Direzione didattica di Pavone Canavese

Scuola maestra di vita

 

24.02.02

Gli intellettuali scendono in piazza:
ma in questi anni, dove erano ?

C'è qualcosa di nuovo che agita la nostra vita sociale e politica : gli intellettuali scendono in piazza.
Ci hanno colto di sorpresa...per cinque anni hanno taciuto, e quasi ci eravamo dimenticati di loro... si sono svegliati dal loro torpore ed ora finalmente scendono in piazza per gridare il loro disprezzo per una destra "fascista" ed illiberale, contro la cultura del mercato, ma anche contro la classe dirigente di sinistra, considerata incapace, imbelle.... . E' il popolo dei girotondi, il popolo dei fax..il popolo delle e-mail...Ma... E' spontaneo quasi naturale chiedere loro:" dove eravate in questi anni?".

Forse a girare il mondo... o a fare girotondo: "giro giro tondo quanto è bello il mondo...!!!."
Tuttavia non è questo il problema. Ne abbiamo fatto a meno, in questi anni, di certi intellettuali e possiamo continuare a vivere la nostra vita anche senza le loro parole. La questione che si pone, a mio parere, e non è questione nuova, è la seguente:quale è e quale dovrebbe essere il rapporto tra politica e cultura?

Mi pare esistano due posizioni estreme: l'una della cultura in qualche modo politicizzata, cioè della cultura che ubbidisce a direttive e impostazioni che vengono dalla politica e dai politici, quella che un tempo amava autodefinirsi "impegnata", l'altra della cultura non politica, staccata dalla società e dai problemi che la società immancabilmente pone.

Il primo modo d'essere è sicuramente errato per eccesso di impegno, se così possiamo dire. L'altro modo è altrettanto sbagliato ma per difetto di impegno.
Lo stesso Bobbio, tanto amato dal popolo dei girotondi, avvertiva in un saggio del 1952 del rischio che le due posizioni in antitesi portassero a far perdere alla cultura " la sua funzione di guida spirituale della società in un determinato momento storico", che è la sua stessa ragione d'essere.

Tra le due posizioni va cercata sicuramente una nuova e diversa, in grado di cogliere adesioni tra intellettuali appartenenti a indirizzi e ideologie differenti : è la posizione che nasce dalla discussione, quella che possiamo definire come politica della cultura.

La politica della cultura è la posizione di massima apertura dell'intellettuale verso le posizioni filosofiche, mentali ed ideologiche differenti: è il cercare ciò che unisce e non ciò che divide. E proprio per questa sua natura è una posizione di ferma condanna sia degli intellettuali politicizzati che degli intellettuali non impegnati.La politica della cultura è la difesa e la promozione della libertà e proprio per questa strategia l'uomo di cultura semina il dubbio ma non può essere di parte.
E tanto meno lo deve essere , ad esempio, l'insegnante , intellettuale quasi per costituzione . E' possibile dunque "il pensiero libero" ?  Proverò a rispondere utilizzando  Hegel.

Hegel avvertiva del pericolo che il pensiero libero , tipico dello stoico, potesse restare formale perché poteva svincolarsi da tutte le differenze vitali per ritrovarsi in se stesso.

Per questo motivo era giunto alla convinzione che le posizioni scettiche (il dubbio) potessero essere un passaggio obbligato verso la ragione concepita come autocoscienza speculativa. Le tappe della dialettica della coscienza sensibile descritte nella "Fenomenologia dello Spirito", richiamano in modo diretto le antinomie scettiche.
Nella sezione dedicata all'autocoscienza, lo scetticismo compare esplicitamente come una figura situata fra lo stoicismo e la coscienza infelice.
Cerchiamo di cogliere, delimitando i confini dello stoicismo in rapporto allo scetticismo, il senso che Hegel dà a quest'ultimo nella storia, cosa che in ultima analisi risulta essere la soluzione del problema della libertà della conoscenza. Nella fase   precedente l'autocoscienza si astraeva dalla vita di cui era la prima riflessione, per ritrovarsi come puro godere.

E' evidente che in tal modo essa non si attuava in forma sussistente, ma solo come negazione dell'essere della vita.
"...Ma col suo coraggio la coscienza del signore si poneva al di sopra della vita, era solo la coscienza del servo a mostrarsi capace di dominare quest'essere oggettivo, la sostanza dell'essere, e di trasferire l'io dall'autocoscienza nell'elemento di tale essere in sé (Jean Hippolite, Genesi e struttura della Fenomenologia dello spirito di Hegel, La nuova Italia, Firenze, 1972, pag.217).
Dunque l'autocoscienza diveniva provata dall'angoscia della separazione dalla vita e disciplinata dal servire, forma dell'essere in sé. Se questo è vero l'essere in sé e l'essere per sé non sono più separati e l'autocoscienza non ha più solo una indipendenza vitale ma anche la libertà che è propria del pensiero. Cerchiamo di chiarire: l'io si trova nell'essere e vi si trova come coscienza. E' questo che permette di definire la libertà, che emerge nella storia del mondo attraverso la figura originale dello stoicismo.
Quest'ultimo non è da considerarsi come una filosofia ma come un momento necessario all'autocoscienza per essere libera.

Che cosa dobbiamo intendere dunque per libertà dello stoicismo? La libertà dello stoicismo si chiarisce mediante proprio la negazione delle posizioni del signore (l'intellettuale non impegnato)e del servo(l'intellettuale politicizzato).
Ciò che conta infatti non è più l'opposizione della vita e del pensiero, ma solo l'uguaglianza con sé del pensiero.

"Dinanzi al pensiero, inteso semplicemente a mantenere se stesso, non vi è situazione concreta che tenga. E' così che la libertà dell'autocoscienza indifferente verso l'esistenza naturale resta libertà astratta e non vitale, una libertà cioè nel pensiero. Detto questo è evidente che il vivere secondo natura, morale dello stoico, non tiene conto di una situazione concreta in cui si trova ad agire ma del rapporto che si istituisce tra la situazione e noi stessi: l'essenziale è conservare la propria libertà ad ogni costo. L'uomo è libero dunque quando si innalza al di sopra di ogni fenomeno della vita. Il concetto di libertà dello stoico dunque è soggettivo perchè rimane pur sempre nel pensiero.

Ed ecco allora la necessità dello scetticismo (del dubbio):" lo scetticismo è la realizzazione di ciò di cui lo stoicismo è soltanto il concetto: è l'esperienza effettuale di ciò che sia la libertà di pensiero; essa è in sé il negativo e deve così presentarsi (Hegel , Fenomenologia dello spirito...).

Si manifesta così il rapporto che corre tra l'autocoscienza stoica e la conoscenza scettica: lo stesso rapporto che tra il signore e il servo.La libertà del pensiero dunque è possibile e si realizza  attraverso la composizione delle due posizioni in una posizione nuova e diversa quella fondata nel dialogo e nella discussione. La cultura dovrà tornare ad affermare la propria libertà: l'intellettuale deve avere riguardo  a niente che alla legge intima della sua opera. Il problema non è dunque se l'uomo di cultura debba o non debba fare politica, ma quale attività politica debba egli svolgere affinché siano realizzate le condizioni favorevoli allo sviluppo  della cultura stessa (Bobbio)... al di là di ogni posizione di parte...

Girio Marabini

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