08.09.2001
Obbligo tecnologico e liberismo cognitivo
Leggo con grande preoccupazione lintervista del ministro Lucio
Stanca a ".com" nelle sue parti relative al rapporto tra innovazione tecnologica
e qualità dellistruzione. Laffermazione che gli studenti "debbano"
studiare geografia e inglese direttamente dal computer da una parte e che, in futuro, il
PC sarà importante quanto il libro, ma più efficace, è infatti discutibile per molti
aspetti e pericolosa per altri. La scuola è, nel modello democratico, il luogo in cui la
comunità investe affinché gli apprendimenti avvengano in modo guidato, in cui si attui
cioè la necessaria mediazione culturale tra le generazioni. Tale compito è
affidato agli insegnanti, cui spetta di costruire, sulla base dei principi pedagogici
generali, delle finalità di ogni settore scolastico e dellanalisi dei bisogni e
delle condizioni effettive degli allievi, i percorsi didattici più adatti a renderla
efficace per i giovani che hanno concretamente di fronte nelle aule. Il libro - di testo,
ma non solo - costituisce insieme a altri strumenti (quaderno, lavagna, materiale
audiovisivo, apparecchiature di laboratorio e così via) lambiente tecnologico nel
quale costruire e sviluppare lapprendimento. Il Personal Computer ha ampiamente
dimostrato di essere a sua volta un importante mezzo per la facilitazione e
larricchimento del percorso formativo, e non da oggi! La flessibilità del supporto
digitale, laccesso via Internet a quantità straordinarie di risorse, la
possibilità di utilizzare e realizzare prodotti multimediali hanno da tempo
dimostrato la loro valenza pedagogica e la loro efficacia didattica. Non è per caso,
insomma, che gli insegnanti più attenti e capaci hanno frequentato con entusiasmo corsi
di formazione alluso delle tecnologie di comunicazione nel contesto formativo. Nello
stesso tempo, però, ciascuno di essi ha da tempo capito che è del tutto inutile,
se non dannoso, contrapporre vecchie e nuove tecnologie per lapprendimento e
soprattutto attribuire alle seconde virtù taumaturgiche. In primo luogo, non ha nessun
senso contrapporre libro e PC, testo e ipertesto, multimedialità e comunicazione verbale
e così via. Ciò che importa e arricchisce davvero la didattica è costruire occasioni di
apprendimento integrate, in cui "vecchi" e "nuovi" strumenti
non solo coesistano, ma offrano agli allievi molteplici e poliprospettiche occasioni per
imparare, secondo diversi approcci, stili cognitivi, tempi di apprendimento e così via.
In secondo luogo, poi., la possibilità di "avere in tempo reale il mondo in
aula" offerta dalle tecnologie di comunicazione attuali, è certamente
unopportunità di grande rilevanza, ma, ben lungi dal ridurla, aumenta la
complessità, in termini quantitativi e strutturali, del rapporto tra allievi e società
dellinformazione. Se si vuole perseguire il diritto alla comprensione di tutti,
le responsabilità della comunità, della scuola, dei mediatori culturali (gli
insegnanti), insomma, anziché diminuire, crescono. Il modello abbozzato dal ministro
Stanca va in tuttaltra direzione. Oltre al libro, infatti, scomparirebbe
linsegnante: di conseguenza la mediazione e la capacità di osservazione e di
adattamento del percorso proposto sarebbero affidate al PC o per meglio dire al
software e quindi alla relativa ingegnerizzazione, che per quanto ampia resterebbe sempre
limitata al numero di itinerari previsti. Lallievo, insomma, verrebbe non solo obbligato
a usare solo una particolare tecnologia di comunicazione e apprendimento ma in qualche
misura abbandonato di fronte a essa; la scuola diverrebbe luogo di applicazione di un liberismo
cognitivo davvero da rifiutare, perché poco coniugabile con lidea di garantire
qualità dellistruzione a tutti i cittadini.