiarazione universale. Secondo Habermas  la critica si appunta su tre diverse direzioni:

  1. Mette in discussione la priorità che in linea di principio i diritti hanno rispetto ai doveri
  2. Fa entrare in gioco una determinata gerarchia di tipo comunitaristico tra i diritti dell’uomo
  3. Lamenta gli effetti negativi prodotti dalla coesione sociale da un ordinamento giuridico di taglio individualistico.

c. La posizione dei alcuni paesi islamici. Alcuni paesi, riferendosi alle sacre scritture dell’Islam (su questo complesso tema di veda il dibattito già affrontato nei mesi scorsi in questa rubrica, hanno cercato di giustificare la sistematica discriminazione dei confronti delle donne (ad esempio in Afghanistan), la persecuzione dei fedeli di altre religioni (Pakistan, Sudan, ecc.) e la condanna alla fustigazione ed alla mutilazione (Arabia Saudita). Questo processo porta, concretamente, alla istituzionalizzazione delle violazioni dei diritti umani. Il che non significa, ovviamente, che siano meno condannabili paesi occidentali che nella pratica disprezzano i principi universali dei diritti umani. Ad esempio gli USA sono l’unica nazione che non ha firmato la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia ed uno dei pochi che non ha ratificato la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne.

Le risposte alle tre obiezioni richiederebbero ben altro che le poche videate della nostra rubrica.

In primo luogo una constatazione: di certo la dichiarazione universale utilizza il linguaggio e la concezione giuridica della cultura occidentale. Ma da ciò non consegue, ovviamente, che le dottrine che ne stanno alla base abbiano una validità ristretta o limitata. La terminologia, scrive il Rapporto 1998 di Amnesty International, può essere specifica di una certa cultura, non lo sono certo i principi che essa esprime.

In secondo luogo va ribadito che nella dichiarazione universale i diritti sono inseriti in un contesto di gruppo o di comunità. L’art. 1. esordisce richiamando tutti ad "agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza" mentre art. 18 sancisce il diritto di libertà di pensiero, coscienza e religione "isolatamente o in comune". Da ultimo occorrerebbe andare rileggersi, nell’ottica dei diritti di solidarietà, l’articolo 29 e gli articoli 22-26 della Dichiarazione Universale del 1948. Dopo averli letti credo sia possibile sostenere che:

a. I diritti citati (diritti "sociali, economici e culturali" che postulano un dovere di solidarietà da parte della comunità) non sono rispettati per nulla neppure "a casa nostra".

b. Le critiche "asiatiche" appaiono strumentali. Esse sono rivolte da una élite dominante al potere che per poter continuare a trarre massimo beneficio possibile dal mercato (in questo caso, chissà perché, va loro bene che sia occidentale, liberista, individualista, conflittuale, ecc.) devono comprimere al massimo le richieste di rispetto dei diritti sociali ed economici della popolazione sulla quale tiranneggiano.
Al riguardo possono aiutare due prese di posizione di intellettuali asiatici riportate dal Rapporto 1998 di Amnesty International e la presa di posizione di alcune Organizzazioni Non Governative arabe.

c. Le culture umane evolvono continuamente grazie all’interazione con le altre culture e nei percorsi di tale evoluzione pratiche ritenute parti essenziali di tali culture ma contrarie ai diritti umani possono essere messe in discussione e superate senza che con questo vengano abbandonati gli aspetti realmente salienti della cultura di appartenenza.
E’ il caso, ad esempio, della violenza sulle donne. In questo caso ciò che viene definito tradizione o cultura spesso nasconde pratiche che ne costringono o danneggiano l’esistenza. Come ha detto l’ex premier della Norvegia, Gro Harlem Bruntland, "la violenza contro le donne, anche quella domestica, può definirsi parte di un modello culturale nella maggior parte delle società, compresa la mia". Ma non per questo è giustificabile. Come nel caso della mutilazione genitale femminile.

 

Il nodo della democrazia planetaria

Seppure brevemente è necessario, affrontando il tema dei diritti universali, accennare alla necessità di giungere ad una nuova organizzazione politica, ad un modello più coerente di gestione delle problematiche planetarie (fra queste l’economia, l’ambiente, la pace e, certamente, anche il rispetto dei diritti umani).

Il processo di globalizzazione ha messo in evidenza sia il limite riferito agli stati nazionali ed alla loro gelosa difesa della sovranità nazionale che il limite connesso all’ONU così come concepito 50 anni fa.

Non è qui possibile entrare nel merito del dibattito ma è del tutto evidente (come in parte dimostra anche la posizione italiana in merito alla riforma dell’ONU) che occorre andare verso una democrazia planetaria. Per quanto riguarda gli strumenti concreti e politici di tale democrazia, e con particolare riguardo al tema dei diritti umani, non si può che sottolineare positivamente l’adozione dello Statuto della Corte Penale Internazionale (Roma, 17 luglio 1998) che fa seguito all’istituzione, da parte del Consiglio di sicurezza dell’ONU, del tribunale per la violazione del diritto umanitario internazionale nell’ex Yugoslavia (1993) e per i crimini di genocidio in Rwanda (1994). Due strumenti che stanno a testimoniare che i diritti umani, proprio perché riguardanti tutta l’umanità, richiedono una tutela da parte dell’umanità in quanto tale e pertanto, in casi gravi come i crimini di genocidio o di crimini contro l’umanità, non possono essere lasciati alla sovranità di una singola nazione.

