Direzione didattica di Pavone Canavese

Il dibattito (sulla scuola, ma non solo...) - a cura di Ennio De Marzo

(21.02.2009)

È  Carnevale

 Leggo su uno dei tanti dizionari etimologici on line che “precario” deriva dal latino precarius, che a sua volta rimanda a prex, cioè “preghiera”. Insomma, il termine – stando sempre al dizionario etimologico – significherebbe “ottenuto per preghiera”. Forse l'attuale governo si è ispirato ai classici – o quanto meno a questo dizionario – quando ha deciso di “rivoluzionare” la scuola pubblica statale e con essa la professione docente: i precari dovranno davvero pregare se vogliono continuare a sperare di ottenere un contratto a tempo determinato. E tuttavia il loro sguardo non sarà rivolto al cielo ma ai dirigenti scolastici, ai quali spetterà decidere chi merita o no di lavorare nelle loro scuole.

Non è il caso di allarmarsi però: è Carnevale e quindi – come dice il noto detto popolare – ogni scherzo vale. Ed è con questo spirito che chiediamo al nostro dizionario di illuminarci sul significato di un'altra parola: “politico”. Il termine – come è noto – deriva dal latino politicus che a sua volta rimanda al greco politikos. Insomma, si ha a che fare con la polis, cioè con lo Stato. Dunque, il politico è “colui che regola gli affari di uno Stato”. E già su questo punto – visto che siamo sempre a Carnevale – possiamo farci tutti una bella risata, perché, tralasciando il noto e mai risolto problema del conflitto di interessi del premier italiano, ci viene subito in mente la disparità di trattamento tra la scuola pubblica e quella privata: alla prima si sottrae una enormità di risorse mentre la seconda, sebbene privata, continuerà a ricevere ogni genere di finanziamento pubblico. Davvero un bel modo di “regolare gli affari di uno Stato”. Ma il nostro dizionario ci dice di più: il politico, in quanto “statista”, deve essere “uomo accorto e sagace”. Sebbene tra i due termini sussistano delle differenze, entrambi rimandano alla capacità di “prevedere”. Lo statista, dunque, regola gli affari dello Stato prevedendone gli effetti, che naturalmente non possono essere dannosi per lo Stato stesso, altrimenti si cessa automaticamente di essere uno “statista”.

Ma siamo a Carnevale e ogni scherzo continua a valere! È sin troppo evidente, infatti, che i mostruosi tagli alla scuola pubblica finiranno per impoverire l'offerta culturale del paese, mentre i finanziamenti pubblici alla scuola privata, oltre ad impoverire i contribuenti, andranno ad arricchire le tasche di imprenditori che spesso con la cultura hanno ben poco a che vedere. Insomma, tranquilli, si tratta di una burla!

E allora mettiamoci l'anima in pace e accingiamoci a vedere sfilare i carri allegorici per le strade delle nostre città, a ridere e giocare con i bambini, perché questa, in fondo, è soprattutto la loro festa. Il Carnevale nasce – paganamente – come un momento in cui è permesso a chiunque di assumere uno status diverso dal proprio. Grazie alle maschere, un contadino può vivere da aristocratico e un ricco può passare per mendicante. Fortunatamente questo vero e proprio stravolgimento dell'ordine sociale dura poco: tra pochi giorni gli “statisti” saranno costretti a riporre le maschere nell'armadio, a mostrare il loro vero volto, a tornare ai loro consueti affari, ben lontani da quelli pubblici. La politica, per fortuna, è ben altra cosa ...

Sii benvenuto, sire; e al popolo raccolto per farti riverenza porgi benigno ascolto.
In me vedi l’interprete bisbetico e bislacco, il popolano autentico chiamato Burlamacco,
nome che non registra la dotta biblioteca ma che ripete il fosso sacro all’anguilla cieca.
Osserva. Mentre squillano gli ottoni della banda a te fan pittoresca volubile ghirlanda
le maschere più illustri di tutte le regioni le femmine in gonnella, i maschi in pantaloni
e non come si vestono quando l’estate abbaglia, le donne con le brache, gli uomini in vestaglia.
Grazie d’avere, o Profugo senza patria né tetto, fra le terre ospitali la nostra prediletto.
Grazie del tuo soggiorno forzatamente breve che ci riscalda i cuori nel tempo della neve.
Ma grazie sopra tutto di darci l’illusione con lo stereotipato sorriso di cartone.
Sul magico viale è sfilato il corteo con fasto di trionfo e gioia d’ Imeneo.
Ora da questo palco ascolta le canzoni che scrissero in tua lode sopra diversi toni.
Poi, nella grassa decade, di te fan bella mostra nei corsi e nelle corse, al ballo e sulla giostra
ma quando la Quaresima dirà la sua parola sali sul rogo, impavido, come Savonarola.
E il tuo saluto, l’ultimo, si elevi dal falò: “Cari, l’inverno prossimo, tra voi ritornerò”.
[Umberto Boni, alias Cravache, Il saluto di Burlamacco]

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