Direzione didattica di Pavone Canavese

NUOVO CORSO: materiali e documenti della politica scolastica della legislatura attuale


03.11.2008

A colpi d’accetta…
di Maurizio Tiriticco


…ovvero, evviva l’incultura della valutazione!
Il decreto è ormai legge e il balzo all’indietro è compiuto!
Era il 1977 – trent’anni fa! – quando giungemmo, nella scuola dell’obbligo, all’abolizione dei voti decimali per sostituirli con motivati giudizi! Allora si assunse un chiaro indirizzo. In una scuola obbligatoria per tutti e che intendeva “promuovere” tutti e non lasciare indietro nessuno, le strategie dell’insegnamento tradizionale non erano le più idonee a tale assunto: occorreva cambiare metodi e mezzi, centrare l’attenzione sugli obiettivi più che sui contenuti, sui processi più che sui prodotti, sul lavoro degli alunni, singoli e in gruppo più che sulla lezione degli insegnanti, sulle modalità del motivare più che su quelle del censire… In altre parole, optammo per la strategia del curricolo e della programmazione educativa e didattica, che era tutt’altra cosa rispetto all’insegnamento tradizionale.
In tale prospettiva, la stessa valutazione degli apprendimenti non poteva non essere rivisitata. Il limite di sempre era dato non tanto dall’uso dei voti in sé quanto dal fatto che si era soliti valutare solamente ex post, cioè esclusivamente le prestazioni dell’alunno. L’ex ante non esisteva! Di qui la logica di una valutazione sempre conclusiva, al termine di un’interrogazione o di un compito in classe, o di un percorso, legittimato dalla pagella, per cui si procedeva alla somma degli esiti delle singole prestazioni ed all’unica elaborazione consentita, la media aritmetica! Altre elaborazioni erano interdette! E la coscienza di ciascun insegnante era salva!
In effetti quei criteri valutativi non erano confortati da nessuna teoria, ma solo da una pratica… secolare – dal 1861 in poi! – molto “comoda” e funzionale ad una scuola per sua natura e vocazione selettiva, ma assolutamente incompatibile con una scuola per tutti e che tutti deve efficacemente “promuovere” ed orientare.
Nello scenario di un rinnovamento globale, centrato sulla progettazione curricolare, si optò per un’altra pratica valutativa, ad ampio spettro, possiamo dire, non più solo terminale! Si avvertì la necessità di una valutazione iniziale, dei cosiddetti “livelli di partenza” di ciascun alunno, in modo da avviare le attività dell’insegnare/apprendere in considerazione delle reali potenzialità ed attese di ciascuno e di tutti. Si avvertì anche la necessità di una valutazione di percorso, che chiamammo formativa, che non fosse sanzionatoria, ma di sostegno, di aggiustamenti e di correzioni costanti e continue. Il che non escludeva affatto la necessità di una valutazione conclusiva, di cui in un ordinamento scolastico fondato su classi di età e sul passaggio da una classe ad un’altra non si poteva fare a meno! E si giunse anche a pensare che fosse opportuno valutare anche gli insegnamenti, le risorse adottate e i risultati complessivi via via raggiunti: e con la Carta dei servizi scolastici del ’95 si avviò quella pratica, del resto mai giunta a buon fine, che prende nome di valutazione di sistema.

Fu in questa attività valutativa a tutto campo che ci si rese conto che il voto, sempre terminale, sempre sanzionatorio, nel bene e nel male, non aveva più senso, in quanto incapace

