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Le culture e i saperi:
il dibattito promosso dal Cidi a Sorrento (9-11 marzo)

 

Premetto che questa sintesi del Convegno del CIDI di Sorrento sarà intrisa di soggettività ed estremamente parziale.

D'altra parte in altri siti (e soprattutto in quello del Cidi) potrete trovare materiale molto più esaustivo.

Ho trovato la tre giorni del CIDI molto positiva. C'era il rischio che la scelta di destinare tutte le cinque sessioni ad interventi programmati dal palco desse un taglio troppo "culturalista" al convegno ma così non è stato. Questo forse perché da un lato le trasformazioni in atto nella scuola rendono di interesse scolastico temi in altri tempi esterni, dall’altro perché "la scuola in transito" diviene molto più "visibile" anche per il mondo accademico che oggi appare più consapevole.

La relazione di Alba Sasso, presidente nazionale, è stata come al solito molto ampia ma questa volta molto più vicina alle cose, molto puntuale cioè, nel rispondere alle questioni aperte e scottanti. A dimostrazione di come le vicende del "concorsone", della legge di parità, del riordino dei cicli siano state dirompenti anche all’interno del CIDI. C’era bisogno di risposte chiare ed Alba Sasso mi pare le abbia date. In particolare nel passaggio del suo intervento dove ha ribadito che la formazione professionale si deve collocare oltre l’obbligo scolastico e non al suo interno.

E’ piaciuto moltissimo l’intervento di Benedetto Vertecchi. In molti siamo rimasti sorpresi per il taglio assai generale che il professore ha dato al problema dell’istruzione e della sua valutazione.

Sorprendente per esempio la presa di distanze dalle valutazioni europee, di solito di cultura anglosassone, se non correttamente correlate alla realtà italiana.

Pienamente condivisibile l’intervento di Carlo Fiorentini sul significato del "progettare" nella scuola, facendo piazza pulita della logica dei mille progettino di facciata. Nella stessa tavola rotonda, Clotilde Pontecorvo ha lasciato una scia di suggestioni tra le quali mi ha particolarmente colpito quella del vedere nella scuola una "comunità di pratiche", in cui si condividono scopi non immediati.

L’espressione della Pontecorvo è stata ripresa nel pomeriggio anche da Domenico Chiesa, nel suo intervento sui valori di riferimento della scuola. Il suo intervento è stata un’altra conferma, per me, di quanta sensibilità Domenico abbia avuto in dono dalle sue classi verso la necessità di dare a ragazzi e ragazze motivazioni, valide per loro, per venire a scuola e per restarci, anche quando le sirene di un ingresso immediato ma "povero" nella società facciano sentire il loro canto.

Anche l’intervento di Rosalba Conserva ha contribuito a dare al dibattito il segno di una discussione vera e concreta sul mestiere dell’insegnare (tema generale della sessione) continuando la sua ricerca sul valore della quotidianità del lavoro in classe.

Dell’intervento del Ministro certamente avrete letto sui giornali. Mi limito a dire che in pochi in sala hanno colto un messaggio così chiaro e univoco come poi è apparso dai giornali. Misteri della stampa. Mi ha colpito il grande slancio emotivo non solo del Ministro, che sempre interviene con molta passionalità, ma anche dei convegnisti. La sensazione è stata quella della volontà di rinsaldare un legame, peraltro sempre presente, in maniera più appariscente, in vista delle scadenze elettorali vicine.

Dell’ultimo giorno di convegno ricordo particolarmente l’intervento di Vittorio Capecchi, forse il più applaudito degli invitati, per la chiarezza e il messaggio di speranza in un’economia dal volto umano che continua ad essere possibile. Se infatti dagli Stati Uniti avanza un modello di economia liberista, con crescita di lavori a "professionalità bloccata" ("hamburger economy"), c’è una risposta europea, un modello di economia solidale che potrebbe trovare nella scuola le gambe per camminare. Bisogna quindi che la scuola non sia neutrale rispetto a questi modelli e operi una vera scelta di campo.

Chiudo dicendo che forse il momento più profondamente emozionante del convegno ha coinciso con le conclusioni di Giancarlo Cerini, vicepresidente insieme a Domenico Chiesa. Chi conosce Cerini sa che nei suoi interventi troverà sempre molta chiarezza e vastità di orizzonti. Questa volta però non si trattava di connotare scenari ma di chiarire la collocazione degli insegnanti rispetto ai processi in atto. E di fronte a questa esigenza Cerini è stato più appassionato che professionale (ovviamente nei limiti concessi ad un ispettore...). Le sue conclusioni hanno ricordato alcuni punti fermi per i docenti, tra i quali mi ha colpito il richiamo al valore del carattere pubblico dell’istruzione, permettendo al convegno di riguadagnare quello spazio di riflessione necessario rispetto al rischio di appiattimento sulle posizioni ministeriali (rischio reale dopo l’intervento del Ministro).

Giuseppe Bagni