Direzione didattica di Pavone Canavese

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08.08.2005

Maledizione,
ci tocca anche occuparci dell'Invalsi !!
di Andrea Bagni

Riecco l'Invalsi, rieccoci a parlare di valutazione. Maledizione.

Va bene che da un lato è del tutto ovvio che in regime di autonomia scolastica gli istituti, liberi di organizzarsi per ottenere i "risultati", dovranno poi sottoporsi ad una verifica del loro effettivo raggiungimento. Ma intanto dovrebbero essere chiari da subito quali sono i famosi risultati da raggiungere, quantitativi e qualitativi (soprattutto qualitativi, trattandosi di scuola). E anche chi valuta e quanto sono condivisi gli obiettivi da raggiungere. Invece è tutto un casino. Il governo non ha molta confidenza con la legge e non ha rispettato nessuno dei passaggi necessari a dare senso complessivo e obbligatorietà alla valutazione; peraltro cosa viene valutato, secondo quali "standard" (espressione già non facile da maneggiare nell'educazione), nessuno lo sa ancora. Il soggetto che raccoglie e gestisce i risultati è tutt'altro che estraneo all'amministrazione: dunque l'operazione assume un inquietante aspetto ministeriale. E poi che se ne sarà dei risultati? Torneranno alle scuole per la loro autovalutazione, la "calibrazione" e la "messa a punto" dei processi? Mah. Come se un istituto avesse una sua didattica unitaria, omogenea e consapevole, correggibile da un soggetto centrale onnipotente... In realtà le variabili sono pressoché infinite, i punti di partenza dei ragazzi e delle classi ultra differenziati. I metodi di insegnamento pure. Ovvio che la cosa più probabile è che le verifiche siano o banalmente nozionistiche – facili da realizzare ma poco significative; oppure di "competenze trasversali", metacognitive o meta qualcos'altro, significative ma difficilissime da valutare. Probabile anche che l'uso che se ne farà presto o tardi sarà di classificazione degli istituti e degli insegnanti (e secondo me ci vorrà un esercito di ispettori perché i soggetti alla -e non della- misurazione, non si mettano d'accordo per aggiustare, in nome della vita ribelle o del quieto vivere, gli esiti).

Il punto però è che tutti sanno che per ora, in assenza di elaborazione collettiva, tutta questa roba è (nella migliore delle ipotesi) una perdita di tempo. Si sa che traguardi uguali per situazioni sociali e storie personali diverse non hanno senso. Si sa che il senso della scuola e dell'insegnamento non sta tutto nelle conoscenze verificabili – c'è un mare d'altro, che solo una valutazione narrativa, dall'interno delle storie, e solo un pensiero emotivo possono avvicinare. Raccontare più che classificare. Ma tutta questa materia fluida banalmente umana è tecnicamente non rilevabile, dunque si decide irrilevante. Si sa anche che l'autonomia scolastica sta trasformandosi in una disintegrazione dal basso, privatizzazione partecipata delle scuole: ognuno che coltiva la sua nicchia esclusiva di progettino; ogni scuola che cura il suo segmento di mercato, la sua competitività in termini di valore di scambio di quel dépliant per famiglie-clienti che chiama pof. Sempre più in cerca di optional che facciano la differenza.

Le riforme dall'alto non riescono a toccare davvero il fare scuola e la sua qualità. Ma quella dimensione vivente della scuola non permette nessun discorso facile di potere sui processi, si può citarla per mostrare che si ha consapevolezza del problema, ma poi non si sa cambiare ottica e si continua. La parzialità del punto di vista nozionistico prestazionale e organizzativo non cessa di essere il cuore nero di un intervento totalizzante sulla scuola. Disastroso.

Se almeno si imparasse un po' dallo sguardo femminista che insegna a partire da sé e dalla propria misura - non onnipotente universale astratta; o da quello ecologico che educa al senso del limite e al paradigma cauto della complessità. Piccoli passi che cercano di interagire con l'esistente che circonda.

Non è facile oggi sperare che tutto succeda per autogenesi, orizzontalmente. C'è molta tristezza che circola, che intristisce e fa subalterni all'ordine. Bisognerebbe fare un po' di spazio e magari di silenzio, per pensare daccapo un po' tutto. Sarebbe la rivoluzione.

Invece tocca occuparsi di Invalsi e valutazione. Maledizione 

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