Direzione didattica di Pavone Canavese

Dossier Portfolio

(13.11.04)

Per fare un portfolio
Competenze, descrittori e oggetti cognitivi
di Rodolfo Marchisio

Tre passaggi chiave precedenti la costruzione di un p. e che fanno la differenza fra una riflessione approfondita e uno dei tanti tentativi scomposti cui assistiamo sono:

  1. la definizione di competenza e delle problematiche connesse
  2. la costruzione di sistemi per la descrizione delle competenze non statici e che rendano conto il più possibile della dinamicità e della diversità dell’apprendimento dei diversi ragazzi nei diversi contesti
  3. la definizione di oggetto cognitivo.

A) Sulla definizione di competenza, dopo aver denunciato l’orgia di tentativi (seguita ora da un’orgia di p.) proponiamo di usare la seguente:

le competenze possono essere definite come "Ciò che, in un contesto dato, si sa fare (abilità) sulla base di un sapere (conoscenze), per raggiungere l’obiettivo atteso e produrre conoscenza" (D’Alfonso R., Un Vocabolario Condiviso per la Costruzione dei Curricoli).

I processi rappresentano i percorsi attraverso i quali si costruiscono le competenze. (Mariani)

Il tipo di modello e di uso permettono di far emergere anche il divenire, la consapevolezza, il "saper essere"

B) Se costruito in modo non statico e prescrittivo, usato incrociando ottiche diverse, il quadro dei descrittori può anche rendere conto o aiutare a costruire un "saper divenire", una consapevolezza del percorso fatto e delle abilità raggiunte, sia da parte dei docenti, sia da parte degli allievi.

I rischi di quello che potremmo definire una evoluzione delle tassonomie sono già stati indicati:

    1- Bisogna conoscerne i limiti: sono un canovaccio su cui costruire la valutazione e che interagisce in modo stretto con la programmazione dell’apprendimento; non il registro automatico su cui mettere le crocette e su cui i ragazzi si devono appiattire.

    2- Le tavole dei descrittori, come le tassonomie, le Linee essenziali (in via di revisione e comunque parziali, nel senso di essere "di parte") e insufficienti, NON possono sostituire la programmazione che va fatta dal docente, nel C. di classe, in base al POF elaborato in autonomia dalla scuola in base alla conoscenza dei ragazzi (Piano Studio Personalizzato), al contesto, al confronto coi genitori ecc…

    3- Lo sforzo deve essere quello di non costruire tavole statiche e non tendere alla omologazione o all’appiattimento. Non fare l’errore di sostituirlo alla programmazione (o all’indice dei libri).

    4- Un vantaggio può essere quello di avere una griglia di osservazione NON soggettiva, quindi comune, condivisa, confrontabile

    5- Bisogna tendere quindi ad un modello non lineare, gerarchico, ma reticolare, percorribile in modi diversi a seconda dell’ottica (focus) e del singolo ragazzo.

    Una griglia non deve essere la mappa del percorso che il ragazzo deve fare, ma una griglia attraverso la quale riusciamo a descrivere il meglio possibile i diversi percorsi dei diversi ragazzi

    6- Deve permetterci di cogliere anche le competenze trasversali, tenendo conto che si tratta pur sempre di un modello per capire, descrivere, comunicare.

    Come tutti i modelli (da Galileo in poi) è un tentativo di descrivere una realtà complessa oltre che dinamica e spesso unica.

    7- Dobbiamo tener conto che il ragazzo è una realtà complessa:

    a) dal punto di vista cognitivo (La pluralità delle intelligenze, Gardner)

    b) nel rapporto sfera emotiva e relazionale e apprendimento (La intelligenza emotiva, Goleman)

    Sapendo che il ns lavoro non è mai solo finalizzato all’apprendimento, perché restiamo, inevitabilmente ed anche con la nuova normativa, una scuola formativa, che educa.

C) Descrivere un oggetto cognitivo significativo vuol dire non solo indicare "cos’è", ma anche identificare criteri per la sua scelta in base al fatto che sia significativo, in quella situazione e per quel ragazzo: chi li sceglie, con quali criteri, come avviene il confronto, un oggetto cognitivo per un ragazzo in un processo può non esserlo per un altro ecc..).

Un oggetto cognitivo deve essere non solo testimonianza e prodotto, ma anche dirci qualcosa sul senso del processo di apprendimento e stimolare riflessioni sul curricolo e sulla autovalutazione e quindi sulla consapevolezza del percorso.

Potremmo allora definire un oggetto cognitivo significativo come un prodotto didattico ricco e significativo da cui si ricavano informazioni non solo sulla performance che lo ha prodotto, ma anche sul processo individuale e collettivo attraverso cui ci si è arrivati.

Ricapitolando

Citando Mariani un p. si occupa di:

CHE COSA: (so, so fare) le competenze che si manifestano attraverso performance
COME: (lo faccio) processi e strategie di apprendimento
PERCHE’: (lo faccio in quel modo) gli stili di apprendimento personali

Un modello di p. dovrebbe consentirci la conoscenza e la comprensione di:

  1. Prodotti
  2. Che si costruiscono attraverso processi e strategie personali
  3. In un contesto particolare
  4. Consentendone la valutazione e la autovalutazione, finalizzate alla modifica della programmazione e dell’intervento, ma anche la conoscenza del proprio processo e quindi la consapevolezza del proprio lavoro (il nostro e quello dei ragazzi)
  5. Infine la confrontabilità e la comunicazione

Un p. allora, più che uno strumento, è un modello ed un metodo del nostro fare scuola che passa anche attraverso la costruzione di uno strumento.

Ovviamente la scelta o la costruzione di un p. più sommativo, legato al prodotto o alla performance o più formativo, legato al processo, al divenire, alla riprogrammazione ed alla crescita finiscono di determinare modi e finalità della ns valutazione, del ns rapporto coi ragazzi e quindi di tutto il nostro lavoro.

Purtroppo costruire un p. sommativo o puramente descrittivo o un dossier è più facile che costruire un p. complesso anche formativo. Ne abbiamo parecchi esempi.

 
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