Direzione didattica di Pavone Canavese

Le Istituzioni scolastiche nel contesto delle autonomie


24.10.2011
 

IL FEDERALISMO DELLE CHIACCHIERE
Ovvero: come usurpare per via regolamentare le prerogative delle Regioni
di Antonio Luongo


Con la sentenza n. 92/2011 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dei commi 2 e 6 dell'articolo 2 del D.P.R. n. 89/2009 che in materia di programmazione della rete scolastica e di iniziative per ridurre il disagio degli utenti di zone svantaggiate aveva usurpato le competenze delle Regioni. Di seguito si riportano: a) le argomentazioni delle Regioni ricorrenti; b) le argomentazioni - a difesa - dell’Avvocatura dello Stato; c) le argomentazioni della Corte Costituzionale che fondano la sentenza.

 


La regione Toscana e la regione Piemonte, con due ricorsi (distinti ma simili nei contenuti), presentati nel mese di settembre del 2009, avevano sollevato conflitto di attribuzione contro lo Stato, a seguito dei commi 4 e 6 dell'articolo 2 e del comma 1 dell'articolo 3 del D.P.R. n. 89/2009 "Revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia e del Primo ciclo di istruzione ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133" che, a loro parere, conteneva delle disposizioni in contrasto con gli articoli 117 e 118 della Costituzione.


Le disposizioni impugnate  (i commi 2 e 6  dell’articolo 2 e il comma 1 dell’articolo 3) sono riportate di seguito.
 

1) Il comma 4 dell’articolo 2 stabilisce che: "L’istituzione di nuove scuole e di nuove sezioni avviene in collaborazione con gli enti territoriali, assicurando la coordinata partecipazione delle scuole statali e delle scuole paritarie al sistema scolastico nel suo complesso”;
 

2) Il comma 6 dell’articolo 2 prevede che "Le sezioni della scuola dell’infanzia con un numero di iscritti inferiore a quello previsto in via ordinaria, situate in comuni montani, in piccole isole e in piccoli comuni, appartenenti a comunità privi di strutture educative per la prima infanzia, possono accogliere piccoli gruppi di bambini di età compresa tra i due e i tre anni, la cui consistenza è determinata nell’annuale decreto interministeriale sulla formazione dell’organico. L’inserimento di tali bambini avviene sulla base di progetti attivati, d’intesa e in collaborazione tra istituzioni scolastiche e i comuni interessati, e non può dar luogo a sdoppiamenti di sezioni”;
 

3) Il comma 1 dell'articolo 3 dispone che "L’istituzione e il funzionamento di scuole statali del I° ciclo devono rispondere a criteri di qualità ed efficienza del servizio, nel quadro della qualificazione dell’offerta formativa e nell’ambito di proficue collaborazioni tra l’amministrazione scolastica e i comuni interessati anche tra di loro consorziati”.


