Direzione didattica di Pavone Canavese

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L' intervento dell'ispettore Luciano Lelli

è ripreso (per gentile concessione dell'editore)

dalla Rivista I diritti della scuola

(n. 18 del 1.06.1998)

I diritti della scuola è pubblicata dal gruppo editoriale Petrini

 

Il documento sui saperi e l’autonomia

 

Cenni storici e analisi del documento sui saperi essenziali.

Esordisco con alcuni cenni "storici", funzionali all’inquadramento nel contesto operativo che gli è proprio del documento qui sottoposto ad analisi.

Poco dopo il suo insediamento al vertice della Minerva, il ministro della Pubblica Istruzione Berlinguer, in attuazione di un’articolazione del vasto disegno innovativo del sistema scolastico italiano che egli ha finora abbozzato e notificato, insediò una folta "commissione di saggi", ovverosia figure eminenti del panorama culturale italiano, affidando ad essa la consegna di delineare l’enciclopedia dei saperi in conformità alla quale si sarebbero riformulati i programmi didattici delle scuole di ogni ordine e grado. La commissione operò per alcuni mesi, in maniera un poco affrettata ed in ordine sparso (a mio avviso, valutati gli apporti dei vari saggi ai lavori) con una notevole discontinuità di presenza (nel senso che accanto a membri che si sono impegnati con continuità e coerenza rispetto al compito, altri ci sono stati che hanno fornito contributi sporadici, in qualche caso anche eccentrici e stravaganti). Tutti i materiali comunque prodotti sono stati con tempestività e perizia organizzati dal coordinatore della commissione Maragliano in testo e ipertesto (in quanto tale esplorabile con molto vantaggio per l’intendimento e la messa a fuoco dei contributi appunto secondo le modalità peculiari della configurazione ipertestuale). Ma, consultata, la selva degli scritti non lasciava (non lascia) trasparire con una qualche evidenza una struttura orientativa che potesse fungere da enciclopedia dei saperi di riferimento per i programmi prossimi venturi, avendo essa natura di antologia di opinioni tutte certamente autorevoli ma spesso connotate da vistosa ignoranza della scuola reale, della sua tradizione e dei suoi meccanismi, non di rado innestate nelle reminiscenze di remote personali esperienze di scuola.

Nel maggio 1997 Maragliano diede corso a una Sintesi dei lavori della commissione tecnico-scientifica, producendo un testo in linea generale di apprezzabile spessore culturale e operativo, del quale però è problematico stabilire la connessione con le impressioni, opinioni, tesi manifestate dai saggi, proprio per la non omogeneità e a volte vera e propria contraddittorietà insita nelle stesse.

Le due proposte

In linea di principio il menzionato documento avrebbe dovuto fungere da propulsore e linfa dei programmi per la scuola italiana del terzo Millennio (almeno dei primi decenni dello stesso, secondo il proponimento contenuto nel decreto ministeriale istitutivo della commissione dei saggi); ma evidentemente è parso che detta funzione la sintesi non potesse efficacemente esplicarla, tanto che dopo alcuni mesi di "pausa di riflessione" un’altra commissione di saggi (numericamente un esiguo drappello rispetto al gruppone di teste d’uovo della prima ondata), sempre presieduta da Maragliano, è stata incaricata di redigere un altro testo esplicitante I contenuti essenziali per la formazione di base (documento oggetto della corrente visitazione critica).

Una comparazione globale tra le due proposte evidenzia che tra di esse le differenze non sono marcate, per quanto concerne le idee di fondo, il quadro epistemologico cioè, ed anche gli orientamenti espressi per caratterizzare la scuola italiana di domani: sicchè, almeno ad avviso di più di un commentatore dallo scrivente consultato, forse non c’era senz’altro bisogno di duplicare la fatica e si poteva prendere le mosse dal Maragliano 1 direttamente per avviare la grande impresa di riscrivere i programmi didattici della scuola italiana tutta. Sempre secondo l’opinione di qualcuno il primo documento è più apprezzabile del secondo, in quanto di largo respiro, non incanalato entro binari stretti, meno "scolasticistico" rispetto al fratello minore.

Riordino dei cicli e autonomia

Prima di passare ad una disamina del documento sui saperi essenziali, allo scopo di evidenziare il contesto in cui esso funzionalmente si colloca, è opportuno un magari breve indugio su due altri aspetti dello scenario complessivo, con i quali già in fase embrionale esso coagisce, con cui il documento e in particolare le sue "espansioni programmatiche" dovranno in avvenire fare i conti, venire costantemente a patti. Mi riferisco, come si può facilmente inferire, al riordino dei cicli scolastici e all’attuazione dell’autonomia didattica, di ricerca, organizzativa e amministrativa.

