Direzione didattica di Pavone Canavese

Multimedialità e dintorni

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(15.05.99)

Il contributo delle nuove tecnologie nella didattica:
"istruire" o costruire il sapere?
Problemi, riflessioni e proposte

Seconda parte

di lino armocida e mario gineprini

 

Libro o computer ?   Apprendimento immersivo (senso-motorio)  o logico-simbolico (testo scritto)?

Siamo convinti che la ricerca di una sintesi fra aspetti immersivi e riflessivi possa essere la direzione per trasformare il computer da strumento di lavoro motivante, prospettiva comunque da non disprezzare, a strumento di conoscenza consapevole. Ha ragione S. Papert (1) quando dice che il computer non dà solo conoscenze (per questo potrebbe bastare il libro, che nel settore vanta secoli di onorato servizio) ma permette di esplorarla, di manipolarla, di costruirla attivando, nel processo di trasformazione da consumatori a produttori, importanti processi metacognitivi. Per quanto ci riguarda, dunque, un uso didatticamente adeguato del computer è quello che permette di calarsi fra le informazioni e le conoscenze attivando contemporaneamente gli aspetti esperenziali e quelli riflessivi.

Altri autori hanno messo in risalto valenze diverse legate alla multimedialità. Antinucci, ad esempio, pensa che l’uso del computer implichi un aspetto fortemente penalizzato dall’attuale sistema scolastico: l’apprendimento "senso-motorio".

Prima della invenzione della stampa, la trasmissione delle conoscenze avveniva in modo indiretto, senza ricorso al testo scritto ma attraverso un’attività a tu per tu con il "maestro", inteso non come dispensatore di conoscenza, ma come operatore esperto, che si osservava e con cui si interagiva nell’utilizzo effettivo delle conoscenze. Il modello della "bottega" è stato sostituito, dopo l’invenzione della stampa a caratteri mobili, da un sistema che utilizza in modo prevalente il linguaggio scritto. Come giustamente ha osservato Antinucci: "La scuola, il suo concetto, la sua organizzazione, la sua struttura dipendono interamente (…) da ciò" .

La rinuncia totale all’apprendimento "senso motorio" ha significato la rinuncia a un tipo di apprendimento che si ha osservando, toccando, modificando, riosservando gli effetti che conseguono all’azione, riprovando, cambiando qualcosa e, di nuovo, osservando i risultati. Un tale modello di apprendimento è più facile e più potente. Chi, infatti, dovendo imparare ad usare un videoregistratore, legge per intero il libretto di istruzioni ? Non si preferisce provare a farlo funzionare direttamente, manipolando i suoi comandi e osservando cosa succede? (2)

Abbiamo citato ampiamente Antinucci perché il suo ragionamento, puntuale e condivisibile per molti aspetti, approda a una conclusione che ci lascia perplessi:

"I due modi di apprendere (quello senso-motorio e quello basato sul testo scritto, ndr) non sono né contigui, né sovrapponibili, né producono gli stessi risultati. Ciascuno di essi si porta appresso una struttura e un’organizzazione del processo di apprendimento, soprattutto se istituzionalizzato a raggiungere determinati obiettivi, che è profondamente diversa, anzi inconciliabile, con l’altra". (3)

E’ proprio così? E’ legittima una schematizzazione teorica che contrappone il libro al computer? Un media deve necessariamente sostituire l’altro? La multimedialità rappresenta il momento della negazione di un processo dialettico che deve sostituire il libro, ossia uno strumento cognitivo ormai obsoleto? Non è possibile una sintesi che superi la contraddizione attuale salvando gli aspetti positivi di entrambi i poli della contraddizione?

 

Le contrapposizioni fra libro e computer ci sembrano fuorvianti:
per un’alleanza e non per una sostituzione di un media con l’altro; per una multimedialità che conservi la mediazione culturale del docente e l’artefatto cognitivo-libro

E’ certamente vero che l’attuale sistema scolastico, che ha sempre mostrato una grande capacità di assorbimento-annullamento delle novità, può sopportare solo un uso marginale delle nuove tecnologie: quello che non intacca la linearità e la separatezza delle discipline e che assegna al computer il ruolo di "sussidio".

