Progetto Storia del '900. Dibattito

 

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Nella scia del Revisionismo italico: i fratelli Vivarelli tra Repubblica Sociale e Fidel Castro.
A cura di G. Cimalando


In questa nuova "puntata" dell’area dedicata al Dibattito, intendo presentare alcune riflessioni relative a Roberto Vivarelli (storico e socialista) ed al fratello di questi, Piero , paroliere, cineasta di successo e devoto a Castro.

Entrambi, grazie a numerose interviste pubblicate su organi di stampa a larga tiratura, si dichiarano fieri di aver aderito, quando avevano 13 e 16 anni alla Repubblica Sociale Italiana.
Le polemiche scatenate in quest’ultimo mese dalle memorie repubblichine dello storico Roberto Vivarelli (La fine di una stagione, ed. Il Mulino) sono solo l'ultimo capitolo del tormentone sul revisionismo che da vari anni tiene banco anche in Italia.

Se da noi il punto di partenza era stata la rilettura del ventennio, sulla scorta del "Mussolini" di Renzo De Felice, l'attenzione si è via via spostata a molti altri temi dolenti del '900. La revisione storica ha toccato la Resistenza, che ormai molti anche a sinistra, dopo il libro di Claudio Pavone, definiscono come "guerra civile". Ha investito il Pci e soprattutto i suoi rapporti con Mosca, ha equiparato l'Olocausto ai gulag.

Nella primavera scorsa ha messo il dito nei legami fra gli intellettuali e il fascismo, con il discusso libro di Angelo D'Orsi sui padri nobili dell'azionismo piemontese. Subito dopo è dilagato fino al Risorgimento, rivalutando i Borboni e mettendo sotto accusa addirittura Pisacane e Nino Bixio.

Diffuse nei media da una lobby di storici e giornalisti non esplicitamente di destra, che va da Paolo Mieli a Pier Luigi Battista, da Ernesto Galli Della Loggia a Giovanni Belardelli a Vittorio Strada, spesso le tesi revisioniste sono state rilanciate dal "Foglio" di Giuliano Ferrara, che però, al contrario di Mieli, nel caso specifico delle memorie di Piero Vivarelli, ha preso le distanze, con l'argomento che non si sente alcun bisogno di rivalutare Salò.

Il primo problema da parsi mi sembra la domanda del perché uno storico di 70 anni suonati, da cinquant’anni difensore intransigente dell'antifascismo, quasi un sacerdote di quelle memorie si è andato a cacciare in un ginepraio come questo. Cosa può averlo indotto a scrivere l'imbarazzante libretto autobiografico dove racconta di essersi arruolato a 14 anni nell'esercito di Salò e, dunque, di essere stato un "repubblichino in calzoni corti"? Un abbozzo di risposta (tra l’ironico ed il malevolo) mi sembra essere contenuto nell’articolo di Chiara Valentini pubblicato sull’Espresso del 23/11/2000, con il titolo "Ritorno a Salò passando per Cuba".

La seconda questione è invece di merito: come deve essere interpretato il contenuto del libro di Roberto? A questo proposito propongo due riflessioni:

In ultimo, mi sembra interessante, per comprendere le caratteristiche dei personaggi dei quali si parla, dar voce direttamente ad uno dei due fratelli, Piero, attraverso un’intervista che ha rilasciato due anni fa a Fabio Andriola, pubblicata su LO STATO N. 5. del 3 Febbraio 1998, e da me trovata sul sito Internet ufficiale della Repubblica Sociale Italiana. Il titolo è "L'arruolamento nella decima mas e nella Repubblica Sociale Italiana. Io castrista riabilito la Xa mas".

Aspetti didattici: ribadisco, come ho già più volte sostenuto, che è mia convinzione che il partire dagli argomenti che sono oggi oggetto di discussione, può rappresentare, per gli studenti, un utile approccio, almeno dal punto di vista motivazionale. Sarà poi compito del docente, sfruttare, ad esempio, i termini e i fatti citati nei diversi articoli, per indurre gli studenti a risalire agli avvenimenti storici che sono oggetto di discussione. L’uso in questo caso di Internet può essere un ulteriore elemento facilitatore nel ricomporre il quadro storico di riferimento.

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