Direzione didattica di Pavone Canavese

15.08.2006

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La Riforma Moratti era troppo di destra, ecco perchè è fallita
di Vittorio Delmoro

 

In questo ferragosto fortunatamente fresco la mia sonnolenta attenzione è stata risvegliata da tre interventi letti nel sito, provocati dalla personalizzazione di triste memoria, ma rinverdita per fortuna senza troppi clamori ideologici da uno dei suoi ideatori, Puricelli.
Quando nei lunghi mesi fra il 2004 e il 2005 l’argomento pullulava non solo nei siti scolastici, ma anche nei forum ministeriali sulla formazione, ho avuto più volte modo di approfondire la questione ed esprimere il mio radicale contrasto e non vi tornerò ora che non sta più in cima ai pensieri della scuola italiana.

Intendo però precisare alcune mie sensazioni, che potrebbero suonare aperturiste da parte di chi ha perso e cerca di ritrovare una sua qualche rilegittimazione, ma che – assicuro – erano presenti anche due/tre anni fa.

La riforma Moratti/Bertagna era davvero troppo di destra – come scrive Stefanel; era così fondata su un’ideologia, su una visione unilaterale, sulla divisione netta tra buoni e cattivi che non poteva che provocare quello che ha provocato : il suo affossamento.
Quando, nel dicembre 2001 ebbi modo di leggere i documenti bertagneschi, li definii lanzichenecchi, perché quella era l’impressione di fondo : un rimbarbarimento della scuola italiana.
Le idee cariche di futuro, che pur v’erano, venivano annullate dal fanatismo ideologico nel quale annegavano.
Una di queste idee era la personalizzazione, l’altra quella del tutor; non sono invece d’accordo con Stefanel sul portfolio.

Bisogna – dice Puricelli – che quello che si fa con l’handicap si faccia con tutti. Ottimo suggerimento; peccato che i tagli con cui la riforma si attuava non permettessero più neppure di farlo con l’handicap quello che si faceva prima!
Che quindi il concetto globale di persona comporti un rapporto educativo personalizzato, prima che nelle scelte di politica scolastica sta nella quotidianità della relazione docente/discente, a prescindere da qualunque riforma; perché – come dice Marabini – i bambini non sono né di destra né di sinistra (anche se Bisio afferma il contrario).
La stessa cosa dicasi per il tutor (fortunatamente abrogato, non importa se nella maniera sindacale poco apprezzata da Stefanel): io lavoro in una scuola dove il tutor esiste da vent’anni, senza avere le aberranti caratteristiche delineate dalla riforma, ma realizzando gran parte delle responsabilità connesse col ruolo.
Puricelli si augura che le prime così altisonanti aperture siano foriere di una più decisa e aperta adesione alle tesi bertagnesche, ma si sbaglia: la ferita arrecata alla scuola italiana dalla riforma si rimarginerà molto lentamente, tanto più lentamente quanto più si continuerà ad intravedere l’ombra del Cavaliere fra le tende del proscenio, pronto a balzare di nuovo sul palcoscenico.

La scuola italiana ha bisogno di un po’ di pace, di una pausa di riflessione; di smaltire la paura dello spettro berlusconiano e di dimenticare il disagio creato da una riforma ideologica e velleitaria.
La scuola italiana ha bisogno di sentirsi di nuovo autonoma, unita e in cammino; sulla strada della ricerca, certo, ma riscoprendo i propri valori fondanti, fra i quali l’uguaglianza coniugata in modo molto diverso dalla rappresentazione che ne dà Puricelli, in un continuo spirito ideologico.
Sono convinto che, sventata la minaccia neostatalista impersonata da una riforma che se ne dichiarava immune, noi insegnanti, assieme ai genitori, assieme agli alunni, sapremo riconquistarci lo spazio e il ruolo che l’autonomia ci garantisce; sapremo rivalutare la personalizzazione e riassumerci la responsabilità educativa che essa comporta.

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