L’ora di laboratorio per un’ora alla settimana, organizzata come attività separata, invece di superare le barriere fra le discipline finisce per diventare una nuova materia, che si aggiunge alle altre, insegnabile secondo una modalità verticale e trasmissiva. Il computer, da possibile strumento di cambiamento, viene così convertito/adattato a strumento di consolidamento di una didattica tradizionale (ma ancora rassicurante e funzionale). E’ chiaro che occorre rifiutare una simile prospettiva. Le nuove tecnologie devono poter de-strutturare/ri-strutturare il curricolo.

Solo in questo caso la multimedialità può rappresentare un’occasione storica per rinnovare il modo di insegnare e di apprendere e per recuperare, fra l’altro, la modalità senso motoria dell’apprendimento di cui parlava Antinucci. Ma ciò implica necessariamente l’abbandono della modalità testuale? Noi non crediamo che in nome delle nuove tecnologie sia auspicabile rinunciare a tutti quegli strumenti che appartengono alla pratica testuale, all’artefatto cognitivo libro ( che noi amiamo, che vorremmo amassero anche i nostri allievi e che ci sembra ancora funzionale). Perché creare opposizioni binarie, non giustificate, che inevitabilmente determinano gerarchie tese non solo a raggiungere una presunta verità ma soprattutto a escludere o sminuire l’avversario per "manifesta inferiorità"?

Affranchiamoci "dall’esclusività (sempre più asfittica ?) del paradigma testuale (4), ma se è possibile facciamolo senza buttare via il bambino insieme all’acqua sporca.

In conclusione, è sicuramente vero che una scuola fondata sul libro, sulla linearità, sulla separatezza disciplinare ha espulso la modalità senso-motoria. Questo dato di fatto, storicamente determinato, non deve tuttavia spingerci a commettere l’errore opposto: privilegiare in modo esclusivo la modalità immersiva.

La nostra esperienza di insegnamento ci dice che, per quanto individualizzati siano i percorsi possibili, un approccio esclusivamente immersivo sfavorisce l’utenza meno preparata e motivata (che molto spesso è la maggioranza).

Per navigare senza bussola e senza rischi e per riportare a casa un po’ della "mercanzia" acquistata lungo i vari punti di scalo, occorre essere già abili marinai (5).

Concordiamo con Maragliano quando afferma che la multimedialità, nella sua versione più esigente e progressiva, potrebbe avere caratteristiche decisamente velenose per l’assetto istituzionale, culturale e didattico del nostro sistema d’istruzione. Ma ciò non deve sacrificare la riflessione, attivata e guidata dalla mediazione culturale dell’insegnante e da vari strumenti, libri compresi. Senza di essa anche la multimedialità più eversiva perde di significatività cognitiva.

Noi pensiamo che tra libro e computer si possa verificare una sintesi efficace, in cui un media non sostituisce l’altro ma lo integra, ampliandone l’efficacia cognitiva. Un’alleanza fra media diversi, fra libro e computer non solo è possibile nell’immediato ma è anche didatticamente intrigante ed efficace. Perché non dovrebbe essere possibile un percorso didattico che parta dal testo scritto, dalla sua lettura lineare, lenta, riflessiva, analitica e prosegua poi con una serie di operazioni di approfondimento, di integrazioni tese alla contestualizzazione, alla ricerca di nessi significativi con altre opere dello stesso autore o con altri autori dello stesso periodo?

Come giustamente ha osservato Gino Roncaglia: "se il testo è il nostro punto di partenza, anche l’eventuale integrazione nel lavoro didattico di un’immagine, di un brano filmato (…) o materiali di altro genere non avrà la funzione di sostituire la lettura del testo, ma di integrarla. Partire dal testo vuol dire in questi casi partire dalla scrittura lineare, e vuol dire- nella situazione attuale dello sviluppo tecnologico- partire dal libro a stampa, eventualmente per arrivare a trasformarlo in testo elettronico" (6)

La sintesi fra attività implicate dal libro e attività determinate dal computer è assolutamente naturale e funzionale: il rapporto tra testo lineare e ipertesto sembra prospettare alleanze più che conflitti, sembra suggerire un allargamento delle potenzialità cognitive piuttosto che aprioristiche e schematiche contrapposizioni.

E’ molto difficile pensare a una qualunque esperienza di costruzione in classe di un ipertesto che non sia successiva alla lettura riflessiva del testo nella sua forma originale.

Noi auspichiamo che il testo, anziché sparire, si allarghi a possibilità nuove, sia di fruizione sia di costruzione di significati. E questo proprio grazie agli strumenti informatici. Attivare simili percorsi formativi permetterebbe di integrare al meglio vecchio e nuovo, senza rinunciare né alla linearità e all’uso di modelli di ragionamento logico-deduttivi né ai modelli analogici tipici dei media.