Per quanto riguarda l’interazione con il riordino dei cicli: malgrado l’evanescenza realizzativa dello stesso, ancora lontano dalla sanzione giuridica parlamentare, anzi appena all’inizio di un percorso di codificazione legislativa che potrebbe anche protrarsi a lungo nel tempo, il documento sui saperi essenziali è di fatto avvantaggiato da una prospettiva di riscrittura del quadro ordinamentale, perchè la concretizzazione di tale proponimento consentirebbe di attenuare in maniera decisiva l’incidenza frenante delle tradizioni culturali di ciascun livello e grado scolastico ed implicherebbe non già l’aggiornamento dei programmi esistenti dei livelli e gradi di scuola esistenti ma nuovi testi per configurazioni organizzative e funzionali appena entrate in scena. Modificazioni radicali e su tutta la linea ovviamente non si affermeranno con buona pace di tutti e senza problemi: anzi, è prevedibile che contrasti, avversità, boicottaggi si faranno sentire; ma accadrà anche che la macroinnovazione susciterà le migliori energie del personale scolastico a ridestarsi ed agire per un effettivo rinnovamento, ad attenuazione del sonno delle idee e della latenza operativa al momento non poco diffusi.

Per quanto concerne poi la connessione con l’autonomia, prospettiva che dovrebbe essere più imminente del riordino dei cicli: il documento sui saperi essenziali dall’autonomia alle porte è profondamente contrassegnato, non fosse altro che per l’enfasi posta sull’essenzialità, appunto. I programmi dal documento originati infatti non potranno pretendere di disciplinare in dettaglio e con tensione forte all’omogeneità i contenuti di cui la scuola di domani si dovrà nutrire ma soltanto i saperi essenziali, indispensabili nel bagaglio culturale di ogni persona umana, i quali per altro si dovranno coniugare con altri saperi, nell’ipotesi di partenza non corredati dalla medesima fondamentalità, che però le scuole autonome dovranno praticare, per aderire a specificità locali, a gusti, predilezioni ed opzioni di specifici e concreti insegnanti e allievi.

Punti di forza...

M’immergo ora direttamente nel documento di cui si fa qui questione: in esso, ovviamente qua e là enfatizzando ed altrove qualcosa trascurando, rilevo la compresenza di almeno cinque punti di forza e di tre elementi di debolezza: l’argomentazione degli stessi costituisce la sostanza della riflessione che segue.

Pongo innanzi tutto l’accento sul servizio che il documento può svolgere a favore della continuità verticale della formazione scolastica. In termini espliciti dell’argomento esso non discetta a lungo: vi si dice che il testo è pensato in relazione a "una formazione obbligatoria calcolata su un arco di dieci anni" e che "ci si pone nella prospettiva di una continuità trasversale e longitudinale del processo formativo, che assuma caratteristiche differenziate a seconda delle diverse fasi del percorso scolastico". Non molto altro, ripeto, ho trovato in argomento esplicitamente affermato. Però se si fissa l’attenzione sulla centrale circostanza che i saperi essenziali dovranno in-formare di sè i programmi delle scuole di ogni ordine e grado e che, pertanto, gli stessi dovranno nascere nella medesima stagione, come gesto ideativo unitario, non v’è persona sollecita della qualificazione della scuola che non s’avveda della carica innovativa di tale intenzione, dopo decenni di discontinuità programmatica e curricolare che gravi danni ha provocato, fortemente concorrendo all’immagine non positiva che la scuola proietta nei fruitori dei suoi servizi e nei cittadini tutti.

Un altro aspetto che ritengo meritevole di sottolineatura, ovviamente intrisa di consenso, riguarda la considerazione, in tutto il documento, dei contenuti, risemantizzati di frequente col termine di saperi, non mero sinonimo, bensì parola che ingloba in sè riferimenti ai valori, alle conoscenze e alle competenze. Succintamente si può sostenere che il testo vorrebbe fondare, generare una scuola preoccupazione primaria della quale non sia la trasmissione dei contenuti codificati nei corpora delle discipline bensì il conferimento della capacità di "trattare" i contenuti, che persegua dunque il passaggio dal primato dell’imparare nozioni a quello dell’imparare ad imparare.

