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I problemi della valutazione dopo la legge 169

17.02.2015

Valutazione: dal numero alle competenze
di Maria Teresa Roda

 

Abolire la valutazione numerica alla scuola primaria. Questa è la campagna che lancia il Movimento di Cooperazione educativa. Una parola d’ordine d’impatto, condivisibile e chiara; ovvie le ragioni che sottostanno a questo obiettivo. Dietro ai numeri c’è un’informazione parziale, i voti non indicano i progressi comunque registrati e dunque tendono a penalizzare. Vertecchi parla di “bastone da maresciallo” che continua nella logica punitiva non ostante programmi ed indicazioni facciano riferimento alle competenze; il “bastone” si abbatterebbe sia sugli allievi che sui docenti data l’aggiunta del fallimentare processo di valutazione di sistema in corso. L’ex Ispettore Iosa rifiuta il “Dio misura”. Tiriticco sottolinea la contraddizione tra competenze e misura numerica. Maragliano plaude all’iniziativa. Ed altri seguiranno ad appoggiare la campagna, come prevedibile. Dunque tutto pacifico? 
Son passati sei anni dal ritorno dei numeri. E’ stato questo tempo un tempo di fermenti pedagogici tali da per poter risollevare la bandiera del no al voto? Alcune questioni maggiormente analitiche vengono sollevate da Franco de Anna. Lo scarso livello di ribellione al provvedimento, quando uscì, la poca familiarità della categoria docente con la cultura della valutazione. Ne seguono interessanti considerazioni anche tecniche sull’uso delle scale numeriche e sul loro differente peso; valutare da 0 a 10 non è la stessa cosa che considerare punto di partenza il 4 come fanno molte scuole. Perché non è che tutto ciò che contiene numeri vada buttato a mare e/o generi fraintendimento. Gli stessi alunn* dicono su di loro e sui loro progressi quante volte hanno registrato un successo e quante sono incors* in un inciampo. Ma procediamo con ordine. 
Prima questione: qual è il punto di massima ambiguità ed incoerenza della normativa del 2009 su tale questione? Molti argomentano sia la contrapposizione tra quantitativo e qualitativo, per semplificare, tra l’esito di un percorso teso allo sviluppo di competenze non misurabili in cifre ed appunto, la nota numerica. E sicuramente lo è ma c’è un nodo irrisolto che la semplice abolizione dei numeri non scioglierebbe. Il numero è (ri) diventato parametro “oggettivo” per “uniformare” su tutto il territorio nazionale una presunta e raggiunta unitarietà dei livelli di apprendimento: una certificazione frontaliera e transfrontaliera più “obiettiva e trasparente” dei “giudizi”. 
Solo ottusità gelminiana accompagnata dal ritorno del maestro unico? O, in parte, nemesi ed impoverimento di un percorso valutativo con vent’anni di produzione della più variegata tipologia di schede, indicatori, parametri, che, a loro volta imprigionati nei “talora”, “non sempre” ..si sono trasformati in griglie in cui apporre crocette o individuare livelli hanno finito con il toccarsi con una classificazione numerica?


Per affrontare questa prima ineludibile questione si impone un’analisi storica di almeno tre elementi. 
• La contrapposizione tra “curricolo” reale e curricolo “ufficiale”istituzionale
• l’atteggiamento del corpo docente tra cultura valutativa e prassi della quotidianità spesso mescolata all’urgenza di risoluzione di atti burocratici 
• connessione e comunicazione degli esiti scolastici alle famiglie che accorrono in massa alla consegna del documento di certificazione. 

I risultati quadrimestrali hanno finito con il mangiarsi e mettere in ombra il curricolo e la progressione fatta di piccoli passi mai lineari; questo predominio della cultura dell’esito finale su quello del dipanarsi del percorso di apprendimento è sicuramente datata antecedentemente al 2009 ed ha interessato tutti indistintamente. La scala di riferimento è diventata l’oscillazione tra eccellenze ed insuccessi; su questo la scuola ha finito col misurarsi con se stessa, con le altre scuole di pari grado e di livello superiore. La scuola primaria non è andata esente da questo doppio registro. Le prove Invalsi si sono imposte calandosi dentro a questo iato già esistente e all’interno di una fragilità della frastagliata pratica curricolare finalizzata alle cosiddette competenze di base.