La contrapposizione fra nuove tecnologie e libro, dunque, appare fuorviante: propone una sostituzione là dove è possibile e legittima un’alleanza.

Il problema vero (o il bersaglio polemico) dovrebbe essere un altro. L’attività che abbiamo descritto, che parte dal testo e in seguito opera sul testo costruendo elettronicamente una serie di integrazioni, rischia di entrare in rotta di collisione con l’attuale sistema didattico, centrato, come già detto, su un modello esclusivamente trasmissivo della conoscenza.

Ciò che il computer deve mettere in crisi, se vuole rinnovare la scuola, non è il libro, ma un modello didattico rigido, ossia quel meccanismo che porta gli insegnanti a dire ai loro allievi che, poiché è il 13 Gennaio e si è indietro con il programma, qualunque cosa gli studenti desiderino e a qualunque livello essi siano, si deve, verticalmente e unidirezionalmente, spiegare l’argomento x.

Questa scuola asettica, che non considera gli studenti protagonisti del loro percorso formativo, che trascura gli aspetti motivazionali, che non ha assimilato l’idea che la conoscenza è sempre un processo di trasformazione personale (cognitivismo), non ha prodotto risultati significativi.

Chi oggi ha ancora motivazioni ed energie per tentare di rinnovare il sistema scolastico può raccogliere la sfida a partire da un elemento che a noi sembra, al momento, il più qualificante: lo sfruttamento delle possibilità del computer di tracciare percorsi metacognitivi che permettano di passare da un sapere trasmesso ad un sapere costruito.

Questo "modello metacognitivo" non si avventura lungo le autostrade virtuali che conducono alla ridefinizione di una nuova identità personale o alla formulazione di intelligenze collettive e connnettive (7); tuttavia costituisce, a nostro giudizio, una concreta minaccia per la sopravvivenza e la stabilità di alcuni aspetti fondamentali del sistema scolastico e una solida speranza per il rinnovamento degli stili di insegnamento e di apprendimento (8).

Ed è in questa direzione che ci pare si possa, allora, ritornare a parlare, a confrontarsi, a elaborare progetti su scrittura e wp (9), ipertesti (10), strategie di apprendimento (11); argomenti colpevolmente tralasciati per abbracciare, a volte con fin troppo esclusivo entusiasmo, Internet e telematica (che ci pare, almeno fino a questo momento, che non ripaghino generosamente le attenzioni loro riservate).

Un’ultima questione: le responsabilità dell’editoria

Sinteticamente vorremmo sollevare un’ultima questione, che, però, crediamo meriti attenzione. Le difficoltà incontrate dalla multimedialità ad imporsi nel mondo della scuola crediamo che siano parzialmente imputabili anche a un’editoria scolastica che recepisce con ritardo le sollecitazioni provenienti dalla multimedialità e guarda con timore alle innovazioni che essa necessariamente comporta. Sono ancora pochi, infatti, i prodotti editoriali capaci di sfruttare la specificità del mezzo elettronico. Fra i lavori immessi nel mercato possiamo distinguere due tipi principali:

In tutti i casi si tratta di prodotti che in quasi nulla contribuiscono a rinnovare i processi didattici e il sistema scolastico e che, molto spesso, con ragazzini smaliziati fruitori delle tecnologie, non sono in grado di essere neppure "valore aggiunto". Se escludiamo i prodotti di edutainment, nati comunque al di fuori della logica didattica, pare che per gli editori scolastici la multimedialità consista nel decifrare faticosamente sul video (o stampare) ciò che si può leggere comodamente sul libro di testo, nello svolgere verifiche e test così tristemente comportamentistici e così facilmente eseguibili con l’ausilio "tecnologico" di un monomediale ma efficace foglio di carta, nello sfogliare, con sempre minore entusiasmo (una volta scoperto il neppure troppo abile travestimento del solito libro di testo) e spesso con scarsa efficacia cognitiva, un manuale elettronico.

All’interno di questo quadro piuttosto grigio, ma a volte anche parecchio irritante, qual è il ruolo degli insegnanti che hanno lavorato con la multimedialità e hanno ancora la voglia di farlo?

