Direzione didattica di Pavone Canavese


 

(09.05.2010)

Festa della Mamma - di Marina Boscaino

Avevo in mente di parlare del question time della scorsa settimana, in cui l’Italia dei Valori ha sollevato il problema dei tagli per le supplenze brevi:

 

 
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Sono tagli che vanno a gravare ulteriormente sulla qualità della scuola (perché le supplenze brevi risultano totalmente a carico dei singoli istituti) e che creano problemi enormi, soprattutto nella primaria, dove i bambini vengono smistati in altre classi, evadendo peraltro qualsiasi norma sulla sicurezza. Ci sarà modo di farlo in futuro, dal momento che l’argomento promette di non essere archiviato in tempi brevi e che le risposte agli interrogativi sono state, come potete vedere, al solito, vaghe ed elusive.

Ho dovuto cambiare tema dopo aver letto l’incredibile intervista che un bravo esecutore del Pensiero Unico, Marzio Mian del “Corriere della Sera”, ha fatto a Gelmini. Ne emergono dichiarazioni che solo qualche anno fa avrebbero sollevato una polemica infinita, e che invece sono state registrate – tra uno scandalo e un’Isola dei Famosi – con estrema tiepidezza dai nostri media.

La cornice nella quale lo zelante Mian inserisce gli imbarazzanti contenuti intaglia un tale velo di dignità, integrità, capacità implicite e di maniera intorno alla figura del ministro dell’Istruzione che verrebbe la tentazione di chiedere a quale scuola si sia formato un tanto capace caratterista. 

Trasudante di retorica oscillante tra la politica del fare e la dimensione da Mulino Bianco, tra il “ghe pensi mi” e il repertorio dei luoghi comuni intorno al mistero dell’esser mamma (sul quale, con pudore, ci si interroga in privato e non esternando ricette) l’intervista rilancia – abituale e triste tiritera a cui ci siamo ormai avvezzi – le recenti parole d’Ordine, dagli albi regionali, al merito, al voto in condotta, le sgangherate stelle polari di un’ asfittica idea di scuola. Nemmeno le novità anagrafiche  consentono a Gelmini– anche se appartiene all’universo femminile – di sentenziare cinicamente sul diritto alla maternità, mettendolo in discussione, esattamente come ha fatto con il diritto allo studio e con alcuni principi cardine della nostra Costituzione: la scuola pubblica e l’unitarietà del sistema scolastico nazionale.

 

Altri hanno già provveduto ad entrare efficacemente nel merito da un punto di vista psicologico e antropologico.

 

A me interessa qui ricordare che il modo in cui si attivano procedure alternative a quelle previste dalla legislazione vigente nel nostro Paese (esternazioni, notizie date al Tg, sottrazione alla normativa) è stato spesso preceduto da dichiarazioni in linea generale, informali. E dunque di sottolineare come l’incursione di Gelmini nel diritto alla maternità, una delle conquiste di progresso e di evoluzione degli stati civili, non possa e non debba in alcun modo nemmeno essere pubblicamente discusso in un pour parler che troppo spesso recentemente coincide con una promessa minacciosa. Lo sa – dalla sua villetta in cortina a Padenghe sul Garda, la “ragazza del lago” (sic!) – che nel mondo ci sono le operaie? Che ci sono le addette alla pulizia, magari precarie? Che esistono lavori usuranti, certamente non all’altezza del compito di smantellare la scuola statale, che – efficacemente – sta usurando noi, ma che tuttavia meritano rispetto e considerazione? Ha mai sentito parlare, Gelmini, della lotta e della conquista, delle battaglie femminili, del raggiungimento di una civiltà altra rispetto alla sua dimensione da cartellino timbrato, al suo asfittico mondo in cui dimostrare e declinare esclusivamente l’efficacia meccanica di alcuni criteri (efficienza, merito) a totale detrimento di alcuni inoppugnabili principi e valori (diritto alla maternità, diritto allo studio, diritto al lavoro)? Cosa vuol dire – nei banali impliciti di questa neo-mamma che per caso si trova a svolgere la funzione di ministro dell’Istruzione - che “una donna normale deve certo dotarsi di una buona dose di ottimismo”? Sarebbe lei la donna normale? Normale rispetto a cosa? Al fatto che qualcuno l’ha preferita per la sua fedeltà acritica e le ha messo in mano un giochino che si chiama scuola pubblica, sulla quale esplicita formule da veterana, e dal quale dipendono i destini di bambine e bambini, ragazzi e ragazze e di più di un milione di lavoratori? Gelmini dovrebbe cercare di riflettere più profondamente sull’enorme potere che la visibilità mediatica le concede. Un potere che – nelle democrazie liberali – dovrebbe servire l’interesse generale e dunque essere in primo luogo responsabilità. Tra le enormità che le sono uscite di bocca questa è davvero la più offensiva, non solo per le donne.

 

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