Direzione didattica di Pavone Canavese


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08.09.2001

Obbligo tecnologico e liberismo cognitivo
di Marco Guastavigna (www.noiosito.it)


Leggo con grande preoccupazione l’intervista del ministro Lucio Stanca a ".com" nelle sue parti relative al rapporto tra innovazione tecnologica e qualità dell’istruzione. L’affermazione che gli studenti "debbano" studiare geografia e inglese direttamente dal computer da una parte e che, in futuro, il PC sarà importante quanto il libro, ma più efficace, è infatti discutibile per molti aspetti e pericolosa per altri. La scuola è, nel modello democratico, il luogo in cui la comunità investe affinché gli apprendimenti avvengano in modo guidato, in cui si attui cioè la necessaria mediazione culturale tra le generazioni. Tale compito è affidato agli insegnanti, cui spetta di costruire, sulla base dei principi pedagogici generali, delle finalità di ogni settore scolastico e dell’analisi dei bisogni e delle condizioni effettive degli allievi, i percorsi didattici più adatti a renderla efficace per i giovani che hanno concretamente di fronte nelle aule. Il libro - di testo, ma non solo - costituisce insieme a altri strumenti (quaderno, lavagna, materiale audiovisivo, apparecchiature di laboratorio e così via) l’ambiente tecnologico nel quale costruire e sviluppare l’apprendimento. Il Personal Computer ha ampiamente dimostrato di essere a sua volta un importante mezzo per la facilitazione e l’arricchimento del percorso formativo, e non da oggi! La flessibilità del supporto digitale, l’accesso via Internet a quantità straordinarie di risorse, la possibilità di utilizzare e realizzare prodotti multimediali hanno da tempo dimostrato la loro valenza pedagogica e la loro efficacia didattica. Non è per caso, insomma, che gli insegnanti più attenti e capaci hanno frequentato con entusiasmo corsi di formazione all’uso delle tecnologie di comunicazione nel contesto formativo. Nello stesso tempo, però, ciascuno di essi ha da tempo capito che è del tutto inutile, se non dannoso, contrapporre vecchie e nuove tecnologie per l’apprendimento e soprattutto attribuire alle seconde virtù taumaturgiche. In primo luogo, non ha nessun senso contrapporre libro e PC, testo e ipertesto, multimedialità e comunicazione verbale e così via. Ciò che importa e arricchisce davvero la didattica è costruire occasioni di apprendimento integrate, in cui "vecchi" e "nuovi" strumenti non solo coesistano, ma offrano agli allievi molteplici e poliprospettiche occasioni per imparare, secondo diversi approcci, stili cognitivi, tempi di apprendimento e così via. In secondo luogo, poi., la possibilità di "avere in tempo reale il mondo in aula" offerta dalle tecnologie di comunicazione attuali, è certamente un’opportunità di grande rilevanza, ma, ben lungi dal ridurla, aumenta la complessità, in termini quantitativi e strutturali, del rapporto tra allievi e società dell’informazione. Se si vuole perseguire il diritto alla comprensione di tutti, le responsabilità della comunità, della scuola, dei mediatori culturali (gli insegnanti), insomma, anziché diminuire, crescono. Il modello abbozzato dal ministro Stanca va in tutt’altra direzione. Oltre al libro, infatti, scomparirebbe l’insegnante: di conseguenza la mediazione e la capacità di osservazione e di adattamento del percorso proposto sarebbero affidate al PC – o per meglio dire al software e quindi alla relativa ingegnerizzazione, che per quanto ampia resterebbe sempre limitata al numero di itinerari previsti. L’allievo, insomma, verrebbe non solo obbligato a usare solo una particolare tecnologia di comunicazione e apprendimento ma in qualche misura abbandonato di fronte a essa; la scuola diverrebbe luogo di applicazione di un liberismo cognitivo davvero da rifiutare, perché poco coniugabile con l’idea di garantire qualità dell’istruzione a tutti i cittadini.