Progetto Storia del '900. Dibattito

(16.02.01)

Storia e insegnamento della storia
nel riordino dei cicli scolastici
di Gianni Cimalando

La recente pubblicazione della sintesi dei curricoli della scuola di base, avvenuta il 7 febbraio, nella quale si prefigurano le linee essenziali dei diversi ambiti disciplinari, rappresenta indubbiamente uno stimolo alla discussione ed impone (finalmente!) di entrare nel merito dello specifico disciplinare.
In questa sede intendo proporre alcune schematiche riflessioni in merito al ruolo ed ai contenuti disciplinari che vengono attribuiti alla "Storia"

Devo innanzitutto premettere che l’ottica con la quale affronterò la questione è un po’ parziale in quanto da oltre 25 anni insegno presso i trienni della secondaria superiore e, per quanto mi sia in più occasioni interessato alle tematiche generali del curriculum di storia con alcune "puntate" esclusive sulle elementari, non credo di aver maturato competenze e riflessioni specifiche relative alla fascia di età che caratterizza gli studenti della "scuola di base".
Credo pertanto sarebbe utile confrontare quanto di seguito proporrò con le considerazioni di un insegnante elementare.

Ma entriamo nel merito.

Innanzitutto il nuovo percorso di storia che va dai 3 ai 18 anni, rinuncia alla ripetizione concentrica e reiterata per tre volte che gli attuali programmi di storia prevedono.
Già negli anni ’80 S. Guarracino sottolineava la "curiosità" di una disciplina che ricominciava (e ancora ricomincia!) sempre da capo ad ogni inizio di ciclo scolastico (elementari, medie, secondarie), senza presupporre negli studenti conoscenze e competenze maturate ed acquisite in precedenza.

La nuova proposta "rompe" con la ciclicità e propone tre livelli di approccio disciplinare caratterizzati da contenuti ed abilità specifiche; in questo modo ciascun livello diventa preparatorio, propedeutico e funzionale a quello successivo:

  1. i primi quattro anni servono a far padroneggiare al bambino "parole chiave", a riconoscere i vari tipi di società, a muoversi coscientemente all’interno delle dimensioni spazio-temporali;
  2. i successivi cinque anni (gli ultimi tre della scuola di base e i primi due della scuola secondaria) prevedono "lo studio della storia generale…….una narrazione cronologica e sistematica che affronta la dimensione della storia mondiale";
  3. gli ultimi tre anni della scuola secondaria infine "riprenderanno la storia generale e cronologica come quadro di riferimento all’interno del quale si svilupperanno temi specifici….con particolare attenzione alle fonti ed al dibattito storiografico".

Anche se con notevole ritardo dunque, viene recepita l’idea che la storia (come le altre discipline) deve proporsi come una successione di abilità e competenze in progress in cui l’impianto cronologico viene proposto una sola volta, nella fase centrale del percorso, per essere poi utilizzato come quadro di riferimento generale, negli ultimi tre anni, dove però l’obiettivo è quello di un approccio critico e per tematiche, da affrontare facendo ricorso alle fonti ed al dibattito storiografico.

Un secondo aspetto che mi sembra degno di sottolineatura è quello di porre come obiettivo della disciplina, esplicitamente dichiarato, il far acquisire agli studenti una visione di insieme della storia dell’umanità.
L’allievo dovrebbe pertanto acquisire la capacità di lavorare con le coordinate spazio-temporali e di muoversi in un "racconto" storico organico che si svolge su quattro piani: mondiale, europeo, nazionale e locale.
Non vi è però tra questi piani un rapporto paritetico in quanto il quadro mondiale risulta prioritario perché si propone (quale riferimento che dovrebbe impedire elementi di discontinuità) come elemento indispensabile di riferimento per quegli approfondimenti (che dunque riguardano dimensioni che si collocano al di sotto di quella mondiale) che potranno riguardare la storia nazionale e locale.
Questa impostazione ha, a mio parere, il vantaggio di evitare il rischio del localismo fine a se stesso in quanto colloca ogni ricerca ed approfondimento nell’ottica del suo inserimento nel contesto più ampio di riferimento che deve sempre fare da sfondo e da cornice all’argomento specifico oggetto di analisi. Ritengo che la stessa struttura del curriculum complessivo di storia, disposto su tre livelli, confermi questa mia interpretazione: gli ultimi tre anni della scuola secondaria sono infatti l’ambito all’interno del quale si devono proporre gli approfondimenti specifici relativi al secondo, terzo, quarto livello di cui sopra. Nel fare questa operazione però occorre ( e la struttura del curriculum lo rende possibile) che lo studente sia costantemente ricondotto (e che quindi sappia ricondurre) al quadro di riferimento generale.

