Direzione didattica di Pavone Canavese


 

(31.10.2011)

Cittadinanza minore - di Marina Boscaino

A leggere i manuali che circolano sulla figura del dirigente scolastico in questo periodo – siamo in prossimità di una impegnativa prova scritta – si avverte, per quanto riguarda alcune tematiche, un singolare senso di straniamento. Su quelle pagine, alcune anche scritte molto bene, in maniera analitica e con proposte di interpretazioni anche interessanti, si vedono rappresentate le intenzionalità, alle  quali la nostra scuola continua ad essere ispirata, anche dal punto di vista normativo, che spesso stridono quando non cozzano con la pratica quotidiana; e con il modo in cui poi quelle intenzionalità vengono concretamente trasferite in essa.


È il caso del concetto di cittadinanza. La cittadinanza viene definita come l’appartenenza di un individuo ad una comunità civile e quindi come la conseguente condivisione effettiva del quadro dei diritti-doveri di tutti coloro che di quella comunità fanno parte: a questo concetto (una vera e propria idea-guida) si ispira l’integrazione politica dello stato moderno e delle democrazie occidentali. È stato – quello della cittadinanza – un tema proposto in una miriade di forme differenti, a partire dalla vecchia Educazione Civica: Educazione alla Convivenza Democratica (1985); Nuove dimensioni formative, educazione civica e cultura costituzionale (Direttiva MPI, 58/96); Educazione alla convivenza civile (2003; eravamo nell’era Moratti e delle “educazioni”); Una nuova cittadinanza (Indicazioni per il Curricolo), 2007; Cittadinanza e Costituzione (l. 169/08). Nelle Indicazioni per il Curricolo del 2007 si sottolinea la funzione della scuola di formare cittadini dell’Europa e del mondo, “unica comunità di destino europea e planetaria”.


Credo davvero che la scuola debba occuparsi addirittura in primo luogo di questa tematica. Mi sembra però che la questione sia stata artatamente giocata tra curricolo esplicito e curricolo implicito; a quest’ultimo, di fatto, è stata affidata l’educazione ad una cittadinanza responsabile anche – ma non solo – come cultura delle regole e della responsabilità reciproca. Abbiamo detto, ci siamo ripetuti che le competenze di cittadinanza sono trasversali  alle discipline. Ma un fatto certo è che lo studio della Carta – pilastro imprescindibile per una solida formazione civica – ha trovato uno spazio sempre minore nella nostra scuola.


Prendiamo la legge 169/08, che all’art. 1 ha introdotto il nuovo insegnamento chiamato Cittadinanza e Costituzione a partire dalla scuola dell’infanzia. Tale insegnamento dovrà afferire “alle aree storico-geografica e storico-sociale e del monte ore complessivo previsto per le stesse”. Nel Documento di indirizzo per la Sperimentazione dell’Insegnamento di Cittadinanza e Costituzione il Miur sottolinea una serie di principi indiscutibili, che individuano negli articoli della Costituzione l’orizzonte della cittadinanza di ciascuno, validi anche per orientare i bimbi nell’adozione di comportamenti adatti alla convivenza civile e corretti sul piano etico. Non possiamo non essere d’accordo quando leggiamo:
In termini formativi il concetto di convivenza civile si connette strettamente ai cosiddetti “saperi della legalità”, che attengono a diversi e complessi livelli conoscitivi fondamentali in termini di educazione alla cittadinanza democratica, quali a) la conoscenza storica, che dà spessore alle storie individuali e  a quella collettiva, dà senso al presente e permette di orientarsi in una dimensione futura b) la conoscenza della Costituzione e delle istituzioni preposte alla regolamentazione dei rapporti civili, sociali ed economici, quale background fondamentale che deve diventare parte del patrimonio culturale degli alunni e degli studenti (sic!) c) la conoscenza del contesto sociale nel quale i ragazzi si muovono e agiscono: essi non possono prescindere dalla conoscenza delle fondamentali dinamiche europee ed internazionali, di alcune delle altre lingue, culture e religioni, maturata anche attraverso la capacità di accedere alle opportunità di mobilità culturale, telematica e geografica esistenti.  


Tutto molto vero, tutto molto intenso, tutto molto suggestivo. Ma vagamente schizofrenico, se confrontato con ciò che ci circonda.


In primo luogo – ma molto rapidamente – la constatazione dell’incoerenza tra quelle enunciazioni e gli atteggiamenti a cui la politica nostrana interpreta le proprie prerogative. Ce n’è abbastanza per demolire qualsiasi buona intenzione da parte degli educatori e qualsiasi principio teorico agli occhi di bambini e ragazzi che quotidianamente – con compiacimento o con stigmatizzazione, a seconda degli orientamenti familiari – sono bersagliati da notizie, comportamenti, abitudini, arbitri volti alla diseducazione alla legalità. Ai loro occhi c’è la scuola che spiega o prova a spiegare alcune cose; e fuori c’è un mondo che, almeno in ciò che è mediaticamente visibile, tenta in gran parte di raccontare una storia completamente diversa. Qualcuno un giorno si occuperà di determinare i danni che le ultime generazioni hanno subito dalla delegittimazione che la scuola come istituzione e, al suo interno, la credibilità dei suoi messaggi e dei principi cui si ispira hanno subito da certi comportamenti pubblici. Sarà certamente qualcosa su cui riflettere, soprattutto rispetto agli effetti che avrà sulla cittadinanza di domani.

 


Ma torniamo all’articolo 1 della legge 169. Il monte-ore complessivo compreso per l’area storico-geografica - un’area estremamente complessa, come si potrà notare dalla scansione prevista dalle Indicazioni del 2077 – sono state diminuite di un’unità oraria settimanale nel biennio della scuola superiore nei nuovi curricola dettati della “riforma” Gelmini. Il biennio in cui, cioè, i nostri studenti concludono la fascia dell’obbligo di istruzione. Certo, ci sono anche quelli che – grazie alla lungimiranza normativa nel nostro Paese (il ministro Sacconi se ne fa un vanto) – concludono quel percorso nell’apprendistato: figli di un dio minore per cui un’ora più o un’ora meno non importa. Ne sapranno comunque di meno dei loro colleghi più fortunati; e non solo di storia o di Costituzione, ma di ogni disciplina. Per loro la scuola finisce prima. Alla faccia dell’art. 3 della Costituzione.


Ma torniamo agli studenti “regolari”. Si decurtano le ore, ma si declinano principi superiori. È questo il restyling suggestivo dell’opera di “razionalizzazione e semplificazione” che parte dell’art 64 della l. 133/08. Agli insegnanti è stato detto, come sempre più spesso nella scuola italiana da qualche tempo in qua: noi i principi ve li abbiamo esposti, anche dignitosamente. Il nostro marketing ha funzionato. Il decurtamento di un’ora di storia è passato sotto silenzio. Ora arrangiatevi voi: inventatevi qualcosa. Certamente ci saranno molti che riusciranno ad uscire da questa contraddizione, proponendo qualcosa di sensato, forse di significativo: ma in quelle forme – misto tra senso della dignità e del mandato costituzionale e italica inventiva – che non garantiscono tutti. A questo proposito, date un’occhiata, se vi capita, a “La Costituzione a scuola : un’inchiesta di Proteo Fare Sapere” tra gli studenti delle scuole secondarie di II grado a cura di Aldo Santori. I risultati non sono proprio incoraggianti. E indicano una strada da battere e un compito di democrazia, di rispetto per la legalità e di amore per la convivenza civile da cui la scuola non può sottrarsi.


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