Direzione didattica di Pavone Canavese

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a cura di Aluisi Tosolini

 

Zigmunt Bauman
Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone
Laterza, Bari, 1999

Dentro la parola globalizzazione stanno molti più processi di quanto normalmente si pensa.
"La globalizzazione divide tanto quanto unisce - scrive Bauman - Divide mentre unisce, e le cause della divisione sono le stesse che, dall’altro lato promuovono l’uniformità del globo" (pag. 5).

E proprio da qui parte l’analisi di Bauman, sociologo e filosofo, massimo esponente del filone di pensiero che indaga criticamente la tardo modernità (e/o la postmodernità).
Lo specifico dell’indagine di Bauman riguarda le conseguenze della globalizzazione sulla vita quotidiana delle persone. Non dunque una analisi dei flussi finanziari, della fine dello Stato (certo c’è anche questa) ma uno studio del quotidiano.
Ed in particolare uno studio sullo "spazio", dimensione che tende a rarefarsi nel tempo della globalizzazione ma che segna due percorsi contrapposti. Da un lato l’élite della globalizzazione, il vertice, dall’altro le masse, la base.

Le nuove classi sociali

Infatti, sostiene Bauman, "piuttosto che rendere omogenea la condizione umana, l’annullamento tecnologico delle distanze spazio temporali tende a polarizzarla. Chi opera nei pressi del potere finanziario (vero motore della globalizzazione) vive l’incorporeità del potere: non ha bisogno di luoghi deputati, è extraterritoriale e proprio per questo può isolarsi (in un nuovo apartheid) dal resto della popolazione che rimane tagliata fuori. La conseguenza è la fine degli spazi pubblici, la creazione di "non-luoghi" direbbe Augé. Ma la conseguenza più tragica è che l’abolizione degli spazi pubblici implica anche la crisi dei luoghi ove si creano norme, ove i valori sono discussi, negoziati, elaborati. In assenza di luoghi pubblici i giudizi su ciò che è buono/bello/giusto/utile... possono discendere solo dall’alto, da regioni imperscrutabili, da una élite lontana che non ha lasciato indirizzo di sorta e che rifiuta ogni interrogazione.
Così, conclude Bauman: "Gli extraterritoriali entrano nella vita di coloro che sono vincolati al territorio solo come caricature; forse sono mutanti o mostri. Nel processo espropriano del loro potere etico i locali, privandoli di qualsiasi mezzo atto a limitare i danni" (pag. 31).

Turisti e vagabondi

Fra i 5 capitoli che compongono lo studio di Bauman (Tempo e classe, Guerre spaziali: una cronaca; E dopo lo stato-nazione?; Turisti e vagabondi; Legge globale, ordini locali) risulta particolarmente interessante (visto anche il periodo vacanziero) il quarto: turisti e vagabondi.

Si tratta delle due tipologie in cui sono divisi gli abitanti della terra. Alcuni (pochi, in verità) possono fare i turisti mentre per tutti gli altri la sorte è quella del vagabondo.
Il punto di partenza è la cosiddetta società dei consumi. Riflessioni ovvie: la nostra società non è più la società dei produttori (con al centro l’etica del lavoro e del sacrificio) ma la società dei consumi dove ciò che conta è produrre desideri, sedurre.
"La globalizzazione - scrive Riccardo Petrella - spinge le economie a produrre l’effimero, l’instabile (con una riduzione drastica e generale della vita utile di prodotti e servizi), il precario (posti di lavoro temporanei, flessibili, a tempo parziale)".
La società tardomoderna ha insomma bisogno di impegnare i suoi membri (ed anche di formarli..... e qui si potrebbe aprire il doloroso capitolo sulla scuola e sui processi formativi) nel ruolo di consumatori. Ovviamente anche i consumi devono essere "labili", instabili, temporanei altrimenti il volano del consumo si blocca. Consumare infatti non significa propriamente "inglobare", usurare, utilizzare quanto piuttosto "raccogliere sensazioni": "il desiderio non vuole soddisfazione. Al contrario il desiderio vuole desideri" (pag.93).

