Direzione didattica di Pavone Canavese

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21.12.2003


Portfolio e portafoglio.
Individualizzazione e personalizzazione:
due proposte convergenti o alternative ?
di Rinaldo Rizzi
(per gentile concessione della rivista .ECO)

 

La nostra scuola ancor oggi nel suo complesso appare improntata a un’azione di uniformazione, trasmissiva e formativa, che mal si addice alle attuali condizioni ed esigenze di una società multimediale e globalizzata, la quale richiede invece pluralità di linguaggi, flessibilità cognitiva e capacità creativa.

Le modalità comunicative e i metodi generalmente praticati nella scuola riflettono tuttora un modo di pensare e di relazionarsi tipico di una società agro-meccanica ancora legata a modelli sociali e culturali trasmessivi, lineari e rigidi che confliggono con le modalità di conoscenza e di pensiero delle nuove generazioni, cresciute nella società mobile e illimitata della comunicazione multimediale e dell’invasione nel cognitivo del virtuale.

Tale ritardo è alla base del permanere di un’ampia fascia di dispersione scolastica nel nostro paese, della progressiva svalutazione sociale del ruolo docente e della disaffezione crescente delle nuove generazioni rispetto alla povertà dell’offerta formativa che la scuola offre.

Di fronte al ritardo della scuola di Stato va tuttavia riconosciuto che negli ultimi decenni sono maturate esperienze innovative che hanno tentano e perseguito modelli educativi partecipati e pratiche didattiche attive. Rispetto a queste esperienze il legislatore in passato ha tentato di recepire alcune innovazioni (leggasi la legge 820/’71 istitutiva della scuola a tempo pieno che apriva alla collegialità e alla sperimentazione, la 477/73 d’introduzione della sperimentazione e degli organi collegiali, la 517/’77 che sul piano organizzativo offriva la possibilità nella scuola dell’obbligo di uscire dagli schemi rigidi della classe chiusa, del libro di testo unico, dell’orario rigido, nonché la normativa che ampliava la possibilità della sperimentazione nella secondaria superiore).

I due atti legislativi che hanno portato una modificazione radicale rispetto agli schemi passati hanno riguardato comunque la modularizzazione della scuola elementare (legge 148/’90) e il riconoscimento dell’autonomia dell’istituzione scolastica (Legge 59/1997) sancita poi con la modifica al titolo V della parte seconda della Costituzione (legge cost. 3/2001). Ma mentre la modularizzazione ha costretto la base insegnante ad aprirsi al rapporto inter-docente e a fare i conti con un nuovo status didattico e professionale interdisciplinare, il riconoscimento dell’autonomia istituzionale (didattica, organizzativa, di ricerca e di tessuto di rete inter-istituzionale) è stata frenata da una cultura docente e dirigente atavica di dipendenza amministrativa e di auto-referenzialità istituzionale, del resto favorita dalle resistenze del centralismo ministeriale.

Il centro-sinistra con le norme applicative dell’autonomia (DPR 275/1999), la legge 30 del 1999 di riforma dei cicli dell’istruzione e del DPR dello stesso anno di riforma degli organi scolastici territoriali ha tentato di modificare l’assetto istituzionale e l’orizzonte culturale della scuola. Ma oltre alla mancanza di tempo s’è scontrato con una categoria poco disposta a tali innovazioni che sostenevano il passaggio da una scuola centralizzata dello Stato a un sistema integrato della formazione, i cui presupposti operativi richiedono un’organizzazione educativa per progetto (dal Programma annuale e dal POF ai progetti di rete).

Educazione privata

Il Governo di centro-destra, come annunciato in campagna elettorale, quale suo primo atto ha cancellato la riforma Berlinguer proponendo un impianto, ispirato sostanzialmente dal pedagogista Bertagna, che si rifà a un’impostazione personalistica dell’educazione, dove primeggia non una visione sociale e solidale, ma una concezione privatistica dell’educazione. Può essere interpretata come il tentativo di dare una risposta ai ritardi della scuola, ma i modelli ed i fini appaiono sostanzialmente diversi, e talora opposti, ai percorsi d’innovazione seguiti negli ultimi decenni dalla scuola italiana.