L’ultima osservazione, in positivo, riguarda la parte relativa ai "contesti di apprendimento"; in essa si trova la seguente proposizione: "Le discipline storiche, geografiche e gli studi sociali non esauriscono certo l’impegno educativo della scuola neppure nella dimensione che va sotto la sintetica espressione cittadinanza democratica". Mi rendo conto che si tratta più di una dichiarazione di intenti che non di una vera e propria indicazione di metodo; è però importante che venga ribadito che la formazione del cittadino non può essere appannaggio esclusivo né di alcune discipline specifiche né di alcuni docenti in particolare. Soprattutto alle superiori questo atteggiamento è oggi pratica consueta (e dal punto di vista educativo deleteria); perché la dichiarazione di intenti si traduca in operazioni concrete sarà necessario un dibattito serio all’interno delle diverse istituzioni scolastiche che metta in gioco con chiarezza la valenza formativa di ciascuna disciplina. Basti pensare alle implicazioni, per nulla neutrali, che una materia come Scienze (nella sua accezione più ampia, dunque Biologia, Chimica, Scienze della Terra, ecc.), assume all’interno del dibattito contemporaneo.

Ma veniamo agli aspetti problematici. Mi limiterò a due osservazioni.
La prima perplessità deriva dalla divisione del quinquennio dedicato alla storia generale in un triennio a carico della scuola di base ed in un biennio che rientra invece nel ciclo secondario.

Ritengo che questa scelta comporti almeno due difficoltà che non saranno di facile soluzione:

  1. il raccordo metodologico e cronologico tra ciclo di base e ciclo secondario
  2. il collegamento tra gli argomenti affrontati in Storia e quelli parallelamente oggetto di studio soprattutto in Italiano, Filosofia e (per l’indirizzo classico) latino e greco.

Per quanto riguarda il punto a), sulla base dell’esperienza da me maturata, ho preso atto che risulta già molto difficile, oggi, all’interno dello stesso Istituto, raccordare con una certa precisione la parte di programma svolta da un docente del biennio con quella che deve essere affrontata da un altro docente nel triennio; le difficoltà sono sia di tipo metodologico sia di tipo cronologico. Se trasferiamo queste difficoltà al di fuori dello stesso plesso scolastico e su studenti aggregati tra loro in modo diverso rispetto al ciclo precedente, ci si rende immediatamente conto che gli ostacoli aumentano. Non si tratta più infatti (come succede oggi) di iniziare un percorso come se nulla fosse successo prima (almeno dal punto di vista delle conoscenze), bensì di proseguire un itinerario che deve offrire, come abbiamo detto in precedenza, uno sguardo d’insieme della storia dell’umanità. Questa mi sembra la grande scommessa di questi programmi. Se non si riuscirà a sviluppare un dibattito ed un aggiornamento dei docenti che uniformi il più possibile i metodi di approccio alla disciplina, gli obiettivi non saranno realizzati ed il "quadro d’insieme" si ridurrà ad una pura dichiarazione di intenti.

Sicuramente maggior dibattito e clamore susciterà il problema che propongo al punto b); di questo sembra rendersi conto anche l’estensore dei programmi che, forse anche per prevenire obiezioni in tal senso, recita: "questo criterio (lo sviluppo di temi specifici), potrà essere applicato anche nel biennio iniziale del ciclo secondario, in particolare nel liceo classico-umanistico, dove sarà opportuno affiancare al curricolo comune di storia, specifici moduli di storia greca e romana, che consentano agli studenti di avere un quadro storico e culturale approfondito del mondo al quale si avvicinano attraverso queste lingue". Come si vede, si tratta di un’altra, non indifferente sfida: coniugare il quadro generale di storia dell’Ottocento e del Novecento con moduli di storia greca e romana! Osservo che tale problematica non è comunque nuova all’interno della scuola italiana: le sperimentazioni nate negli anni ’70, quando sembrava che fosse imminente l’innalzamento dell’obbligo e la creazione di un biennio realmente comune, hanno già affrontato questa sfida e le difficoltà ad essa connesse (ed almeno in parte hanno proposto soluzioni praticabili). Il Liceo nel quale insegno può rappresentare una testimonianza in questo senso. Non si tratta pertanto di partire da un terreno "vergine" bensì, in molti casi, di riappropriarsi di quelle esperienze e di ripartire dal dibattito che hanno generato. Sarà così possibile evitare errori già commessi o reiterare "avventure" già naufragate.

La questione di fondo mi sembra però un’altra: trovare gli strumenti adeguati per dare motivazioni ad una categoria per lo più sfiduciata e frastornata che ha come "vizio" atavico nel quale rifugiarsi di fronte ad ogni cambiamento, quello di omologarlo ed assimilarlo a quanto già si sta facendo per renderlo innocuo e depotenziarlo nei suoi elementi innovativi e, quindi, problematici.

Ma questo è un’altra questione che non ha a che fare con la disciplina Storia.


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