Ma... e c’è sempre un ma... mentre tutti possono voler essere consumatori non tutti possono esserlo davvero. La stratificazione della società postmoderna è data dal grado di mobilità, ovvero dalla libertà di scegliere dove collocarsi. E qui entrano in scena i turisti ed i vagabondi.

Nel nostro mondo il semaforo segna verde per i turisti ma rosso per i vagabondi. I turisti possono muoversi ovunque, nessun controllo li ferma, essi non sono legati allo spazio. Al contrario i vagabondi non possono muoversi, sono legati al loro spazio ed al loro tempo.

Possono sembrare riflessioni puramente teoriche. Non lo sono.

Provate ad immaginarvi un giro per l’Europa: che differenza essere turisti italiani invece che profughi kosovari o curdi. O lavoratori rumeni. I primi sono turisti e vivono la versione postmoderna della libertà. I secondi sono vagabondi e sperimentano la versione postmoderna della schiavitù.

I vagabondi sono alla deriva: sanno che non staranno troppo a lungo in un luogo, per quanto possa loro piacere, perché non saranno bene accolti. I turisti si muovono perché trovano che il mondo alla loro portata (globale) è irresistibilmente attraente, i vagabondi si muovono perché trovano che il mondo alla loro portata (locale) è inospitale fino ai limiti della insopportazione. I turisti si muovono perché lo vogliono, i vagabondi perché non hanno altra scelta sopportabile.

Capisco bene queste riflessioni di Bauman: ho seguito per anni le vicende terribili di "vagabondi" senza meta, disperati alla deriva, profughi ricacciati in mare, reietti della terra incollati alle rocce dei campi profughi. Ma lo stesso accade, a ben vedere, anche nelle nostre città, della distinzione tra periferie ghetto e centri residenziali per le élite (sorvegliati come fortini, doppiamente blindati, ad accesso elettronico mediante passwords...).

Ma.. ancora... "il vagabondo è l’incubo del turista, il suo demone interiore: infatti nessuna assicurazione sul suo stile di vita protegge il turista dalla possibilità di scivolare nel vagabondaggio. Se si vuole un esempio si prenda i Kosovo. La classe media, ricca, colta del Kosovo: da un giorno all’altro scivolata dalla condizione di turista a quella di vagabondo.

Ma si prenda anche la classe media italiana: scivolare tra i vagabondi fa parte delle nostre inconsce paure ed angosce. Paure postmoderne, angosce quotidiane. Del resto il nostro stile di vita non è garantito, malgrado i nostri assillanti tentativi di rafforzare le mura della nostra fortezza.
Al momento siamo dentro. Chi è fuori è fuori. E chi è fuori è un vagabondo da cui difenderci: ma siccome diventare vagabondi è il nostro rischio quotidiano tale condizione ci abitata come "perturbante": ci assilla, ci mette in crisi, ci spinge a comportamenti violenti.
E chi è fuori è la massa.

Globalizzazione: chance e sfida

In pieno luglio l’UNDP (il programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo umano) ha presentato il suo decimo rapporto dedicato propriamente alla globalizzazione.
A ciò che essa è per gli abitanti della terra. La globalizzazione, scrive l’UNDP, è una grande chance: può essere fonte di vita e benessere per tutti. Ma così non è stato e non è a tutt’oggi.

Anzi, nuove insicurezze sono diventate l’incubo quotidiano. Così le elenca l’UNDP:

Usando una terminologia adatta ad internet il mondo si divedie così tra connessi (i turisti) ed i non connessi (i vagabondi), tra inclusi ed esclusi.

Insomma le due facce della globalizzazione. Alla faccia dei sacerdoti neoliberisti che continuano a pensare ed a proporre la doxa (per dirla con Bordieu ripreso anche da Bauman pp. 113 ss) del libero mercato, della deregulation, della competition... come panacea di tutti i mali.

Senza accorgersi della contraddizione terribile che sta al fondo: oggi le merci hanno libertà di movimento assoluta mentre gli uomini no. I poveri, i vagabondi, gli esclusi sono inutili (non producono utili) e non devono muoversi. Devono starsene legati al nulla di uno spazio e di un tempo senza senso.

Aluisi Tosolini