Qualcuno potrebbe osservare che questa non è poi idea strepitosamente originale, visto che la si ritrova già nella premessa dei vecchi programmi didattici per la scuola elementare del 1955: ma ad essa è sempre finora arrisa scarsa fortuna, sicchè il ribadimento della sua fondamentalità e l’estensione a tutti gli ordini e gradi di scuola rappresentano una scelta culturale di apprezzabile caratura.

Estrapolo dal documento e includo qui alcune locuzioni che testimoniano l’assunto or ora enfatizzato. "Occorre che ciò che si insegna valga la pena di essere insegnato". La scuola ha la finalità di "delineare una mappa delle strutture culturali di base, necessaria per il successivo sviluppo della capacità di capire, fare, prendere decisioni, progettare e scegliere". Il nuovo atteggiamento implica "un diverso modo di individuare e selezionare i contenuti di insegnamento/apprendimento, che anteponga la qualità alla quantità e privilegi la ricerca di ‘nuclei concettuali fondanti’ ".

Il documento evidenzia quella che si può definire una concezione integrale e sinergica della formazione. Essa già ora caratterizza con netta evidenza la scuola dell’infanzia e primaria (o almeno i vigenti loro orientamenti e programmi): ma nei livelli scolastici successivi essa via via si perde, fino a pervenire a perniciose frantumazioni del percorso formativo e all’enfatizzazione di specializzazioni esasperate, in certi tipi di scuole secondarie di secondo grado. Con il risultato da un lato dell’immanenza di contenuti disciplinari "nudi e crudi", spesso tra l’altro obsoleti rispetto agli assetti delle conoscenze disciplinari extrascolastiche, dall’altro della trascuranza nelle proposte didattiche delle competenze metodologiche, trasversali, concernenti le capacità di analisi, sintesi, deduzione, induzione, progettazione, invenzione, intuizione, valutazione.

Opportunamente nel documento in proposito si pone l’accento sulla rilevanza del conferimento alla formazione scolastica di "un assetto epistemologico che le consenta di entrare in sintonia" con le trasformazioni, le vere e proprie rivoluzioni che "hanno caratterizzato la scienza, l’arte, la tecnologia e le condotte collettive nel corso del presente secolo". Nella medesima prospettiva va inquadrata la raccomandazione di riconoscere "pari dignità al segno di scrittura, all’immagine, al suono, al colore, all’animazione", vale a dire a tutti i linguaggi che costituiscono l’attuale universo della comunicazione, non trascurandone, come al momento diffusamente avviene, una certa quantità, a scapito ovviamente di una formazione integrale e sinergica, ed anzi proponendo a tutti i giovani, non già solo a quelli orientati verso tipologie particolari di studio, opportunità di conoscenza essenziali, quali quelle filosofiche, della tradizione classica, dell’arte musicale e della civiltà figurativa.

La tesi che i linguaggi dell’universo comunicativo hanno pari dignità culturale e valenza formativa (anch’essa rilanciata dal passato, in quanto reperibile in diversi autori di cose pedagogiche degli ancora mitizzati anni Settanta) nel documento non porta però, lodevolmente, a minimizzare il linguaggio secondo tradizione più praticato dalla scuola (anche se assai spesso con esiti deludenti), vale a dire quello verbale, soprattutto nella forma scritta. Il testo in proposito è estremamente perentorio nel puntualizzare che "Una particolare attenzione va dedicata alla comprensione e alla produzione del discorso parlato e scritto, in tutta la pluralità di testi possibili" e nel sostenere che "Bisogna preparare tutti i giovani alle tecniche della scrittura e della lettura, fornendo loro capacità fondamentali che oggi risultano largamente compromesse". Tale e tanta è l’intenzione del documento di valorizzare la lingua scritta che, dimenticandosi della sua impostazione di orientamento generale e sintetico, si diffonde in dettagli che concernono la probabile inefficacia formativa del "tema", composizione retorica la centralità didattica della quale è da rivedere, e la lettura, sia sul versante della necessità di mettere in atto "tecniche per la lettura di testi", sia su quello della concezione della stessa "come emozione immediata e bisogno-piacere inesauribile". Il risalto conferito al linguaggio verbale scritto risulta ulteriormente significativo se si pone mente alla circostanza che il documento attribuisce un posto e una funzione rilevanti nelle scuole alle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione: non pigiando però smodatamente su forme operative delle stesse quali la cosiddetta multimedialità e gli ipertesti (che potrebbero indurre docenti culturalmente deboli a ritenere che essi mettano in questione il ruolo ancora e sempre essenziale tra i veicoli comunicativi della lingua e in particolare della scrittura).

