Direzione didattica di Pavone Canavese

torna alla pagina-indice

08.02.2004


Le tante ambiguità del decreto legislativo del 23.01.2004
(Ma chi scrive i testi delle norme al Miur?)
di Pasquale D’Avolio, D.S. Istituto comprensivo di Arta-Paularo (UD)

Si sa, i testi normativi contengono inevitabilmente delle espressioni vaghe e/o ambigue, che si prestano a interpretazioni diverse; e questo succede quando più si sale nella gerarchia delle fonti, proprio perché le leggi sono in genere l’effetto di lunghe e defatiganti mediazioni (non per niente la Costituzione ha bisogno di una Corte costituzionale per dirimere le controversie interpretative); alla fine l’accordo o il "compromesso", più o meno "storico", viene raggiunto a un livello che lascia soddisfatti i "contendenti", i quali si ripromettono in sede di applicazione della norma di far valere l’una o l’altra delle interpretazioni, a seconda delle circostanze o dei "rapporti di forza".

In un Decreto legislativo però, che segue a una legge, e che ha avuto una "gestazione" di ben 9 mesi, (mi riferisco naturalmente al D.L. applicativo della legge 53/03 approvato dal CDM il 2003 gennaio 2004), e la cui prima stesura risale al maggio 2003, ci si attendeva un po’ più di chiarezza e meno ambiguità; ambiguità che rischiano di rendere problematico il cammino del Decreto. E’ prevedibile attendersi a questo punto Circolari interpretative, quesiti e … via disputando .

Tralascio il problema della legittimità o meno del Decreto stesso o della Circolare 2 sulle iscrizioni, per la quale pende un ricorso al TAR delle OOSS (forse sarebbe meglio soprassedere, a mio modesto parere, e fare meno battaglie giuridiche)

Il fatto è che a una lettura più attenta o meno frettolosa di quanto si è potuto fare nei giorni scorsi, il Decreto appare per lo meno oscuro in certi punti, in altri passibile di contestazioni formali che la dicono lunga sulla perizia giuridica degli estensori.

Prendiamo dunque il Decreto e vediamo dove esso, come si dice, "fa acqua".

A) Il comma 6 dell’art. 7 laddove si dice che il docente tutor "assicura, nei primi tre anni della scuola primaria, un’attività di insegnamento agli alunni (evidenziazione mia) non inferiore alle 18 ore" è un capolavoro di ambiguità. ( A chi, di grazia, dovrebbe insegnare?) Mi risulta che chi ha proposto la modifica dell’originario Decreto di settembre in Consiglio dei Ministri (Decreto il cui testo ufficiale ha visto la luce a ottobre inoltrato dopo defatiganti mediazioni post riunione del CDM) volesse mettere della "sabbia" negli ingranaggi; infatti nella prima formulazione presentata in Consiglio si affermava una cosa non proprio uguale al testo approvato. Il comma 6 del Decreto prima versione affermava testualmente " 6. Il docente con compiti di tuturato assicura, nei primi tre anni della scuola primaria, una prestazione in presenza con il gruppo di alunni affidatogli compresa tra le 18 e le 21 ore settimanali." Ora la scomparsa dell’espressione insegnamento "in presenza" e "alunni a lui affidati" complica un po’ le cose, poiché, al di là delle intenzioni di chi ha scritto il testo, l’espressione definitiva potrebbe infatti significare più cose:

E’ un arrampicarsi sugli specchi? Forse; ma chi ha proposto l’emendamento voleva in effetti creare proprio questo equivoco, che andrà quindi chiarito e non so fino a che punto il chiarimento avrà forza di legge coattiva!

B) Ancora: perché scrivere al comma 5 dello stesso art. 7 che il compito di tutorato dovrà essere svolto da un docente "in possesso di specifica formazione"? Sarebbe stato piu’ opportuno non vincolare la funzione tutoriale a questa specifica formazione, almeno nei primi anni. Sapendo come vanno le cose in Italia, non è improbabile che la "specifica formazione" richiederà degli anni prima che sia completata. E nel frattempo? Allora un legislatore prudente avrebbe dovuto dire che "per il docente tutor si prevede una specifica formazione da realizzare con la necessaria gradualità"; altrimenti è normale che i contrari alla riforma e alla figura del tutor sollevino obiezioni nell’affidamento di tale compito a docenti non "in possesso di specifica formazione" Mi immagino le contestazioni o i veri e propri rifiuti ad assolvere tale compito accampando la mancanza di specifica formazione. Mi sarei aspettato una precisazione magari richiamata sopra nelle Norme transitorie, ma non v’è traccia.

