Direzione didattica di Pavone Canavese

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22.04.2000

Riforma della scuola:
la questione degli spazi educativi
di Girio Marabini

 

La nuova strategia di scopo della scuola così come viene delineata dai processi di autonomia in atto comporta un ripensamento complessivo dell’insegnamento.
Occorre passare da una didattica fondata sulla trasmissione delle nozioni ad un insegnamento in cui l’insegnante e l’alunno interagiscono e costruiscono insieme il sapere: un insegnamento di tipo progettuale in cui prevalgono in particolare tre momenti : il prima , la definizione cioè del campo di indagine, degli obiettivi e delle prospettive, dei mezzi e delle strategie di indagine; il fuori, l’indagine cioè sul campo; il dopo, la predisposizione di laboratori in cui i dati vengono organizzati compresi e valutati.
Si pone quindi la questione della organizzazione dei tempi ma anche la questione degli spazi che la scuola ha a disposizione.
Tale questione non è certamente secondaria anche in vista dell’attuazione della riforma dei cicli.

E’ pensabile una divisione del ciclo primario di sette anni in due edifici (gli attuali della scuola elementare e della scuola media) ?
E’ pensabile e gestibile una scuola che non abbia anche una continuità e contiguità fisica ?
E’ un interrogativo che pesa…ma lo lasciamo alla vostra riflessione.

Coloro che hanno attuato la sperimentazione dell’autonomia in questi ultimi anni sanno che poter contare su spazi e su spazi attrezzati è stato determinante per il successo delle varie iniziative (flessibilità…).
Gli edifici scolastici tuttavia non sembrano nella maggioranza dei casi all’altezza della situazione nonostante il vistoso decremento demografico.
Le Scuole insistono ancora in vecchi edifici oppure sono dei veri e propri " scatoloni" posti ai margini del quartiere, della città, del paese.
Questi ultimi sono il risultato di una urbanizzazione a volte selvaggia compiuta negli anni ’60 e ’70, scarsamente funzionali non solo per l’integrazione della scuola nel tessuto sociale ma anche dal punto di vista della nuova organizzazione metodologica e didattica .

Scriveva in quegli anni E.Solzano "la concreta situazione della città dei nostri giorni dimostra che il prezzo dello sviluppo opulento è pagato, direttamente e quotidianamente, dagli stessi uomini che già vivono nel processo dell’opulenza, ne sono i protagonisti e gli usufruttuari.
Essi pagano un simile prezzo in quanto uomini, individualmente e singolarmente, ma lo pagano anche in quanto umanità associata, nei corpi e negli istituti e negli organismi in cui si esprime e si articola la dimensione comunitaria della società" (in "Urbanistica e società opulenta, Laterza Bari, 1969 , pag.187)

Occorre dunque ripensare la scuola come spazio educativo.

Per restare al dibattito di quegli anni estremamente attuale voglio rendervi conto di un saggio di G.De Carlo pubblicato nel 1969 nella "Havard Educational Review" Perché come costruire Edifici scolastici"
L’autore si chiedeva se sia ancora opportuno per la società contemporanea teorizzare un’attività educativa organizzata in una istituzione stabile e codificata e se l’attività educativa debba ancora svolgersi in edifici costruiti apposta per accoglierla.
Certamente la problematicità dell’esperienza non può restare fuori della scuola come qualcosa di negativo da dimenticare.
Nella polemica intervenne N.Filograsso docente all’Università di Urbino con una argomentazione che vale la pena ripercorrere per intero.
"(La Scuola)…E’ il momento educativo, preparato, se si vuole, da altri non meno essenziali momenti, ma come confluenti in esso, quasi attendessero di essere raccolti ad unità nella indivisibile vita dello spirito. Questo momento non esclude , ma presuppone singoli apprendimenti, nei quali la cultura viene rielaborata, arricchita, ricostruita, rivissuta." "In Apprendimento, Natura e Società" Armando Editore, Roma 1972, pag.114)

Allora potremmo anche trovare giusta la proposta di De Carlo di disintegrare l’attuale organizzazione scolastica, anche oggi nell’ottica dell’autonomia, perché "la società e il territorio, in attesa che la società cambi, sono l’immensa scuola di cui disponiamo".

