Direzione didattica di Pavone Canavese

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27.04.2005



Piani di studio personalizzati
e ricerca disciplinare
di Girio Marabini

 

Ad un anno ormai dall’avvio della riforma mi sembra opportuno fare il punto della situazione per porre, al solo scopo di definirla, la questione dell’insegnamento delle discipline, versante questo di cui poco si è parlato, se non come premessa o corollario alla questione delle unità di apprendimento e dei piani di studio personalizzati.

La centralità dell’alunno, posta come elemento oggettivo fondamentale dell’azione pedagogico - didattica della scuola, ha spostato l’attenzione dall’insegnamento delle discipline all’apprendimento. In tale ottica i contenuti sono visti non come fine, ma come strumento per l’acquisizione di capacità, di abilità, di competenze e per il possesso di conoscenze. Il bambino diventa protagonista della sua formazione ed impara ad imparare e l’insegnante si apre all’innovazione ed organizza il processo educativo degli alunni secondo obiettivi di formazione ed obiettivi strumentali nell’ambito di un preciso progetto educativo. E’ evidente che l’insegnante è chiamato a svolgere una nuova importante e complessa funzione di mediazione che supera i limiti della sola trasmissione del sapere. Oltre la formazione iniziale l’insegnante ha, quindi, la necessità di adeguarsi ai progressi scientifici e culturali e di innovare continuamente i propri atteggiamenti.

Il processo di personalizzazione dell’insegnamento comporta un serio lavoro di indagine: occorre da una parte conoscere le caratteristiche e le condizioni per l’apprendimento formativo, dall’altro come poter individualizzare l’insegnamento, cioè come poter rendere l’insegnamento sempre più aderente alla situazione di ognuno. Non nascondo le difficoltà che si incontrano nel rendere effettivo l’intervento individualizzato: classi numerose e non sempre organizzate in modo equiomogeneo, tempo degli insegnanti ecc. Eppure è possibile assumere come modus operandi un atteggiamento individualizzato.

A questo proposito , mi piace riportare un passo di Dottrens, nel quale l’autore con parole semplici ma efficaci aveva chiarito il significato dell’insegnamento individualizzato:"il solo metodo di possibile riadattamento – in educazione come in medicina – è l’applicazione di metodi individualizzati, applicati ad ogni caso particolare. In un epoca in cui tutto deve essere realizzato per dare ad ogni fanciullo tutta l’istruzione che è capace di ricevere, la scuola deve seriamente preoccuparsi dell’individualizzazione del trattamento pedagogico degli alunni. (…) Ricordiamo che un tal genere d’insegnamento non è nuovo (…) ci sono degli insegnamenti per cui, inconsapevolmente, l’insegnante usa una certa individualizzazione; egli non pretenderà mai lo stesso rendimento da tuti in ginnastica; egli non rimprovererà ad un ragazzino di correre meno velocemente del suo compagno(…). Ugualmente, durante la lezione di disegno, terrà conto della differenza di attitudine; durante quella di musica, se nota che un fanciullo è stonato, si sforzerà di farlo cantare correttamente, se può, ma non punirà un’incapacità di cui l’alunno non è responsabile. D’altronde e naturalmente, nell’insegnamento generale il docente esperto corregge da sé gli inconvenienti del modo d’insegnamento usato: egli rivolge domande con graduali difficoltà ai bravi e ai meno bravi, lascia che un fanciullo che ne sa più degli altri su un determinato argomento, si esprima liberamente; giunge anche a proporre lavori, che richiedono tempi diversi per essere eseguiti, agli alunni lenti ed a quelli svelti, invece di esigere uniformità di esecuzione che porterebbe a scoraggiamenti od a ribellioni" ( R.Dottrens , in nuove lezioni di didattica, Armando Armando editore, 1974, pagg.55,56)

Fondamentale, inoltre, per l’insegnante non è soltanto saper riconoscere i diversi stili di apprendimento e le condizioni che possono promuoverli ma è anche compiere un ampio lavoro di analisi e di ricerca nella propria disciplina. Nella prassi comune spesso avviene che l’insegnante segua come traccia un programma di ricerca disciplinare già svolto, contenuto nel libro di testo di quella determinata disciplina. Spesso l’insegnante non ritiene sufficiente per i suoi alunni tale programma e va allora alla "ricerca" di altri testi che propongono ampliamenti o nuovi contenuti e li fornisce in fotocopia ai propri alunni.

