Direzione didattica di Pavone Canavese

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29.07.2003

Al centro la persona o l'individuo ?
di Aluisi Tosolini

 

Ho letto con molta attenzione l’intervento di Girio Marabini  ("E io difendo il decretino !") apparso sul sito di Pavonerisorse e vorrei soffermami due aspetti che mi paiono di grande interesse.

Sperimentare: essenza stessa del fare educazione

Condivido alcune delle considerazioni di fondo di Marabini, in particolare la conclusione del suo intervento:

"La sperimentazione, la continua tensione all'innovazione, dovrebbe essere caratteristica fondamentale di ogni scuola. Impedire di sperimentare è come impedire ad un affamato di mangiare".

Credo anche io che la sperimentazione, intesa come atto dello sperimentare, costituisca l’essenza stessa dell’agire educativo che è per definizione "ricerca continua" che mal si adatta ad essere ingessato in protocolli che non tengono conto del fatto che l’educazione è un atto vitale, un atto che investe delle esistenze reali (sia dei docenti che degli studenti) e che quindi ha a che fare con l’originalità e l’irriducibilità di ognuno degli attori.

Credo anche che molte delle reazioni alla "sperimentazione" promossa dal decretino (tralasciando qui il motivo che ha condotto la CISL a ricorrere al Tar per la manifesta incongruità tra decretino e circolare 62/03) si posso rubricare sotto il nome di "reazioni preconcette" inquadrabili in uno scontro più politico che educativo.

Uno scontro che nasce dalla difficoltà di accettare un dato di realtà frutto di un processo democratico (anche se non è detto che debba piacere essere tra coloro che stanno alla "opposizione", e io mi sento tra questi) che ha portato al blocco della legge 30 ed alla successiva faticosa elaborazione della legge delega (o riforma Moratti che dir si voglia). A onor del vero la legge 30 è stata bloccata con estrema facilità proprio a causa della ignavia tira tardi dei governi D’Alema e Amato: se il ministro De Mauro si fosse dato una mossa la riforma sarebbe entrata in vigore un anno prima e….bloccarla già in atto sarebbe risultato certo più complesso.

Ma, come è noto, la storia non si fa né con i se né con i ma…

Sarebbe tuttavia deleterio trasformare la scuola (non il dibattito sulla scuola ma la scuola, ovvero l’azione educativa di tutti i giorni) nel nuovo terreno di scontro bipolare tra centro destra e centro sinistra.

Su questo invito a leggere il primo capitolo del breve ma intenso saggio di Roberto Maragliano su "La scuola dei tre no". Scrive Maragliano (pagg. 27-28) : "Nessuna riforma della scuola potrà mai passare se sarà o sarà vissuta come l’imposizione di una delle due parti sull’altra. Al contrario, lasciando alle dinamiche concrete della vita scolastica il confronto anche talvolta conflittuale sulle scelte ideologiche, sarebbe opportuno favorire un processo di decantazione del portato ideologico dei due progetti di riforma complessiva del sistema, dal quale potesse conseguire la messa in evidenza delle priorità materiali individuate da ciascuno ed emergere l’impegno a comporle in un disegno unico, al di fuori di ogni residua disputa di ideologie". Si tratta, continua Maragliano, di isolare i nuclei fondanti dei due progetti, di decontestualizzarli rispetto all’ideologia che li incorpora, di iscriverli in un progetto comune capace di ridefinire l’identità complessiva del sistema di istruzione e formazione. E ciò è possibile, chiude Maragliano, convenendo che:

Ecco. Sperimentare può forse aiutare a sgomberare il campo da pericolosi equivoci e rischi. Non ultimo quello di trasformare l’azione educativa nel nuovo terreno di scontro politico bipolare.


Persona o individuo?

C’è invece una affermazione di Marabini che mi suona davvero strana e su cui mi piacerebbe discutere:

Scrive Marabini:

"Personalmente, pur con qualche riserva, ritengo, comunque, questa della Moratti una buona riforma per  alcuni motivi   semplici ma nel contempo fondamentali: l'aver salvato la specificità della   scuola elementare e la secondarietà della scuola media; ma soprattutto l'aver  posto al centro dell'azione educativa la persona , utilizzando il sapere ed il saper fare come strumenti per il saper essere  che diventa l'obiettivo fondamentale. I piani di studio personalizzati ne saranno la logica attuazione"

La parte che mi interessa è evidenziata in rosso. La riforma si può condividere o no (e non è questo che si dibatte qui) ma sostenere che la si condivide perché mette la persona al centro mi pare davvero una ben strana e discutibile motivazione. E ciò, per quanto mi riguarda, per almeno due motivi. Il primo storico ed il secondo ermeneutico interpretativo

Il motivo storico: io sono abbastanza anziano ma non così tanto da poter riferire (se non a motivo di studio successivo) il dibattito attorno alla scuola italiana dal 1945 ad oggi ma mi risulta davvero arduo sostenere (come in sostanza fa Marabini) che la scuola dal 1945 al 2002 non abbia messo al centro la persona. Se non la persona chi aveva al centro? Il collettivo di Makarenko? Lo spirito di Gentile? Suvvia, non scherziamo che Maritain e tutto il personalismo cattolico si rivoltano nella tomba. Se si vuol trovare motivi per dire che la riforma va bene se ne trovino altri. Al limite mi parrebbe più plausibile sostenere che la riforma mette la persona al centro dell’educazione in modo più coerente (rispetto alla attuale situazione storico sociale) rispetto ad altre modalità storicamente determinate.

Il motivo ermeneutico: quando parliamo di "persona" che cosa intendiamo? O, meglio: quando la legge delega parla di persona che idea di persona ha in mente?
Io credo che ad una attenta analisi del testo della legge delega (e di tutte le allegate raccomandazioni più o meno prescrittive) potrebbe risultare che sinonimo di persona è la parola "individuo". E individuo inteso secondo la logica che sottende alla teoria del libero mercato di matrice neoliberista.
O, per essere più espliciti, più vicino alla famosa asserzione della Thatcher che sosteneva che una cosa chiamata società non esiste perché esistono solo gli individui. Individui che utilizzano la scuola come uno studente (o un insegnante) utilizza di norma la macchina che distribuisce merendine e bibite fredde e calde: io ci metto dentro un tot di centesimi, mi prendo quello che voglio e poi me ne vado. Con le macchine del caffè non si socializza, non si negoziano significati, non si interagisce, non si crea cultura (men che meno quella "cultura dell’educazione" cui fa riferimento l’ultimo Bruner).

Spero di avere torto. Spero davvero di avere torto. Sarebbe un grosso guaio se con il cavallo di Troia della parola "persona" (con annessi e connessi piani di studio personalizzati, portfoli e strumentazioni varie) la scuola italiana introiettasse le parole d’ordine del neoliberismo che chiede di formare individui (e mi viene in mente il Bauman de "La solitudine del cittadino globale") de-regolati, competitivi, flessibili, compassionevoli.

Ecco, e ripongo la domanda: quando diciamo persona che cosa diciamo?

Oh… sia chiaro: nulla di male a voler formare bambini e giovani lungo siffatti sentieri. Onestà intellettuale richiederebbe però di chiamare le cose con il loro nome.

Ma, e lo ripeto, spero proprio di sbagliarmi.

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