Le ricorrenti hanno ritenuto che le norme del citato D.P.R. intervengano, illegittimamente, in ambiti di competenza regionale e diano attuazione a disposizioni (l’articolo 64, comma 4, del D. Lgs. n. 112/2008 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 133/2008) di cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale con la sentenza n. 200/2009.
Le ricorrenti sostengono, in particolare, che: il comma 4 dell’articolo 2 e il comma 1 dell’articolo 3 del D.P.R. n. 89/2009, violerebbero gli articoli 117 e 118 della Costituzione, e il principio di “leale collaborazione”. Tali disposizioni, infatti, interverrebbero su profili organizzativi della rete scolastica, rientranti nella potestà legislativa delle Regioni ai sensi dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione. Le stesse norme, per un verso, esulerebbero dall’ambito delle norme generali sull’istruzione o dei principi fondamentali della materia, per altro verso, non esprimerebbero esigenze di carattere unitario che potrebbero legittimare l’intervento statale.
Le Regioni verrebbero, di fatto, private del ruolo primario nell’istituzione di nuove scuole – dell’infanzia e del Primo ciclo - che rappresenta senz’altro l’aspetto più rilevante nell’ambito della programmazione e dell’organizzazione della rete scolastica. La sussistenza in capo alle Regioni della competenza sull’organizzazione scolastica e sul dimensionamento degli istituti risale già agli articoli 138, comma 1, lettere
a), b), c), e 143, del D. Lgs. n. 112/98 "Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59"; sarebbe palese, quindi, la violazione dell’articolo 117 Costituzione, poiché le norme impugnate disciplinano aspetti organizzativi, con riferimento alla determinazione e articolazione dell’azione di ridimensionamento della rete scolastica, senza prevedere un adeguato coinvolgimento delle Regioni. Né potrebbe essere invocato l’articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione, giacché le disposizioni in esame non fissano standard minimi di prestazioni scolastiche.
Le ricorrenti ritengono che le disposizioni sarebbero in contrasto con l’articolo 117 della Costituzione sotto due profili: il primo, perché lo Stato disciplina funzioni regionali (in violazione, quindi, dell’art. 117, comma 3, della Costituzione); il secondo, perché tale disciplina è dettata con regolamento (in violazione dell’articolo 117, comma 6, della Costituzione).
Le norme sarebbero ulteriormente lesive delle attribuzioni regionali poiché, attenendo ad ambiti di competenza regionale, il regolamento nel quale sono state inserite avrebbe dovuto contenere la previsione dell’intesa con le Regioni interessate, mentre, in un caso (articolo 2, comma 4), si richiamano genericamente forme di collaborazione con gli enti territoriali per l’istituzione delle scuole dell’infanzia; nell’altro (articolo 3, comma 1), addirittura, non si prevede alcun ruolo delle Regioni nella istituzione e nel funzionamento delle scuole del Primo ciclo. Le norme in questione, quindi, invaderebbero le competenze delle Regioni anche per violazione dell’articolo 118 della Costituzione e del principio della leale collaborazione e non si giustificherebbero neppure alla luce del principio di sussidiarietà. Infine le norme regolamentari non possono essere considerate un regolamento statale poiché, ai sensi del comma 6 dell’articolo 117, della Costituzione, lo Stato emana regolamenti solo nelle materie in cui ha potestà legislativa esclusiva; non è questo il caso.

 

L'avvocatura generale dello Stato ha sostenuto la non fondatezza del ricorso, deducendone l’inammissibilità, argomentando come segue.

 

1) Le disposizioni impugnate costituiscono attuazione di norme generali in materia d’istruzione, di competenza esclusiva dello Stato (articoli 33, 34 e 117, comma 2 della Costituzione), contenute nella legge n. 53/2003 “Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale” la cui attuazione è avvenuta con vari decreti legislativi delegati e con l’articolo 64 del D. Lgs. n. 112/2008. Peraltro, tale ultima norma è stata ritenuta, quanto alle disposizioni di principio in essa contenute, costituzionalmente legittima (sentenza n. 200/2009), poiché esse costituiscono norme generali sull’istruzione.
 

2) Un distinto titolo di legittimazione dello Stato a disciplinare la materia, è ravvisato nella competenza legislativa esclusiva relativa alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale (articolo 117, comma 2, lettera m, della Costituzione); ebbene le disposizioni impugnate rientrano tra le norme generali sull’istruzione scolastica e tra i livelli essenziali delle prestazioni in materia di organizzazione scolastica e di utilizzazione del personale dirigente e docente della scuola; norme rientranti, dunque, nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, per l’attuazione delle quali sussiste la potestà statale di emanare i relativi regolamenti (comma 2, lettere n) e m), e comma 6 dell'articolo 117 della Costituzione).
 