 

Conclusioni

Considerando i ritardi della scuola, teorici e organizzativi, non vorremmo che il progetto ministeriale sulla introduzione delle N.T. si concludesse con una semplice erogazione di fondi, senza cambiamenti in un sistema scolastico riconfermato nelle sue rassicuranti strategie curricolari. Tentare di aprire varchi per introdurre novità nell’organizzazione del lavoro, su che cosa si deve apprendere e come, è anche un’occasione per restituire motivazioni e senso al nostro tempo-scuola.

Ha ragione Maragliano quando afferma che è, come sempre, un problema di strategie: da un lato la possibilità, la volontà di fare della multimedialità una sfida per la conoscenza; dall’altro "l’opportunità che essa comunque offre di confermare gli assetti di sapere e di saper fare ereditati dalla pedagogia classica. Si apre dunque un campo di battaglia, un terreno di forti tensioni ideologiche. La scuola della multimedialità non potrà inglobare e forse neanche dialogare con quella che fa della logica del curricolo il suo principale elemento di identificazione e azione (…) Detto in modo più brutale: non possiamo dar conto del Novecento con l’epistemologia dell’Ottocento". (12)

Proprio qui sta il punto. Guastavigna ha giustamente sottolineato l’esigenza di declinare in modo più convincente i presupposti pedagogici della multimedialità. Se è vero che l’uso delle nuove tecnologie ha reso evidenti i limiti del tradizionale sistema educativo, è anche vero che incontriamo qualche difficoltà a esplicitare le premesse culturali e psico-pedagogiche che stanno a fondamento dell’uso didattico degli strumenti informatici. La definizione di nuovi paradigmi educativi non è più rinviabile ma non può essere un’operazione individuale.

Quali forme organizzative, quali tempi, quali occasioni d’incontro (non solo virtuali ed episodiche) possiamo creare per condurre collettivamente questa riflessione-azione?

 

Proposta finale

E’ vero che le specificità del mezzo elettronico (manipolabilità, riproducibilità, fluidità, facilità di diffusione, ecc.) ci consentiranno, per la prima volta, di produrre, scambiare, arricchire vicendevolmente gli strumenti di lavoro, liberandoci dagli obblighi e dalle imposizioni del libro di testo?

Se crediamo che ciò sia realizzabile, vogliamo iniziare a parlarne? A fronte del diritto sacrosanto di veder riconosciuto il proprio lavoro e le proprie capacità, quali potranno essere le regole, le modalità, i canali attraverso cui avviare l’attività di produzione e di scambio?

A nostro giudizio sarebbe estremamente interessante e importante creare gruppi di studio, meglio se riconosciuti da qualche istituzione (per garantire supporti organizzativi e continuità), che raccolgano le esperienze maturate nel corso di questi anni. I gruppi, aperti i cancelli degli orticelli personali, dovrebbero essere l’occasione per socializzare e confrontare esperienze e riflessioni, per approfondire specifiche questioni inerenti la multimedialità, per giungere, in sede laboratoriale, alla progettazione di percorsi didattici e alla realizzazione di prodotti.

 

NOTE

(1) S. Papert "I bambini e il computer. Nuove idee per i nuovi strumenti dell’educazione", Rizzoli, 1994 torna al testo

(2) Francesco Antinucci, "Non bastano molti computer per fare una scuola moderna" , Telèma 13 torna al testo

(3) Francesco Antinucci, op. cit. Telèma 13 torna al testo

(4) R. Maragliano, "Videogiochi per analfabeti", Golem 16, 1998 (http://www.rivistagolem.com) torna al testo

(5) A questo proposito citiamo un interessante articolo di Umberto Eco, "Le notizie sono troppe. Imparate a decimarle, subito", Tèlema.
"Nel prossimo futuro dovremo impegnarci a insegnare alla gente la necessità di fare filtro, perché, se non impareranno a distinguere, a selezionare, l’accesso a tutta questa informazione sarà completamente inutile (…) C’è il rischio che un’intera generazione, come minimo, sprechi il suo tempo. Questo è il vero problema della Rete e io non so proprio come risolverlo"
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(6) Gino Roncaglia, "Oltre la cultura del libro", Iter, maggio-agosto 1998 torna al testo

