Direzione didattica di Pavone Canavese

Quale scuola per quale riforma
di Girio Marabini

Le convergenze etiche
nella gestione e valorizzazione delle risorse umane nella scuola


Ho sostenuto recentemente la necessità di recuperare in educazione una etica forte riferendomi in particolare all'etica dell' "essere per gli altri".
Ritengo infatti indispensabile in questo momento di trasformazioni del mondo della scuola   non sempre orientate dalla bussola del buon senso e da certezze, avviare un discorso sul comportamento indispensabile per guidare i processi innovativi in atto nel nostro sistema educativo, nelle nostre scuole che occorre sicuramente considerare come comunità educanti.
La ricerca appassionata e qualche volte, se così posso dire, ossessionata della qualità in educazione può far dimenticare l'esigenza che i nostri comportamenti, i comportamenti di quanti lavorano nel sistema educativo in particolare dirigenti ed insegnanti, siano in qualche modo regolati non certo dall' "etica dell'amor proprio" di cui parla Savater in un recente saggio ma da un 'etica dell'agire comunicativo (Habermas) non certo dalla ricerca di  un'impossibile "razionalità assoluta" quanto da una più conveniente realizzazione di una"razionalità limitata" o possibile .
L'emozione ed il sentimento, sempre individuali e ribelli ad ogni legge, hanno preso il posto della consapevolezza basata sul pensiero in questa società caratterizzata dalla diversità, dall'opposizione, dalla frantumazione.
Siamo spesso  l'un contro l'altro armati, le parole sono urlate pù che dette, l'insulto,la polemica solo per la polemica,  al posto del rispetto dell'altro e la ricerca costante della comprensione reciproca hanno sopraffatto gli antichi segni della nostra civiltà.
Nel lavoro  a scuola spesso si cerca l'autoaffermazione anzichè la collaborazione per il successo comune e non solo personale, e questo vale sia per gli insegnanti che per gli alunni.
La sola consapevolezza ,attraverso uno studio psicologico avanzato, delle dinamiche che regolano la comunicazione interpersonale nella scuola, intesa come organizzazione e sistema di competenze, non è sufficiente: ad esempio, un approccio sulla persona di tipo rogerersiano  con tutta la metodica applicativa conseguente non aiuta a ridurre la complessità anzi rende quasi il sistema artificiale : ogni volta si pone un problema, l'uomo agisce in maniera spontanea , normalmente non compie un'analisi di tipo psicoanalitico del suo o dell'altrui comportamento.
Non basta inoltre ritenere che tutto nella scuola è "risorsa" comprendendo in questo termine anche la persona, perchè esso è debitore della condivisione e del riconoscimento di tutti.
Occorre invece verificare la possibilità di "convergenze etiche".
Il mio lavoro è infatti per me soddisfacente non solo e non tanto perchè soddisfa la mia persona ma perchè riconosco che attraverso l'altro e con l'altro rendo un servizio significativo alla società.
Non "chiedo" soltanto agli altri ma "rispondo" agli altri. Non ho solo diritti ma rispondo a doveri precisi.
Non dobbiamo tuttavia incorrere nell'errore di  considerare una contrapposizione netta tra "l'etica della virtù"  di cui parlava MacIntyre e "l'etica delle regole" . La verità non sta mai da una parte.  Le due morali non sono contrapposte come può apparire ad una prima lettura. "Tanto l'una quanto l'altra hanno per oggetto l'azione buona, intesa come azione che ha per motivo la ricerca e per fine il conseguimento del Bene. Con questa differenza: che la prima la descrive, la indica, la propone comne esempio; la seconda la prescrive, come un comportamento che si deve tenere, come un dovere" (N.Bobbio, Elogio della mitezza ed altri scritti morali,   ed. LINEA D'OMBRA, 1994 ).
Non dobbiamo contrapporre dunque la virtù alle regole ma occorre cumulare la loro efficacia.
E' un compito eccezionale per tutti noi in un momento, forse il più alto, della crisi dell'uomo.
Italo Mancini aveva descritto magistralmente in un breve passo il volto attuale della crisi, soprattutto nei mondi cosiddetti dell'autonomia...
La formuletta di cui ha fatto uso  è quella di "asignificanza delle rotture" tratta da un libretto di Deleuze e Guattari chiamato "Rizoma".
"Sembrano due parolette, ma in realtà si tratta di una cosa tragica. Qui si tocca il fondo dello smarrimento; oltre c'è solo la follia del vivere senza normalità. Cerchiamo di chiarire questo senso con parole semplici. Nella storia dell'occidente, nella voce della coscienza comune, e soprattutto nella rivelazione del Signore, pensate al tema delle due vie, la gente ha sempre distinto tra buono e cattivo, tra giusto ed ingiusto. La distinzione tra bene e male era significante. Il rimorso aveva una voce, l'espiazione era cercata, la pena giustificata(...) Ebbene questa significanza delle rotture oggi è messa in crisi.( ...) Che bene e male, giusto ed ingiusto non abbiano alcun senso, e tutto sia innocente, buono, purchè si riesca a sopportarlo, questo ha effetti davvero devastanti.
Concetti come dovere, impegno, fedeltà, lealtà, fini da raggiungere, neanche si nominano più; volerli far valere è appendere la giacca all'attaccapanni riflesso nello specchio." ("Asignificanza delle rotture" in Tre follie, Italo MANCINI,Ed. Camunia, 1986, pag.137)
Il rizoma è un paradosso botanico , una pianta che vive con le radici pendule nell'aria e il tronco che si nasconde sotto gli arenili.
Il significato è chiaro, avvertiva don Italo,"l'uomo non ha e non deve avere più radici, non ha e non deve avere una direzione verso l'alto. Non ha fondamento e non ammette autorità. Nessuno è più responsabile di lui, nè Dio, nè i genitori, nè i maestri; ha la sua vita nelle mani come un pezzo di carta; un pezzo di carta su cui si può scrivere un pensiero, di cui si può fare una barchetta, ma che può anche essere strappato a pezzettini, e buttato nel cestino..."(op.citata, pag.139)
E allora vediamo se possiamo trovare la soluzione in un etica dell' "agire comunicativo" diretto all'intesa per battere l'"egoismo autoaffermativo". Ciò è indispensabile per superare gli ostacoli che inevitabilmente si incontrano nella prassi dei "luoghi pedagogici" quando ad esempio tra gli educatori prevalgono comportamenti egocentrici su quelli invece  improntati a collaborazione e reciprocità.
Ed ecco che l'etica dell'"essere per gli altri" si impone anche a chi non è cristiano.
In questo contesto l'agire sovrasta per importanza il semplice dire. Non solo dunque la parola , ma soprattutto l'azione è ciò che illumina l'essere per gli altri....
E' necessario ritengo assumere la parola e l'azione a criterio dell'intero comportamento appellandosi alla volontà e al cuore, all'integrità dell'uomo.
Chi ha bisogno di me? Ciò che ci guida è essenzialmente la disponibilità verso il prossimo, verso chi ci è vicini.