3) Il comma 1 dell’articolo 3 si limita a riprendere, senza modifiche sostanziali, quanto previsto, in materia, dal D. Lgs n. 59/2004, contenente norme generali sull’istruzione, specificandone le finalità generali e la durata complessiva, e confermando la necessità di proficue collaborazioni tra l’amministrazione scolastica e gli enti locali; pertanto, quest’ultima, deve essere considerata una norma programmatica, che riguarda il sistema scolastico complessivo del “primo ciclo d’istruzione” (materia di competenza statale) e non attiene alla determinazione della rete scolastica o alla programmazione della stessa (materia di competenza regionale). ) Pertanto il contenuto del comma 1 dell'articolo 3 del D.P.R. n. 89/2009 non comporta lesioni alle attribuzioni delle Regioni, poiché non introduce alcuna nuova disciplina in un ambito a esse riservato e non mette in alcun modo in discussione la spettanza alle medesime delle funzioni inerenti al dimensionamento della rete scolastica.
 

4) La disposizione del comma 4 dell’articolo 2 stabilisce alcuni principi generali ascrivibili alla materia della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale che spetta allo Stato provvedere in materia ai sensi del comma 2 lettera m) dell’articolo 117 della Costituzione.
 

5) La previsione del comma 6 dell'articolo 2, riguardo alla possibilità di accoglienza di bambini di età compresa tra i due e i tre anni nelle sezioni di scuola dell’infanzia in specifiche realtà territoriali, non potrebbe considerarsi lesiva delle attribuzioni regionali e del principio di leale collaborazione. Tale disposizione non appare, infatti, preordinata ad ovviare a disagi derivanti dalla chiusura di istituzioni scolastiche e, quindi, il richiamo all’articolo 64, comma 4, lettera f-ter), sarebbe inconferente. La norma si riferisce a un servizio aggiuntivo che si vuole garantire e per la cui erogazione è necessario disporre del relativo organico sulla base del quale, poi, esso potrà essere dimensionato. Le disposizioni sarebbero rivolte ad assicurare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale, di esclusiva potestà legislativa dello Stato, ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione.

 

La Corte ha argomentato il suo pronunciamento come segue.

La questione posta con i ricorsi per conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni deve essere risolta alla luce della pronuncia resa con la sentenza n. 200/2009 sulla legittimità costituzionale delle disposizioni contenute nell’articolo 64, comma 4, del D. Lgs. n. 112/2008 "Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria", di cui non si è tenuto conto nell’adozione del regolamento governativo emanato con il D.P.R. n. 89/2009, recante, tra le altre, le disposizioni di cui all’articolo 2, commi 4 e 6, e all’articolo 3, comma 1.

La Corte nel pronunciarsi sulla questione essenziale concernente la distinzione tra le norme generali sull’istruzione, riservate in via esclusiva allo Stato dal comma 2, lettera
n) dell’articolo 117 della Costituzione, e i principi fondamentali della materia istruzione, rientrante questa nella competenza legislativa concorrente di cui al comma 3 dell’articolo 117della Costituzione, ha affermato, testualmente che: rientrano tra le norme generali sull’istruzione «quelle disposizioni statali che definiscono la struttura portante del sistema nazionale d’istruzione e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario e uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante un’offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio dell’istruzione (interesse primario di rilievo costituzionale), e la libertà di istituire scuole e la parità tra le scuole statali e non statali», mentre  sono espressione di principi fondamentali della materia dell’istruzione «quelle norme che, nel fissare criteri, obiettivi, direttive o discipline, pur tese, ad assicurare l’esistenza di elementi di base comuni sul territorio nazionale in ordine alle modalità di fruizione del servizio dell’istruzione, da un lato, non sono riconducibili a quella struttura essenziale del sistema d’istruzione che caratterizza le norme generali sull’istruzione, dall’altra, necessitano, per la loro attuazione (e non già per la loro semplice esecuzione) dell’intervento del legislatore regionale».

Per stabilire, dunque, se, con le norme regolamentari impugnate, lo Stato abbia effettivamente invaso una sfera di competenza legislativa regionale, occorre partire dalle suindicate affermazioni, osservando, in particolare, che, nella stessa sentenza, si è precisato la non spettanza allo Stato dell’adozione di disposizioni regolamentari, ancorché contenute in un regolamento di delegificazione, che fossero esorbitanti dall’ambito della competenza legislativa esclusiva in tema di determinazione delle norme generali sull’istruzione; ciò in applicazione, in particolare, di quanto previsto dall’articolo 117, comma 6, della Costituzione.