Tuttavia non possiamo non avvertire che l’identificarsi e il risolversi della scuola nella società e nel territorio in fondo non rappresenta altro che sostenere una ristrutturazione di quell’ambiente speciale che è la scuola perché "il luogo meno adatto, scrive ancora De Carlo, per l’esplorazione dell’attività educativa, è l’edificio scolastico. Per il fatto che ,incapsulando l’insegnamento e l’apprendimento in uno spazio unitario isolato e concluso, l’edificio scolastico tende a staccare i contatti con il contesto complesso della società. D’altra parte, sembra che la necessità dell’educazione di massa (e aggiungiamo noi dell’educazione della scuola dell’ autonomia) impongano la proliferazione accellerata delle strutture educative. Occorre dunque conciliare, le due opposte esigenze , che negano o confermano l’utilità delle scuole, consigliano di eliminarle o di moltiplicarle. La soluzione non può essere altra che la disintegrazione dell’Edificio scolastico come luogo specifico destinato esclusivamente ad una specifica funzione".
La disintegrazione di cui parlava il De Carlo è oggi più vicina al concetto di una modificazione di funzioni, di ruoli, piuttosto che la cancellazione "fisica" di luoghi educativi.
Bisognerebbe infatti identificare un nucleo centrale essenziale e una corona non essenziale.
Il nucleo essenziale (le aule) per lo svolgimento del crricolo e la coronoa (aule-figlie, laboratori ecc…) per lo svolgimento di attività di integrazione , di recupero e di arricchimento dell’offerta formativa.

L’importante , per dirla con Filograsso, "è che si tenga d’ochio quello che di vitale una scuola deve poter rappresentare ed essere: uno spazio educativo dove le limitazioni architettoniche non significhino altrettanti impedimenti all’iniziativa personale, al lavoro di gruppo, alla ricerca organizzata, alla creatività del faciullo, nonché a quella stessa dell’insegnante"

E’ indispensabile dunque che le Amministrazioni locali, a cui la legge delega i compiti in materia di edilizia scolastica ,adottino una programmazione qualitativa delle strutture scolastiche.
Non si pretendono certo nuovi edifici ma una riqualificazione e una ricomposizione degli esistenti.
Occorre infatti fare delle scuole "presenze significative" all’interno del tessuto urbanistico e sociale.
La scuola deve aprirsi all’esperienza della vita sociale, è un ritornello martellante della pubblicistica attorno all’iea stessa di autonomia.
Questa apertura tuttavia "non implica né identificazione con un modello per molti aspetti inaccettabile (la società post-moderna, la globalizzazione ecc…) né rinuncia agli aspetti tecnici impliciti in ogni operazione culturale.
Di qui la necessaria organizzazione della scuola come spazio societario riservato all’educazione , termine col quale devono intendersi tanto processi specifici di apprendimento di acquisizione di automatismi di base, di capacità inferenziali, di informazioni, ecc. quanto processi di comprensione, di ricerca e di analisi critica"
E allora di nuovla necessità di ripensare la struttura scolastica in termini di struttura – laboratorio.
Per questo riteniamo indispensabile proporre ai responsabili degli Enti Locali, nel momento in cui procedono alla ristrutturazione degli Edifici scolastici di far incontrare il pedagogista e l’architetto.
L’intesa tar questi è essenziale per una pedagogia concreta.
Occorre dunque abbandonare il punto di vista quantitativo a favore della qualità degli spazi educativi.

Le Amministrazioni ora hanno un ulteriore strumento a loro disposizione e non possono accampare le solite scuse:"non abbiamo risorse…"
Le risorse in qualche modo ci sono .
Sulla Gazzetta Ufficiale 14 aprile 2000, n. 88 è stato pubblicato il D.M. 6 aprile 2000, con il quale il Ministro della Pubblica Istruzione ha ripartito, tra tutte le Regioni, la somma di £. 398 miliardi per favorire l'attivazione di opere di edilizia scolastica da parte degli Enti locali, Comuni e Province, direttamente obbligati in materia.