La questione non è risolta laddove, come alla secondaria di secondo grado si sono prodotte le “pagelline” bimestrali con una scansione raddoppiata del pasto del curricolo reale. Qual è lo stato delle cose tra la valutazione della quotidianità e valutazione finale? Può una campagna che si presenta come “abolizionista” colmare lo scarto di cui sopra?

E’ pensabile un passaggio tout court dal numero alla valutazione delle competenze? Le competenze da acquisire ed acquisite andrebbero descritte o, una volta descritte, (ammesso che ci sia un vocabolario ed una profonda condivisione del concetto di competenza tra il variegato corpo docente intergenerazionale oggi presente a scuola) verranno accompagnate al grado del loro possesso: completo, non ancora completo…
I nostri cugini d’oltralpe sono alle prese con lo stesso problema con la differenza che a porselo non sono le associazioni professionali ma lo stesso ministero dell’educazione che, analizzati i dati di insuccessi scolastici e calo di motivazione attribuisce al voto la responsabilità di indurre negli alunn* un atteggiamento di scarsa serenità davanti alla prova da affrontare. L’alternativa ai numeri sarebbe il ricorso ai colori, alle faccine …a tutto ciò che è in adozione da tempo nella scuola finlandese. Peccato che la scuola finlandese abbia tutto un altro impianto pedagogico e goda di ben altre risorse ed investimenti tanto della scuola francese e non parliamo di quella italiana. 
Qui dunque si aggiungerebbe un ulteriore elemento di riflessione: quello dell’emotività che giocherebbe una parte non secondaria nel modo con cui alunn* affrontano le prove. Saranno i colori a sciogliere le tensioni? O i contesti educativi? O le relazioni ed il circuito delle aspettative degli adulti sui bambin*? 
L’abolizione del voto dunque per un passaggio ad una valutazione per competenze. Non posso immaginare una campagna solo abolizionista, anzi , sinceramente avrei preferito fabbricare una parte costruens per poi lanciare la destruens. Non che si parta da zero sulle elaborazioni e sulla pratica delle metodologie valutative ma le trasformazioni degli ultimi anni hanno indotto la scuola a cambiar volto in tempi rapidissimi nei suoi elementi strutturali. 

Alla scuola primaria è stato distrutto il team docenti proprio nel mentre si proponeva il ritorno al voto e sicuramente dei due , il primo è stato il male peggiore. Questo ha comportato un vero e proprio smontaggio genetico di un’organizzazione scolastica con rotture di continuità di docenti e collegialità, di osservazione dei processi di apprendimento. Il procedimento valutativo come operazione di composizione di più sguardi congiunti sia sugli alunni che sulla classe si è interrotto e si è passati ad una atomizzazione dei singoli atti valutativi. Questa condizione “oggettiva” penalizzante non muta se muta solo l’operazione finale dell’atto valutativo; non più un numero ma l’appartenenza ad una fascia (alta, media, bassa) di competenza acquisita. Tanto meno sono cambiate le condizioni in cui tale operazione si espleterebbe ..siamo rimasti al medio evo delle 40 ore in presenza di un forte ricambio e precarizzazione del corpo insegnante. La classe docente ha ormai inglobato gli anticorpi ai trasformismi degli ultimi tempi : il passaggio dal portfolio delle tre I della Moratti, alle competenze di matrice anglosassone. Tutto è stato digerito e trasformato in strumento adattato ai dettami delle circolari ministeriali. Per questo non abbiamo bisogno di un’ulteriore operazione di ri-adattamento in assenza di elementi strutturali che accompagnino il curricolo. E questi non ci sono. Non ci sono come elaborazione e non ci sono come direttiva di orientamento su pratiche scolastiche che adeguino gli apprendimenti ai nuovi alfabeti e linguaggi. 

Purtroppo la selezione che procederebbe dai numeri si è operata non solo con l’attribuzione del voto ma togliendo centinaia di ore di tempo scuola che avrebbero consentito quella lentezza di cui spesso parlava il nostro amico Zavalloni quando così bene ci diceva in cosa consistesse la pedagogia della lumaca. Posto che anche dalle situazioni di terremoto si può ricostruire, tolti i numeri quale curricolo vorremmo?

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