Sulla base delle indicate premesse, la Corte, con la citata pronuncia, ha, in particolare, dichiarato l’illegittimità costituzionale, proprio con riferimento a quanto previsto dal comma 2 lettera
n) dal comma 3 e dal  comma 6 dell’articolo 117 della Costituzione, delle disposizioni contenute nelle lettere f-bis) ed f-ter) del citato art. 64, comma 4, del D.L. n. 112/2008, aggiunte dalla relativa legge di conversione. Le disposizioni recate dalle lettere f-bis) e f-ter) sono state ritenute estranee all’area della materia rientrante nella locuzione “norme generali sull’istruzione”. Da quanto precede, deriva che devono essere ritenute esorbitanti dall’ambito della competenza esclusiva statale in tema di norme generali sull’istruzione e lesive della potestà legislativa concorrente della Regione in materia d’istruzione pubblica, le disposizioni del regolamento governativo che, in qualche modo, possono essere considerate dipendenti, derivanti o comunque connesse a quelle dichiarate incostituzionali con la citata sentenza n. 200/2009.

Riguardo, quindi, il comma 4 dell'articolo 2 di cui le ricorrenti assumono l’illegittimità, la Corte afferma che la censura è fondata. Il suddetto comma, con riferimento alla “Scuola dell’infanzia”, dispone che «l’istituzione di nuove scuole e di nuove sezioni avviene in collaborazione con gli enti territoriali, assicurando la coordinata partecipazione delle scuole statali e delle scuole paritarie al sistema scolastico nel suo complesso». Orbene, l’istituzione di nuove scuole e di nuove sezioni nelle scuole dell’infanzia già esistenti, attiene, in maniera diretta, al dimensionamento della rete scolastica sul territorio; attribuzione che la sentenza n. 200/2009 ha riconosciuto spettare al legislatore regionale, poiché non riconducibile all’ambito delle norme generali sull’istruzione. Con la disposizione inserita nel comma 4 dell’articolo 2 lo Stato ha invaso la competenza delle Regioni sul punto specifico di adattamento della rete scolastica alle esigenze socio economiche di ciascun territorio regionale, «che ben possono e devono essere apprezzate» in ciascuna Regione, con la precisazione che non possono, al riguardo, «venire in rilievo aspetti che ridondino sulla qualità dell’offerta formativa e, dunque, sulla didattica» (dalla sentenza n. 200/2009). Infine, la norma regolamentare non può essere ascritta all’area dei “principi fondamentali” della materia concorrente dell’istruzione, poiché la fonte regolamentare (in forza di quanto previsto dal comma 6 dell’articolo 117,della Costituzione) sarebbe comunque inidonea a porre detti principi (è necessaria una legge non un DPR). Inoltre (ma ciò si osserva solo
ad abundantiam) sarebbe violato, in modo palese, il principio di “leale collaborazione” per la mancata previsione di ogni forma di coinvolgimento regionale nell’adozione delle relative misure di riordinamento della rete.