(7) Le teorie di S. Turkle, P. Levy, D. De Kerkhove, a cui ci riferiamo, sono estremamente stimolanti e colgono aspetti con i quali è indispensabile confrontarsi sin da ora. I nostri allievi sono sempre più abituati, ma forse non così quanto generalmente crediamo, a vivere in mondi virtuali, dalle interfacce dei software più comuni al cyberspazio, che determinano nuovi modelli mentali e modificano, almeno parzialmente, il modo di pensare. La cultura sempre più diffusa della simulazione, che ha rimesso in discussione il concetto di identità umano, una sempre più accentuata interazione con la macchina, la metafora delle finestre che ci colloca in un sistema multiplo distribuito e fluido, mettono in crisi il concetto di un sapere lineare, logico, gerarchico a favore di saperi decentrati, non lineari e diffusi, che contribuiranno sicuramente alla formazione di nuovi stili di apprendimento. Al di là di chi propagandisticamente predica immersione, interattività e compagnia varia e razzola tradizionalissime ricerche di gruppo implementate elettronicamente (e molto spesso neppure dagli allievi), non scorgiamo ancora, però, un livello di elaborazione tale da consentirne una riproposizione immediata ed efficace in ambito scolastico. (potrebbe essere questo uno degli argomenti su cui sviluppare le "analisi culturalmente spesse" che si augura M. Guastavigna?) torna al testo

(8) Questi aspetti sono analizzati acutamente e con realistico buon senso da S. Dinelli, "Testo, fuori testo e ipertesto: nuove tecnologie, ragazze e ragazzi. Che cosa cambia nell’apprendimento", Insegnare 10, 1998 torna al testo

(9) Se è vero che la scrittura elettronica non ha modificato sostanzialmente i processi relativi all’ideazione di testi letterari (almeno leggendo, sul sito http://www.mediamente.rai.it , l’unanimità di giudizio fra scrittori profondamente diversi fra loro come Baricco, Balestrini, Vargas Lyosa, McEwan, o ripensando a quanto scriveva D. Scavetta in "Le metamorfosi della scrittura", La Nuova Italia, 1992) non mi pare che altrettanto possa dirsi per gli "scrittori immaturi" –rubiamo la definizione a Guastavigna- che ritroviamo quotidianamente in classe. Sembra che si siano dimenticate a torto le enormi potenzialità offerte dal word processor per la progettazione e la realizzazione di percorsi di scrittura. La costruzione di un sistema di scrittura procedurale, la flessibilità e la manipolabilità del testo scritto, le fasi della progettazione e della revisione, l’importanza dell’incubazione trovano nel word processor uno strumento metacognitivo ideale che non è stato ancora sfruttato nelle qualità e quantità augurabili torna al testo

(10) Conclusa, in molti casi con parecchi dubbi, la "fase eroica" in cui si considerava meritorio già soltanto il fare, riteniamo che sia giunto il momento di una fase di riflessione in cui ripensare agli obiettivi, alle finalità e, soprattutto, alle procedure della costruzione degli ipertesti, precisandone le regole, la grammatica (come già richiesto in S. Penge, "Storia di un ipertesto", La Nuova Italia, 1996). In particolare, riteniamo che sia da approfondire l’aspetto dell’ideazione e della realizzazione dell’interfaccia che, riguardando gli aspetti comunicativi, riveste, soprattutto in un contesto scolastico, particolare rilevanza metacognitiva.
E poi perché si parla sempre di ipertesti e mai, o quasi, di ambienti di apprendimento?
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(11) Sono ormai molti a ritenere che le difficoltà cognitive degli allievi siano sempre più riconducibili alla scarsa qualità dello studio, spesso sprovvisto di un metodo efficace. Il computer, oltre ad un evidente aspetto motivazionale, grazie alla sua flessibilità, si presta all’elaborazione di esercizi e percorsi rivolti all’acquisizione consapevole e gratificante di adeguate strategie di apprendimento, anche individualizzate. Word processor, software di presentazione e di implementazioni ipertestuali sono strumenti, ancora sostanzialmente inesplorati, per predisporre percorsi efficaci per una didattica rivolta al recupero. torna al testo

(12) R. Maragliano, "Per una concezione pedagogicamente esigente di multimedialità, Convegno "Compagno di banco", organizzato dalla Fondazione IBM Italia, l’Istituto di Psicologia del CNR e l’Istituto RSO (Roma, 15 aprile 1997). torna al testo

 

Gli autori

Lino Armocida, ins. di Lettere ITC "8 Marzo" Settimo (TO)
e-mail: armocida@tin.it

Mario Gineprini, ins. di Lettere ITIS "E. Ferrari", TO
e-mail: eferrar@tin.it