La formazione del cittadino planetario, vera finalità dell’educazione interculturale, non può prescindere da questo nodo.

Aluisi Tosolini

 

Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo - 1948

Articoli riferiti ai diritti sociali, economici e culturali

Art. 22

Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale. Egli può esigere la realizzazione, attraverso sforzi nazionali e la cooperazione internazionale e tenuto conto dell’organizzazione e delle risorse di ogni stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità e al libero sviluppo della sua personalità.

Art. 23

[1.] Ognuno diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro e alla protezione contro la disoccupazione.

[2.] Ogni individuo ha diritto a una retribuzione uguale per un lavoro uguale, senza alcuna discriminazione.

[3.] Ogni individuo che lavora ha diritto a una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui e alla sua famiglia una esistenza conforme alla esistenza umana, usufruendo anche, se necessario, di altri mezzi di protezione sociale.

[4.] Chiunque ha diritto di fondare con altri un sindacato e di aderirvi per la difesa dei propri interessi.

Art. 24

Ogni individuo ha diritto al riposto e allo svago e segnatamente a una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e a ferie periodiche retribuite.

Art. 25

[1.] Ognuno ha diritto a un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario , all’abitazione, alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ognuno ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia e in ogni altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla propria volontà.

[2.] La maternità e l’infanzia hanno diritto a speciali cure e assistenza. Tutti i bambini, nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale.

Art. 26

[1.] Ogni individuo ha diritto all’istruzione. L’istruzione deve essere gratuita almeno per quanto riguarda l’insegnamento elementare e fondamentale. L’istruzione elementare è obbligatoria. L’istruzione tecnica e professionale deve essere messa alla portata di tutti e l’istruzione superiore deve essere ugualmente accessibile a tutti, sulla base del merito.

[2.] L’istruzione deve mirare al pieno sviluppo della personalità umana e al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza e l’amicizia fra tutte le nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l’attività delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace.

[3.] I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del tipo di istruzione da impartire ai loro figli.

Art. 29

[1.] Ognuno ha doveri nei confronti della comunità, solo nella quale è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità.

[2.] Nell’esercizio dei suoi diritti e libertà, ognuno può essere sottoposto soltanto alle limitazioni stabilite dalla legge e dirette ad assicurare il riconoscimento e il rispetto dei diritti e delle libertà degli altri, e a soddisfare le giuste esigenze della morale, dell’ordine pubblico e del benessere generale in una società democratica.

[3.] Questi diritti e queste libertà non possono essere esercitati, in alcun caso, in contrasto con i fini e principi delle Nazioni Unite.

 

DA RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL

Le argomentazioni sulla particolarità delle culture e delle tradizioni spesso mascherano interessi politici ed economici. Così si è espresso un commentatore asiatico: "Ciò che rende possibile immaginare una visione asiatica dei diritti umani è il fatto che l’attenzione internazionale è orientata sulla visione di un particolare gruppo sociale - le élite di governo. Queste élite sono unite dall’identica nozione di potere e dagli interessi del loro governo. Le loro opinioni sui diritti umani, pubblicamente espresse, derivano dalla necessità di giustificare l’autoritarismo e l’occasionale repressione" (pag. 33).

Come ha scritto Daw Aung San Suu Kyi, leader dell’opposizione birmana, nel suo libro Freedon from Fear (Libertà dalla paura), "per il popolo birmano è difficile capire come uno qualsiasi dei diritti contenuti nei 30 articoli della Dichiarazione Universale dei diritti umani possa non essere considerato morale e positivo. Il fatto che la Dichiarazione non sia stata scritta in Myanmar è, per i birmani, una ragione quanto meno insufficiente per rifiutarne l’applicazione. Se si nega la validità delle idee e delle credenze al di fuori delle aree geografiche e delle culture che le hanno generate, il buddismo sarebbe confinato all’India settentrionale, il cristianesimo sarebbe limitato a una stretta porzione di territorio mediorientale, così come l’Islam sopravviverebbe nella sola Arabia Saudita" (pp. 34-35).

 

 Dichiarazione delle ONG arabe sui diritti dell’uomo (Vienna 1993)

Si rileva che vari paesi hanno usato la scusa della peculiarità della cultura e della sovranità nazionale per impedire il riscontro internazionale dell’applicazione degli strumenti normativi in materia di diritti e libertà basilari. Noi ci opponiamo a tale tipo di approccio se viene usato per negare i diritti fondamentali o per portare alla loro abrogazione"

 

DICHIARAZIONE DELL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ
DELL’UNICEF E DEL FONDO DELLE NAZIONI UNITE PER LA POPOLAZIONE
SULLA MUTILAZIONE GENITALE FEMMINILE (1996)

"E’ inaccettabile che la comunità internazionale, in nome di una visione distorta del multiculturalismo, rimanga passiva di fronte alla mutilazione genitale femminile. La cultura non è statica ma in costante e continuo mutamento, si adatta e si riforma. I popoli cambieranno i loro comportamenti quando comprenderanno i rischi e l’indegnità di tali pratiche senza rinunciare agli aspetti più significativi della loro cultura"

(Aluisi Tosolini)