Direzione didattica di Pavone Canavese


 

(30.06.2010)

Eppur bisogna andar... - di Marina Boscaino

 

Riflessioni sull'argomento d'obbligo di questa fase dell'anno scolastico: gli esami. Vi propongo un'interessante testimonianza “dal campo” che, da una parte, apre uno spiraglio di speranza sulla capacità di una parte dei docenti italiani di resistere all'immobilismo di altri: finalmente la cifra bella, positiva, etica dell'indignazione; dall'altra illustra il senso di una grave violazione: quella del patto di condivisione dei principi costitutivi della nostra identità storico-culturale, che dovrebbero accomunare la scuola con lo Stato di cui essa è strumento fondamentale. Strumento  di formazione, emancipazione, cittadinanza. 

22 giugno 2010. Esame di Stato, prima prova (Italiano) Saggio breve di ambito storico-politico: “Il ruolo dei giovani nella storia e nella politica. Parlano i leader. I leader proposti dalla traccia sono stati, nell'ordine di presentazione dei “documenti”: Benito Mussolini (Discorso del 3 gennaio 1925); Palmiro Togliatti, (Discorso alla conferenza nazionale giovanile del PCI, 22-24 maggio 1947); Aldo Moro (Discorso all'XI Congresso Nazionale della DC, 29 giugno 1969); Giovanni Paolo II, (Lettera Enciclica Centesimus annus, nel centenario della Rerum Novarum, 1 maggio 1991). 

Altrove mi è capitato di riflettere sulla prima prova in generale. Sul testo specifico, meglio di me si è espresso Valter Oneili, docente di filosofia e storia in un liceo classico di Roma, che sinteticamente ha dato voce allo sdegno che molti di noi hanno provato alla lettura di questa prova:  

Di fronte alla traccia sul ruolo dei giovani nella politica, è inevitabile notare l’accostamento, senza alcuna specificazione, di un atto delinquenziale quale l’assunzione di responsabilità di un omicidio (quello di Matteotti) con l’alto significato di discorsi di due padri costituenti del valore di Togliatti e Moro.
Comunque passioni sarebbero quelle di un dittatore e dei suoi seguaci e quelle di due fondatori della nostra democrazia; lo stesso dovrebbe essere cancellare la libertà altrui, uccidere gli oppositori, inneggiare alla violenza e costruire regole di comune e civile convivenza, garantire il pluralismo, tutelare l’opinione di tutti. La stessa cosa l’olio di ricino e il manganello di ottusi teppisti e l’eroismo di chi, come Gobetti e altri (giovani appunto e nobilmente appassionati), morirono sotto i colpi di quella violenza. Genericamente e indistintamente “passioni”.
Il ministro e i suoi collaboratori non vogliono evidentemente ancora capire che essere fascista ed essere antifascista non è la stessa cosa. L’una cosa è degenerazione e intolleranza che devono ricevere ferma e rinnovata condanna, l’altra sì è passione, che dobbiamo coltivare e promuovere presso i giovani. È questo il dovere delle istituzioni e della scuola: non trasmettere morte nozioni e spoglie cronache ma promuovere e difendere valori e principi propri della nostra migliore tradizione culturale.
Non temano, comunque, il ministro e i suoi collaboratori, noi continueremo, senza stancarci, a fare il nostro dovere di insegnanti, e non saremo mai equidistanti ma obiettivi; e l’obiettività, tra ebrei e nazisti, tra antifascisti e fascisti, impone di stare da una parte."

Una promessa alla quale mi associo con motivazione e convinzione. “Senza stancarci”: di sottolineare il progressivo allontanamento tra lo stare da una parte – quella dalla quale sono nati principi e ideali condivisi e la nostra stessa Costituzione – e la pressione che continuamente sentiamo, da parte di chi ci governa, affinché si ignorino, o almeno si rendano meno invalicabili, i limiti, il confine, lo spartiacque – fino a pochi anni fa inviolabile – tra due fasi della nostra storia nazionale. Se la scuola deve farsi interprete della necessità di licenziare cittadini consapevoli - cittadini la cui consapevolezza e la cui cultura si basino anche sull'introiezione di quei principi condivisi, quelli che hanno portato alla fondazione della nostra Repubblica – quale tipo di schizofrenico meccanismo può giustificare il fatto che chi ci governa continui a proiettare – con un lavorio implacabile e abile, che transita attraverso la delegittimazione programmatica di uno degli organi dello Stato, attraverso un sostanziale revisionismo, attraverso una repressione degli spazi di libertà di espressione, attraverso attacchi espliciti alla Carta, ora disattesa, ora criticata – ideali, principi, visioni del mondo contraddittorie o quantomeno ambigue? La necessità di portare continui “ritocchi” a quei principi costitutivi, all'orizzonte di attesa dell'intransigenza rispetto ad eventuali deroghe all'affermazione di quei principi senza se e senza ma, trapela  dai ripetuti attacchi alla laicità, alla libertà dell'insegnamento, da quanto gli insegnanti possono o non posso dire (secondo loro) per fornire strumenti di interpretazione del reale e di decodificazione del nostro passato. Persino – come è evidente - attraverso l'intrusione coatta di un'interpretazione lesiva della nostra storia democratica in una traccia di esame di Stato. Altri, qualche decennio fa, avevano compreso che la scuola è il volano più potente, se l'obiettivo auspicato è  la cessazione di spirito critico e di capacità interpretativa: la cessazione dell'esercizio della cittadinanza consapevole. Ma senza scomodare abusati parallelismi, quella traccia - come gli attacchi di cui si parlava - ci raccontano la necessità di una smussatura di angoli ben precisi, selezionati con precisa intenzionalità, che delinea un progetto culturale coerente: la necessità di affievolire progressivamente funzione,  ruolo, finalità della scuola della Costituzione, attraverso l'indebolimento di un mandato; attraverso disattenzioni consapevoli; attraverso la persuasione, più o meno occulta, di una sostanziale identità tra ciò che è accettato e ciò che può – stemperando l'esercizio della vigilanza, della critica anche attraverso la potenza della cultura – diventare accettabile.

In questo modo si rende permeabile la differenza tra legittimo e illegittimo, tra principio e interpretazione, tra esercizio democratico della  funzione critica e pensiero unico. 

Senza alcun tipo di ipocrisia (almeno questo dobbiamo riconoscerlo) questa volta si è trattato  della manipolazione esplicita e ufficiale di contenuti finalizzati alla creazione di una percezione collettiva che omologhi fatti, circostanze, dichiarazioni, funzioni fortemente differenti e che annulli di fatto il senso di una differenza che  ha definito  percorsi antitetici della storia del nostro Paese e le conseguenti scelte in termini di valori, principi, democrazia, cittadinanza, libertà. Tanto più grave perché quella collettività sono le ragazze e i ragazzi italiani. La vigilanza intransigente di cui parla Oneili diventa un obbligo educativo, civile, etico.

 

 

 

 

 

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