Oltre all’anticipo d’ingresso e d’uscita dall’obbligo e alla conservazione della separazione fra scuola elementare e media unica (che di fatto tendono a privilegiare nella valutazione i requisiti socio-culturali extrascolastici, anticipando la scelta fra un futuro di vita intellettuale o manuale) troviamo altri elementi significativi del disegno neoliberista:

  1. la contrazione del tempo scuola e degli organici, la fine del tempo pieno e prolungato;
  2. il taglio di finanziamenti alla scuola dell’autonomia e l’ampliarsi del sostegno alla paritaria;
  3. l’introduzione dei Piani personalizzati delle attività educative nella scuola dell’infanzia e Piani di studio personalizzati nella scuola primaria e secondaria a fondamento dell’impianto metodologico e valutativo;
  4. l’introduzione del Portfolio delle competenze individuali con il concorso della famiglia;
  5. l’istituzione del tutor, docente prevalente nel primo triennio della scuola primaria e coordinatore nelle classi successive;
  6. l’opzione da parte della famiglia sulle ore integrative finalizzate alla personalizzazione del piano di studio.

Scuola su misura

Presa in sé ogni singola proposta potrebbe anche attrarre, rispondendo a esigenze di rispetto della persona che la scuola spesso nella sua storia anche recente ha ignorato o comunque sottovalutato. Come non condividere il fatto che ogni bambino/ragazzo è diverso dagli altri e che dunque va rispettato per le sue capacità e competenze; come non condividere sull’opportunità che la collegialità docente sia supportata dalla responsabilità di una figura di coordinamento e che ogni alunno possa far riferimento relazionale ad un tutor; come non condividere il superamento di un’azione didattica che si esaurisce nella classe chiusa attraverso invece l’introduzione di attività obbligatorie di laboratorio; come non condividere infine che ci sia un rapporto più costruttivo e coinvolgente fra scuola e genitori.

Il problema sono i fini per i quali si individuano questi mezzi/modalità ed i mezzi/condizioni con le quali si intendono realizzare.

La personalizzazione dei percorsi curricolari-formativi è ben diversa dalla ricerca e dalle pratiche perseguite in questi ultimi decenni intorno alla individualizzazione degli interventi didattici, al credito formativo e al diritto di cittadinanza riconosciuto agli allievi. La prima si fonda sulla separazione e sulla responsabilità personale e familiare, la seconda sul riconoscimento dell’individualità in un rapporto di socializzazione e sulla responsabilità della scuola nella costruzione di pratiche di recupero/inserimento e del diritto-dovere condivisi in una comunità formativa. Tale diversità porta a diverse interpretazioni professionali, sia nelle pratiche didattiche che valutative rispetto al ruolo del tutor e del portfolio, che possono facilmente essere intuibili (primato dei prerequisiti sociali e della responsabilità del singolo alunno rispetto a quello del servizio scolastico pubblico sia in riferimento ai percorsi che agli esiti formativi).

Rispetto ai mezzi e alle condizioni con i quali si rendono possibili percorsi individualizzati o personalizzati, il coordinamento docente e l’assistenza tutorale, la corretta composizione di una cartella documentativa e valutativa in senso diagnostico e formativo, il concorso dell’alunno/studente e dei genitori alla composizione del portfolio, la scelta fra il canale di studi liceali o quello della immediata professionalizzazione e apprendistato vanno riferiti in rapporto al tempo e allo spazio messi a disposizione. Non si vede come il mantenimento e talora la contrazione dell’orario e dell’organico docente possano esser compatibili con tali nuovi oneri professionali che richiederebbero per esser seriamente affrontati tempi di cattedra, di extracattedra individuale e collegiale ben più ampi rispetto agli attuali, per poter affrontare il coordinamento e la collegialità docente consultiva e programmatoria, la predisposizione, la documentazione e la valutazione dei materiali, le attività di tutoraggio con gli alunni e di dialogo con i genitori, il raccordo con il territorio.

Le proposte che ci sono state indicate dal progetto di riforma Moratti-Bertagna con a latere il condizionamento determinante del ministro finanziario Tremonti oscillano dunque fra ideologismo liberista e velleitarismo accademico, destinate a produrre nella scuola mistificazione e confusione anziché ordine ed efficacia formativa. Il problema che si pone agli insegnanti democratici, in un quadro fattosi più complicato e contraddittorio, è come rispondere oggi per riportare al centro dell’azione didattico educativa il diritto sociale di cittadinanza.

 

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