Magari dando troppo peso alla circostanza colloco tra le positività anche una scelta effettuata dall’amministrazione scolastica: quella di indire una consultazione di tutti gli operatori scolastici sul documento, col proposito di tenere conto degli esiti della stessa per una ulteriore e definitiva messa a punto del testo. Qualcuno paventa che l’operazione altro non sia che spargimento di fumo negli occhi della gente di scuola, in quanto poi non si terrà affatto conto dei pareri espressi. Può darsi ma a parer mio l’eventualità non ha peso enorme. Innanzi tutto perchè sarebbe obiettivamente difficile l’assunzione di un profluvio di opinioni spesso anche contrastanti e antitetiche, poi perchè in ogni caso è significativo e utile che tutto il personale scolastico rifletta, legga criticamente un documento comunque destinato a incidere sul futuro esercizio della sua professione, colga insomma l’occasione per dare sostanza a un momento non marginale o rituale di autoformazione in servizio.

... ed elementi di debolezza

Passo ora ai tre principali punti di debolezza che ho riscontrato nel corso dell’analisi. Il primo riguarda le teorie dell’apprendimento alle quali un documento che pretende di influenzare le future acquisizioni di tutti gli allievi delle scuole d’Italia non può non far riferimento. In merito invece il testo è lacunoso ed evasivo, mentre avrebbe dovuto attuare scelte più trasparenti e coerenti. é evidente – come sopra notato – l’accentuazione metacognitiva, con la mira appunto di dar risalto primario, più che ai contenuti, al lavoro mentale sugli stessi. Ma per quanto riguarda le strategia cognitive d’approccio ai saperi sostanzialmente si tace o sono dette cose aggrovigliate: mi riferisco, per esemplificare, al passo in cui s’argomenta del superamento delle "tradizionali partizioni disciplinari", per tendere quale traguardo a "un insegnamento-apprendimento organizzato per temi" il quale dovrebbe sfociare in "un approccio disciplinare integrato". Sono cose queste che si sentono spesso: ma, oltre l’apparenza magari anche accattivante, quali concrete e reali pratiche cognitive sono davvero in grado di innescare?

Considero elemento di debolezza anche il fatto che l’extrascuola, l’ambiente, il territorio (secondo le denominazioni alternative di frequente in uso) quasi neppure è entrato nel discorso, se si eccettua, forse, il cenno, già sopra estrapolato, alla continuità anche trasversale del processo formativo. Ora non c’è bisogno di precisare qui che l’ambiente extrascolastico ha un rilievo formativo primario, anche per quel che riguarda certi apprendimenti cognitivi, e che esso, anche per la diffusione progressiva delle nuove tecnologie dell’informazione, è destinato ad accrescersi. Perciò la reticenza in proposito, l’aver omesso un qualche indugio sulla circostanza che la scuola deve per significare e bene dimensionare se stessa porsi in atteggiamento di "aderenza reattiva" rispetto all’ambiente, costituisce a mio avviso trascuranza da emendare in ottica di revisione.

Il terzo elemento di opacità non è qualcosa di circoscrivibile in termini netti e diretti, bensì un pacchetto di confusioni, evanescenze e fumosità delle quali, con maggiore o minore consistenza del peccato, il testo è innegabilmente costellato. Per via di tale difetto qualcuno ha sparato a zero sul documento, domandandosi se c’era proprio bisogno di convocare e impegnare tante brillanti intelligenze per pervenire, infine, a un prodotto così esangue. Io personalmente rifuggo da ogni drasticità, pur riconoscendo che in molte parti il Maragliano 2 è un temino ben fatto ma di scarso respiro e molto prevedibile negli intendimenti e nelle previsioni (più o meno da tutti condivisi e per ciò, magari, non conformabili in termini troppo diversi). In ogni caso esso non ha l’asciuttezza e il rigore argomentativo che nel 1983 furono unanimemente rilevati nel documento Fassino, matrice dei programmi 1985 della scuola elementare. Vero è che quell’eccellente riflessione generò un palazzone che ben presto manifestò crepe, lesioni e ridondanze architettoniche: l’auspicio ora è che da un disegno preparatorio non proprio sublime vengano fuori invece orientamenti e programmi di buona caratura per tutte le scuole di domani.