Direzione didattica di Pavone Canavese

NUOVO CORSO: materiali e documenti della politica scolastica della legislatura attuale


04.11.2008

Due questioni complicate:

maestro unico e tempo pieno
di Stefano Stefanel


 

Uno dei più gravi pericoli che sta correndo oggi la società italiana nasce dall’aver portato nell’ambito del dibattito politico e mediatico quelli che sono problemi tecnici della scuola, destinati ad incidere profondamente sul sistema nazionale dell’istruzione, che è alla ricerca (disperata) di un assestamento duraturo in grado di far recuperare il tempo perso e le posizioni proprie di una Nazione evoluta nell’ambito della società della conoscenza globalizzata. Il Governo e il Ministro Gelmini hanno deciso di concentrare in un breve lasso di tempo tutta una serie di decreti d’urgenza fortemente invasivi, che hanno acceso gli animi senza permettere un reale approfondimento di quanto proposto. Le forze sindacali e di opposizione hanno chiamato a raccolta l’opinione pubblica per respingere totalmente qualsiasi modifica all’attuale assetto, senza presentare alcuna controproposta organica che ribattesse punto per punto - con intento riformista - i decreti governativi. Ritengo che in questa fase sia molto difficile affrontare con equilibrio le questioni emerse, perché entrambe le parti in campo vedono nell’equilibrio e nell’equidistanza un oggettivo “aiuto” al nemico. Anche per questo la situazione è drammatica e pericolosa, perché sposta sul piano ideologico questioni di carattere tecnico e didattico.

 

IL MAESTRO UNICO

La scelta fatta dal Governo e dal Ministro di collegare il “maestro unico” (legge 169 del 30 ottobre 2008) ad un piano di razionalizzazione comprendente un forte taglio al personale (87.000 docenti in tre anni, di cui 10.000 su 47.000 del primo anno attraverso l’introduzione del “maestro unico”) non pare delle più felici per alimentare un dibattito pedagogico. Alcune esternazione sia del Ministro Gelmini, sia di alcuni esponenti di rilievo del centrodestra, che hanno parlato a più riprese di sistema dei moduli come risposta ai problemi dell’occupazione intellettuale e non della didattica, hanno stonato e non poco il confronto: come si può pensare che una categoria fortemente insultata sia disponibile ad un dialogo franco ed aperto? Depurare da tutto questo la norma relativa al “maestro unico” non pare possibile, si possono solo elencare di seguito alcuni dati di fatto, per cercare di allontanare la discussione sulla norma il più possibile dall’attuale politicizzazione della questione scolastica.

Una lettura attenta della legge 148 del 5 giugno 1990 (Riforma dei moduli) e del d.lgs 59 del 19 febbraio 2004 (Riforma Moratti) permetterebbe di inserire la questione del “maestro unico” all’interno di una discussione pedagogica che indica la forte prevalenza come la migliore azione didattica per bambini molto piccoli.
Scriveva la legge 148/90
:
“Nei primi due anni della scuola elementare, per favorire l'impostazione unitaria e pre-disciplinare dei programmi, la specifica articolazione del modulo organizzativo, di cui all'articolo 4, è di norma, tale da consentire una maggiore presenza temporale di un singolo insegnante in ognuna delle classi (art.5, comma 5)”. Scriveva il d.lgs 59/2004: “Il docente, al quale sono affidati i compiti previsti dal comma 5, assicura, nei primi tre anni della scuola primaria, un'attività di insegnamento agli alunni non inferiore alle 18 ore settimanali (art. 7, comma 6)”. In Europa prevale il maestro unico o prevalente, mentre il tempo scuola Italiano è tra i più alti del Mondo. Le tendenze europee sono innegabilmente più simili alle proposte del Ministro Gelmini che all’attuale assetto.

         L’azione governativa pare però fortemente inopportuna per più motivi:

a)    le recenti indagini internazionali hanno comunicato l’ottimo risultato della scuola primaria: il momento per intervenire con forza su quel segmento di scuola collide contro quanto viene detto a livello internazionale, che deve essere preso per buono quando parla male dell’Italia, ma, a maggior ragione, quando ne parla bene;

b)    l’invasione dell’autonomia scolastica è evidente, anche se solo la Corte costituzionale potrebbe dire se il Governo ha ecceduto in quest’invasione e quindi posto in discussione l’autonomia salvaguardata ai sensi dell’art. 117 della Costituzione riformata;

c)    il taglio orario ai docenti della scuola  primaria poteva essere realizzato anche lasciando alle scuole la gestionalità organizzativa e didattica (perciò funzionale) delle classi;

d)    il Governo poteva “costringere” i dirigenti scolastici ad applicare le leggi in vigore (148/90 e 59/2004) imponendo la prevalenza nelle prime tre classi senza stravolgere il sistema;

e)    davanti a buoni risultati certificati a livello internazionale l’attacco mediatico contro la scuola primaria come scuola dei “fannulloni” e dei “tre maestri per classe” è apparso come un’azione di disinformazione gratuita.