Tale comportamento testimonia, al di là della semplicità della constatazione, che inconsapevolmente in qualche modo l’insegnante effettua un programma di ricerca epistemologica.
Si tratta di fondare tale tipo di ricerca in modo scientifico e come modalità operativa continua
La ricerca disciplinare dovrebbe porsi, dunque, come lettura dei saperi in modo da individuare in ciascuna disciplina sia le valenze formative prioritarie che quelle orientative.
Ci troviamo, infatti, a vivere e ad operare in una società piuttosto complessa in cui il sistema delle informazioni e delle comunicazioni è in continua evoluzione. L’accrescersi dell’area dei saperi comporta per l’insegnante riuscire a determinare quali siano i saperi essenziali ( si ricordi a tale proposito tutto il dibattito svolto attorno alla questione dei saperi essenziali) utili al progetto educativo.
La ricerca disciplinare svolge proprio questa funzione: saper riconoscere i nuclei fondamentali della disciplina per integrarli nella costruzione del progetto educativo.

Da questa analisi discende la possibilità di definire sia gli obiettivi specifici della disciplina che le abilità che l’alunno dovrà sviluppare . Tale definizione consentirà all’insegnante di conciliare i contenuti della disciplina con gli effettivi bisogni di apprendimento degli alunni e con la loro situazione individuale (differenziazione degli interventi educativi).
Dalla ricerca disciplinare, così determinata, potrà discendere una reale valutazione formativa.
Tuttavia, la sola indagine epistemologica non è sufficiente ai fini di un apprendimento significativo.
L’insegnamento è, infatti, un processo di comunicazione e come tale presuppone che chi comunica , trasmetta all’altro (il ricevente) informazioni significative. A tale scopo è fondamentale (ovviamente) che il trasmittente conosca pienamente ciò che intende comunicare: è il tema della conoscenza della disciplina..
La conoscenza necessita tuttavia di una sicura competenza metodologica: come trasmettere le conoscenze possedute. Capita a volte che l’insegnante sia un esperto della propria disciplina, abbia conoscenze ampie ed approfondite, ma sia un pessimo comunicatore perché non riesce a rendere in modo significativo per chi ascolta le sue conoscenze.
L’insegnante dovrà dunque compiere una seria e attenta analisi disciplinare attraverso un lavoro di ricerca. Lo stesso metodo che avrà usato per l’analisi disciplinare potrebbe essere utilizzato per trasmettere quanto conosce: porre il problema (problematizzazione dell’esperienza) , formulare ipotesi di soluzione, ricercare documenti e materiali necessari alla soluzione, intervento magistrale per fornire scientificità all’indagine svolta , riorganizzazione del sapere compiuta con gli alunni protagonisti …
Tale metodologia comporta un ripensamento della didattica a favore di modalità quali ad esempio l’apprendimento cooperativo, la progettualità, il laboratorio.

La partecipazione dell’alunno in tali forme di insegnamento diventa, come risulta evidente, determinante per la costruzione del sapere. In tale prospettiva dunque resta fondamentale la funzione di mediazione didattica dell’insegnante, che non è funzione passiva ma è anzi funzione di stimolo e di promozione dell’apprendimento, è guida verso la meta comune.

Dall’analisi disciplinare in definitiva dovrà discendere una sicura, chiara e precisa programmazione nel suo valore di "progettazione intenzionale " dei processi ciclici attraverso i quali gli alunni di un determinato gruppo – classe si educano " (G.Giugni) , cioè, raggiungono gli obiettivi formativi stabiliti nei piani di studio personalizzati

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