di rappresentare la complessità di un processo valutativo che fosse veramente tale ed in primo luogo promozionale. Eppure la valutazione decimale aveva pur sempre l’aura di una pretesa oggettività, quella che gli improvvisati docimologi autori del decreto 137 pensano di poter ancora perseguire. Per non dire, poi, che si trattava di una valutazione decimale che… decimale non era affatto! Da sempre la norma si era espressa con molta chiarezza: applicare una scala da uno a dieci utilizzando tutti i dieci voti, e solo come numeri interi! Com’è noto, la pratica nelle scuole era – ed è ancora nella secondaria di secondo grado – ben diversa! Mai l’uso di voti interi, ma grande abbondanza di voti intermedi assolutamente illegittimi, resi più suggestivi dai tanti meno meno, dai mezzi, dai più più! Una pratica della cui scorrettezza sostanziale e formale né la scuola né l’Amministrazione ha mai voluto prendere atto!
Per non dire poi che un conto è misurare seccamente l’esito di una prova, altro conto è valutarla in considerazione di altri fattori! Se un saltatore olimpico non va oltre un metro e novanta è un frana! Se lo stesso salto lo compie un alunno di quinta primaria, è una promessa! Guai se guidassi come Massa in città o se Massa guidasse come me a Monza! Si tratta di operazioni misurative e valutative diverse che partono da assunti diversi e che non si possono effettuare con gli stessi criteri! Quando diciamo che non è mai detto che un sei sia eguale ad un altro sei, non facciamo altro che denunciare l’insufficienza valutativa di un voto!
L’adozione del giudizio faceva giustizia di questa pratica che non solo era scorretta, ma che non permetteva neanche di giustificare e motivare le reali ragioni di una valutazione. La svolta non fu di poco conto, anche e soprattutto perché si trattava di dare l’avvio ad una cultura reale della valutazione, per altro strettamente legata alla cultura dell’insegnare/apprendere secondo i principi e la pratica del curricolo. Ci si accinse con grande impegno e fatica su questa strada. Si trattava di sconfiggere e abbandonare una pratica centenaria non sorretta da alcuna legittimazione scientifica ed avviarne una nuova su cui la ricerca educativa offriva negli anni Settanta interessanti suggerimenti. Del resto, il fatto che chi insegna non deve essere padrone soltanto della disciplina di competenza, ma anche e soprattutto delle teorie del curricolo e della valutazione trovò conferma anche nei contratti di lavoro del comparto scuola.

Sul terreno della valutazione per giudizi abbiamo compiuto passi importanti, e con molte difficoltà in relazione sia alle scelte teoriche che alle indicazioni pratiche, anche perché elaborare schede di valutazione articolate in sostituzione delle vecchie pagelle estremamente scarne di informazioni non è cosa semplice. Ma la strada corretta era stata imboccata. Non solo occorreva andare avanti, ma la si doveva avviare anche nell’istruzione secondaria di secondo grado, cosa che si è fatta ma solo nel quadro di sperimentazioni mirate e mai entrate a regime.

Ora con un colpo di accetta, non solo si interrompe un percorso, ma si torma indietro di trent’anni! Ci siamo sempre battuti perché una reale cultura della valutazione si diffondesse e si confermasse nel nostro Sistema educativo di istruzione, ma, con il voto di oggi, dobbiamo solo constatare che a vincere è l’ignoranza, quella più crassa, e che non proviene dall’ultimo operatore scolastico, ma da chi ci governa!

E’ inutile cospargerci il capo di cenere quando leggiamo gli esiti di Pisa o quando rileviamo con costernato sconforto che gli esiti dell’Invalsi rovesciano quelli di Pisa, per chissà mai quale magico artificio! Le prove elaborate dagli esperti di Pisa presuppongono un alunno che frequenta una scuola in cui si insegna, si apprende e si valuta in modo assolutamente diverso rispetto a ciò che avviene nel nostro Sistema di istruzione. Sono prove che non si fondano sulla nozione memorizzata, ma sulla competenza appresa, interiorizzata e praticata. Ma queste sono “raffinatezze” estranee alla cultura – o all’incultura – dei nostri attuali governanti! I quali ritengono anche – lo dice la nuova norma – che “la valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti e degli alunni e la certificazione delle competenze da essi acquisite è espressa in decimi”. Penso alle capriole che i poveri insegnanti dovranno fare per valutare con eguali criteri esiti che sono assolutamente diversi! Come valutare in grammi la distanza Roma-Milano o in metri una bottiglia di Brunello!

E’ gravissimo che con la medesima accetta non solo si taglino soldi, ma anche concetti, anni di storia e di ricerca! Già prefiguro la circolarina che istruisce sugli scrutini: “Le istituzioni scolastiche, nella loro autonomia, assumeranno responsabilmente le loro decisioni in merito a quanto sancito dall’articolo 3, comma 1, del decreto 137”! Il Miur è salvo! E il tutto è rinviato al… maestro unico! Addio alla collegialità! A proposito… a quando il professore unico? Quanto si risparmierebbe!?!?

 


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