Fatte queste considerazioni è necessario attendere qualche ulteriore chiarimento, perché il comma 1 dell’articolo 4 della legge 169/2008 presenta dei profili di ambiguità rispetto al decreto legge n° 137 del 1° settembre 2008: “1. Nell’ambito degli obiettivi di razionalizzazione (…) è ulteriormente previsto che le istituzioni scolastiche della scuola primaria costituiscano classi affidate ad un unico insegnante e funzionanti con orario di ventiquattro ore settimanali. Nei regolamenti si tiene comunque conto delle esigenze, correlate alla domanda delle famiglie, di una più ampia articolazione del tempo-scuola”. Questo passaggio, che può portare dal primo schema “22+2(irc)” ad uno schema “22+2(irc)+3+3” fino alle canoniche 30 ore, lascia perplessi, ma apre il fronte regolamentare che forse riequilibrerà la questione, lasciando sul tappeto non il maestro unico, ma una prevalenza spinta.

Credo che a questo punto serva una risposta didattica e funzionale, che applichi la norma non per dimostrare che è sbagliata, ma per cercare di non perdere il molto di buono che la scuola primaria ha realizzato in questi anni. Molti insegnanti delle scuole primarie dicono che all’inizio erano contro i moduli, ma quando li hanno provati hanno cambiato idea: attenzione, perché questa tesi può essere ribaltata a favore del maestro unico. Nessun sistema di eccellenza rimane immobile: se è sbagliato modificare un sistema di eccellenza per motivi economici la forza intrinseca di questo sistema può raddrizzare con la propria professionalità una funzionalità sbagliata.

 IL TEMPO PIENO

La dibattuta questione del tempo pieno è invece al tempo stesso semplice e complicata. Semplice perché tutti dicono che lo vogliono estendere: il Governo e il Ministro hanno promesso un’estensione consistente del tempo pieno, l’opposizione ha contestato i numeri, ma non l’estensione. Dunque la questione si potrebbe risolvere semplicemente in un  ragionamento intorno ai tagli della modularità e al possibile trasferimento dei docenti “tagliati” al tempo pieno.

Complicata perché in realtà le cose non stanno così perché ci troviamo di fronte ad uno scontro senza rete tra due concezioni opposte di tempo pieno:

a)    TEMPO PIENO INTESO COME 40 ORE PER FARE SCUOLA: è la concezione su cui è nato il tempo pieno e su cui è cresciuto il doppio organico (44 ore di cui 4 di compresenza) e a cui sono state aggiunte le ore di inglese e religione cattolica giungendo anche a 49 ore per classe, tutte dedicate ad un progetto educativo che rendeva complementari le discipline e le attività educative, l’offerta formativa e il tempo dedicato alla mensa;

b)    TEMPO PIENO INTESO COME 40 ORE PER STARE A SCUOLA: questa concezione stava alla base del 27+3+10, o meglio delle 891+99+330 ore della Riforma Moratti e toglieva dal “fare scuola” le 10 ore settimanali di mensa e dopo mensa.

La complessità delle due visioni va a toccare molte problematiche diverse tra loro, ma tutte di carattere specifico e specialistico che vanno dal maestro unico alla progettualità delle ore di completamento (13 pare, leggendo i documenti ministeriali), dalla mensa intesa come semplice spazio del pranzo ad un pomeriggio non più inteso come attività scolastica.

Trovo questa questione molto delicata: in passato i genitori hanno spalleggiato i docenti contro il Ministro Moratti in difesa del tempo pieno, ma credo che gran parte di quei genitori fosse interessata allo “stare” a scuola per 40 ore alla settimana, non al “fare scuola” per 40 ore alla settimana. A parte alcune Regioni che reggono tutto il sistema scolastico primario sul tempo pieno (Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Marche) mi pare di poter dire che nel resto d’Italia la situazione è più composita. Se il Governo aumenterà il tempo pieno anche solo come “stare a scuola” ci sarà il primo incremento sistematico in tal senso dal 2003 e questa novità dovrà essere valutata anche alla luce delle contestazioni di questi giorni.

Il tempo pieno più della modularità richiede insegnanti coesi e motivati. La sua combinazione con il maestro unico viene ad incidere sull’autonomia funzionale delle scuole e forse sull’autonomia stessa: ma è un quesito da Corte costituzionale, non da approfondimento tematico. Quello che invece va approfondito è il ruolo del tempo pieno nella scuola Italiana, posto che come tempo scuola per “fare scuola” è tra i più lunghi del mondo. La sua organizzazione non sempre riesce a coniugare i ritmi dei bambini con gli orari dei docenti, ma tutte queste sono questioni professionali e didattiche, non politiche, come ormai lo sono diventate. Il futuro tempo scuola basato su un insegnante prevalete e molto contorno può diventare la scintilla che fa nascere grandi fuochi o il luogo del ripensamento progettuale del tempo scuola e della curricolarità

FIORETTO E BIPENNA

Entrambe le questioni (maestro unico e tempo pieno) richiederebbero il “fioretto” mentre si sta usando la “bipenna”: la ricaduta sulla società Italiana, sul suo assetto sociale, sull’incidenza educativa verso le nuove generazioni non sarà innocua. Ma non pare che questo interessi molto chi si occupa di politica e di scuola, poiché le parti sono solo tese a dimostrare il torto e la malafede dell’altro, tutti premettendo che lo fanno nell’interesse dei bambini. Gli unici con la testa sulle spalle mi sembrano gli studenti, che hanno dato vita a contestazioni allarmate per un futuro che non sanno immaginare. A quegli studenti sarebbe il caso di parlare chiaramente e fuori dalle ideologie, sul loro futuro, sulla nostra scuola.

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