Direzione didattica di Pavone Canavese

 

Quaderno di scuola - a cura di Marina Boscaino

(22.11.2009)

Il nettare degli Idei  - di Marina Boscaino

A novembre di due anni fa la scuola italiana si trovò improvvisamente piombata in un’anomala situazione: l’allora ministro Fioroni volle licenziare una frettolosa (non solo dal punto di vista della tempistica, ma soprattutto della didattica) soluzione ad un precedente provvedimento (l. 1 dell’11.1.07), che prevedeva la non ammissione all’Esame di Stato in caso di debiti non sanati. Fu l’O.M. 92/07, che si proponeva di intervenire su delicate e ineludibili questioni quali il recupero delle innegabili carenze degli alunni delle scuole superiori; ma che – per come è stata strutturata e poi concretizzata – ha rappresentato una non soluzione, un ibrido in termini di credibilità culturale ed autorevolezza didattico-pedagogica, peraltro particolarmente onerosa per i contribuenti: il costo di un’ora di corso è di 50 euro lordi. Si preferì, allora come ora, iniziare dalla fine, improntando i provvedimenti ad una logica interventista e muscolare di facile effetto, piuttosto che provare a riflettere sui motivi dell’insuccesso e sulla necessità di rileggere la scuola italiana alla luce dei cambiamenti e delle trasformazioni che sono intervenuti da quando essa costituisce un luogo immutabile. Rispetto ai quali la scuola superiore progressivamente - arroccandosi in un conservatorismo di maniera, formale più che sostanziale, che l’ha tenuta al riparo dal prendere atto della propria inadeguatezza, e che sarà ancora più evidente quando i regolamenti Gelmini diventeranno esecutivi - sta diventando un dentro che non ha più alcun contatto con il fuori.

Nacque così il primo atto che avrebbe portato al ripristino dell’esame di riparazione a settembre. All’operazione furono destinati 288.010.000 di euro, di cui 197.910.000 previsti nei fondi di istituto delle singole scuole, 30.000.000  dalla Finanziaria 2007; 60.100.000 detratti dal finanziamento previsto per l’innalzamento dell’obbligo di istruzione. I corsi sono effettuati da insegnanti della scuola – ma l’ordinanza ha previsto un’apertura ad inopportune esternalizzazioni del servizio, tanto più scandalosa trattandosi di materia didattica – dopo gli esiti del primo quadrimestre e, per gli alunni con giudizio “sospeso”, dopo la conclusione della scuola: gruppi costituiti da studenti di classi parallele o no, con criticità spesso differenti, con esperienze didattiche e stili di apprendimento disomogenei. Perfino gli esiti pubblicati nella Rilevazione sugli scrutini finali ed esami di Stato  del Servizio Statistico del Miur non assegnano alcuna efficacia dell’iniziativa, se comparati a quelli degli anni precedenti. Senza scomodare cifre e dati, è sufficiente uscire da una logica autoreferenziale e porsi criticamente di fronte alla complessità delle problematiche per rendersi conto che la formula non può essere risolutiva rispetto a gravi problemi come ritardo, dispersione, dissipazione, abbassamento dei livelli di conoscenze e competenze che la scuola fa registrare.  Anche perché nella fase di recupero non possono che essere riproposte modalità didattiche che hanno evidentemente contribuito a produrre il ritardo: si cura il malato con la stessa ricetta che l’ha fatto ammalare.

Ovviamente l’idea piacque a Gelmini, che si affrettò ad affermare che avrebbe seguito la strada tracciata dal predecessore: sufficientemente aggressiva, apparentemente efficace, punitiva al punto giusto, per nulla adeguata alle dimensioni del problema, di sicuro effetto demagogico.  Ma il 2 febbraio scorso la circolare 12 – una risposta alla mancanza di fondi per attivare le pratiche di recupero e all’allarme che si era diffuso elle scuole – confermava che i soldi disponibili contemplavano 35 milioni in meno dell’anno precedente; cifra che ha ridotto di 30.000 i corsi fattibili, pari al  12% dell’attività. La circolare si affrettava a propinare una serie di preziosi consigli ai dirigenti scolastici, che in contrattazione integrativa avrebbero dovuto prima pensare al recupero, poi alle altre attività e progetti: con un’incursione – ormai ci siamo abituati, purtroppo, tra assuefazione degli insegnanti e disinteresse generale – in ambito di autonomia didattica e di contrattazione sindacale, appunto.  Ma non basta: il ministero (entrando – ancora impropriamente - in ambito di organizzazione formativa) suggeriva le modalità di costituzione dei gruppi.

Ancora: tra le possibilità di reperire i fondi sottratti all’operazione “recupero”, veniva segnalata quella di avvalersi dell’art. 13 della legge 40/07 (l’ex decreto Bersani), che faceva però riferimento a fondi destinati a tecnologie, arricchimento dell’offerta formativa, strutture; non al recupero dei debiti, di cui – nella ratio della relativa norma – si faceva carico l’amministrazione: si esortavano le scuole a servirsi delle erogazioni liberali, donazioni di privati cittadini ai singoli istituti. È evidente che il richiamo non può che fare allusione - dal momento che non c’è notizia di generosi lasciti di privati alle scuole, né di fatto al momento la scuola può ragionevolmente rappresentare un luogo di investimento, in attesa di aprire a comitati “tecnico-scientifici” e a (forse) consigli di amministrazione, se Aprea dovesse andare in porto – ad una sorta di gentlemen agreement tra istituti e famiglie, per garantire agli studenti la possibilità dei corsi di recupero.

Infine, nella pedestre logica da “bambole, non c’è una lira”, con finto entusiasmo educativo ed improvvisazione di inventiva nostrana, il ministero tirava fuori l’ennesimo coniglio dal cappello: gli studenti bravi – dopo aver approfondito le loro conoscenze – avrebbero potuto essere coinvolti nell’azione di recupero, dal momento che “non va esclusa una loro funzione di assistenza e tutoraggio” nei gruppi formate secondo le illuminanti direttive ministeriali.

Questo l’impianto normativo al quale facciamo riferimento, al momento. Dal punto di vista pratico, la contrattazione di istituto quest’anno ha fatto registrare una generale contrazione dell’offerta formativa degli istituti, considerando che la falcidia economica cui la scuola è stata sottoposta ha inciso direttamente anche sui fondi disponibili per le singole scuole. Spesso – per tutelare il recupero, cui  le scuole sono obbligate – si è destinato quanto più fondo a questa voce, contraendo tutto il resto. Ma le risorse a disposizione sono talmente poche che, oltre alla perplessità sull’efficacia dell’operazione, l’ammontare del recupero vero e proprio – che sarà certamente inferiore ai due anni precedenti – non potrà incidere significativamente sugli esiti formativi degli studenti.

Insomma: approssimazione, dilettantismo, incuria, caos. Soprattutto mancanza di rispetto totale nei confronti della scuola, alunni, docenti, personale Ata. Successi formativi derivanti dall’ultima tornata di corsi sbandierati ma non comprovati dai fatti; irriverente istigazione al bricolage didattico; incursioni spregiudicate in materie di competenza altrui. Cecità rispetto all’inefficacia di provvedimenti tardivi, visione pedestre del rapporto educativo, delle valenze cognitive di talune procedure. Incapacità di opporre all’abbassamento delle competenze soluzioni che non siano risposte demagogiche di facile effetto, ma di impatto insignificante. Prove tecniche per una cittadinanza sempre meno attiva. Del resto, ce lo stanno dimostrando in tutti i modi: è ciò che desiderano.  Sarebbe bello trovare l’energia e l’orgoglio di non assecondarli.

 

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