So infatti   fin troppo bene cosa devo a me stesso ; so anche altrettanto bene, che cosa mi devono gli altri. E' naturale la tendenza a conservarci, a favorirci, a custodire e coltivare il nostro io.
Identica attenzione ci viene chiesta nei confronti  del prossimo. Deve cadere ogni barriera: assumere il punto di vista dell'altro; dare all'altro ciò che crediamo di dovere a noi stessi.
E' un orientare l'io in direzione dell'altro senza rinuncia alla consapevolezza di sè; un essere vigili, aperti, disponibili.
Questa disponibilità è servizio...chi ha bisogno di me?  (si veda Hans Kung "Essere Cristiani", Arnoldo Mondadori editore, pag.283)
E' un servizio altruistico che non conosce rapporti gerarchici.
E' per il dirigente scolastico ad esempio un costruire l'autorità non fondata semplicemente sul diritto o sul potere e neppure semplicemente sulla dottrina e sulla dignità ma costruita insieme agli altri con spirito di servizio...
Chi ha bisogno di me? E' un mettersi al servizio non solo dei forti e dei sani ma soprattutto dei deboli: è costruire insieme una "scuola più forte  per gli alunni più deboli"
E' un sogno? forse , ma facciamo che sia il sogno lucido del giorno.
Vorrei tornare ad Italo Mancini per riscoprire un altro concetto la riconciliazione. E' quello del grande filosofo urbinate un vero e proprio elogio alla riconciliazione:
"...Riconciliazione vuol dire vivere insieme senza rotture, senza odii , con vera fraternità senza terrore, in cui tutti, mano nella mano, si danno da fare per alleggerire le fatiche terrene(...).
La prima cosa è darsi da fare per ricostruire una cultura della riconciliazione. Saranno magari delle tracce, piccoli segni, piccoli gesti, come sentieri nel bosco, ma avranno una grande importanza. raccogliersi intorno alle parole pace, lavoro, bene, disciplina, dialogo, comunione; camminare eretti dopo i mille servaggi che hanno incurvato l'uomo nel corso della storia: ecco alcune tracce per la riconciliazione.
Capirsi,parlarci, riconoscere un unico padre , un unico destino, i grani diritti fondamentali del  vivere insieme; ecco altre tracce per la riconciliazione.(...) (ibidem, pagg.18,19,20)
Il filosofo ci ha avvertiti che nessuno  può farcela da solo nella complessità del mondo.
Occorre attuare dunque delle "convergenze etiche" ricordando che etico è il comportamento guidato dalla morale.
Ancora don Italo "Dovunque albeggia una luce, dovunque un uomo agisce lealmente, dovunque c'è qualcuno che il ripete il motto (fatto scrivere anche da don Milani nell'aula di Barbiana) I Care, mi preme, mi preoccupo, sono sensibile a te; lì si deve riconoscere un fratello, uno con cui fare un fronte di  lotta comune "

 
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