C) Altra ambiguità importante da eliminare: cosa vuol dire che la scelta delle ore aggiuntive (99 o 198) è "facoltativa e opzionale"? Che le famiglie possono scegliere se far frequentare i propri figli le attività aggiuntive o meno, vale a dire o 0 o 99, oppure che possono scegliere se farli frequentare in parte? Quando si dice che gli alunni sono tenuti alla frequenza delle attività facoltative "per le quali le rispettive famiglie hanno esercitato l’opzione" sembrerebbe che possano frequentare SOLO quelle gradite; quindi possono scegliere una attività o due o tre a seconda della preferenza. E poiché per l’autonomia della Scuole le attività potrebbero non essere annuali ma temporanee (moduli trimestrali, quadrimestrali ecc) significa che l’opzione si esercita per le attività e per la durata delle stesse. In sostanza le attività dovranno essere tutte annuali o potranno avere una durata diversa? Un corretto esercizio dell’autonomia non dovrebbe imporre regole rigide alle Scuole. Ma tutto ciò va chiarito, con quello ciò che ne consegue sul piano delle entrate e uscite dalla Scuola (senza parlare dei paesi di montagna dove i trasporti non sono mai cosi ì "flessibili": ma questo è un altro discorso). Un chiarimento che avrebbe potuto essere contestuale alla Circolare sulle iscrizioni e non rinviato ad ulteriori precisazioni

D) Sempre all’art. 7 comma 2 e pari pari all’art. 9 comma 2 si parla delle attività educative e didattiche aggiuntive che devono essere facoltative e opzionali (si veda sopra) e si aggiunge "la cui frequenza è gratuita". Capisco la preoccupazione del Ministero di evitare l’accusa di voler introdurre attività a pagamento come modalità normale della Scuola "neo liberista". Tuttavia tale limitazione rischia di creare un paradosso: che le attività opzionali devono essere gratuite, mentre quelle che si svolgono nelle ore curricolari possono prevedere un pagamento, anche se si definiscono "contribuzioni da parte della famiglie". Mi riferisco ai vari corsi di nuoto o di sci o al teatro, attività che si svolgono spesso nelle ore curricolari o alle stesse visite di istruzione o visite didattiche per le quali le famiglie contribuiscono, eccome. Sarebbe stato piu’ opportuno utilizzare la formula prevista proprio per le visite di istruzione e cioè che comunque la mancata partecipazione a tali attività non dovrà dipendere da motivazioni economiche

E) Ultimo punto importante: mi chiedo e chiedo a chi può spiegarlo. Che valore ha il comma 3 dell’art. 8 laddove si dice che "Il miglioramento dei processi di apprendimento e della relativa valutazione nonché la continuità didattica sono assicurati anche attraverso la permanenza dei docenti nella sede di titolarità almeno per il tempo corrispondente al periodo didattico" Si tratta di un "auspicio" o di un vincolo legislativo? In questo secondo caso si va a interferire con norme contrattuali che prevedono attualmente i trasferimenti annuali (E’ appena stata sottoscritta una intesa sulla mobilità che prevede proprio questo). I tecnici del Ministero si sono posti il problema? Si intende veramente perseguire questa sacrosanta ( a mio parere) salvaguardia della continuità? E allora bisogna prevedere una battaglia non facile con le OOSS anche perché queste hanno dalla loro parte non solo la L. 29 (che prevede la prevalenza delle norme contrattuali sulle norme … e sui diritti dell’utenza!!) ma lo stesso Regolamento sulle supplenze che prevede l’assegnazione delle supplenze annuali e non biennali o triennali, come sarebbe logico e giusto. E la continuità verrà assicurata solo agli alunni che hanno insegnanti "titolari", o a tutti, anche a quelli che hanno docenti supplenti? Nel caso della mia Scuola, che non è un caso raro in periferia, l’80% dei docenti delle Medie è precario e quindi soggetto alle supplenze annuali. Come la mettiamo con l’uguaglianza dei diritti dell’alunno?

Infine un piccolo mistero. Nel Capo V , norme finali e transitorie (come la nostra Costituzione del 1948!) all’art. 13 comma 2 si dice testualmente "Per l’attuazione delle disposizioni del presente Decreto sono avviate, dall’anno scolastico 2003-2004 la prima e seconda classe della scuola primaria e, a decorrere dall’anno scolastico 2003-2004, la terza, la quarta e la quinta". Mi chiedo: visto che il Decreto non è ancora pubblicato sulla G.U. significa che, appena verrà pubblicato, è possibile iniziare la sua applicazione …… a partire dal 1 settembre 2003 (?!). O non ci si è accorti che tale espressione andava bene a maggio 2003, all’epoca del primo decreto, e non ha senso oggi? Oppure si voleva mantenere la gradualità e quindi l’articolo vorrebbe intendere che per l’anno prossimo si comincia con la prima e la seconda e per le altre classi l’avvio è nel 2004/2005, come sarebbe più logico?

Può sembrare una provocazione la mia, ma di fronte a tanti altri episodi di imperizia (Nota sulla formazione dell’aprile scorso, poi ritirata, C.M. 61/2003 e successiva ritrattazione) è lecito aspettarsi di tutto dagli estensori di norme di Viale Trastevere!

torna indietro