Anche la censura riguardo il comma 6 dell'articolo 2 del regolamento governativo è fondata; infatti, detto comma prevede che «le sezioni della scuola dell’infanzia con un numero di iscritti inferiore a quello previsto in via ordinaria, situate in comuni montani, in piccole isole e in piccoli comuni, appartenenti a comunità privi di strutture educative per la prima infanzia, possono accogliere piccoli gruppi di bambini di età compresa tra i due e i tre anni, la cui consistenza è determinata nell’annuale decreto interministeriale sulla formazione dell’organico». Il suddetto comma prosegue disponendo che «l’inserimento di tali bambini avviene sulla base di progetti attivati, d’intesa e in collaborazione tra istituzioni scolastiche e i comuni interessati, e non può dar luogo a sdoppiamento di sezioni». La Corte, con la sentenza n. 200/2009, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 64, comma 4, lettera f-
ter), del D. Lgs. n. 112/2008, poiché demandava all’allora emanando regolamento governativo di prevedere, «nel caso di chiusura o di accorpamento degli istituti scolastici nei piccoli comuni ... specifiche misure finalizzate alla riduzione del disagio degli utenti».  A fondamento della declaratoria d’illegittimità costituzionale questa Corte ha affermato che «la disposizione contenuta in tale lettera opera un’estensione allo Stato di una facoltà di esclusiva pertinenza delle Regioni, mediante l’attribuzione allo stesso di un compito che non gli compete, giacché quello della chiusura o dell’accorpamento degli istituti scolastici nei piccoli Comuni costituisce un ambito di sicura competenza regionale proprio perché strettamente legato alle singole realtà locali, il cui apprezzamento è demandato agli organi regionali». La Corte ha aggiunto che è in facoltà delle Regioni e degli enti locali «prevedere misure volte a ridurre, nei casi in questione, il disagio degli utenti del servizio scolastico, proprio per l’impatto che tali eventi hanno sulle comunità insediate nel territorio e con riguardo alle necessità dell’utenza delle singole realtà locali».

La disposizione del regolamento governativo, non può essere considerata attuazione delle norme generali sull’istruzione, di specifica competenza legislativa esclusiva dello Stato, poiché le misure previste sono chiaramente volte a eliminare o ridurre il disagio dell’utenza del servizio scolastico nei piccoli comuni, con una valutazione che non può prescindere dalle particolari condizioni in cui versano le comunità locali di ridotte dimensioni, perché insediate in territori montani o in piccole isole ovvero comunque in comuni di dimensioni tali da essere privi di strutture educative per la prima infanzia.  È, dunque, del tutto ovvio che spetti alle Regioni, nell’esercizio della loro competenza legislativa concorrente in materia di istruzione pubblica, non disgiunta (è bene aggiungere) da rilevanti aspetti di competenza regionale, di carattere esclusivo, in tema di servizi sociali, l’adozione di misure volte alla riduzione del disagio di tali particolari utenti del servizio scolastico. Né è senza significato, d’altronde, che, come già rilevato dalla sentenza n. 200/2009, le Regioni, anche prima del D. Lgs. n. 112/2008 e della stessa riformulazione dell’articolo 117 Costituzione per opera della legge costituzionale n. 3/2001 erano titolari di competenze attinenti alla programmazione della rete scolastica in conformità a quanto, a suo tempo, previsto dall’articolo 138 del D. Lgs. n. 112/1998 “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59” e delle altre disposizioni legislative richiamate dalla stessa citata sentenza n. 200/2009. Le prescrizioni contenute nel comma 6 non possono essere considerate espressione di “principi fondamentali” della materia concorrente della istruzione, per la inidoneità della fonte regolamentare a fissare detti principi e, in ipotesi, per la violazione, comunque, del comma 6 dell’articolo 117 della Costituzione, oltre che per la radicale mancanza di ogni forma di coinvolgimento regionale, in violazione del canone del principio di  “leale collaborazione” tra istituzioni.

Sotto il primo profilo, quello relativo cioè alla chiamata in sussidiarietà, è sufficiente osservare che, a prescindere da ogni altra e diversa considerazione ostativa e comunque dalla questione concernente l’utilizzabilità, a tale fine, della fonte regolamentare, l’allocazione al superiore livello statale di attribuzioni spettanti alle Regioni, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, presuppone che siano previste adeguate forme di coinvolgimento delle Regioni al fine di tutelare le istanze regionali costituzionalmente garantite in un ambito che involge indubbiamente profili di competenza concorrente (sentenza n. 303 del 2003, alla quale ha fatto seguito una giurisprudenza costante; da ultimo sentenza n. 16 del 2010).
Sotto il secondo profilo, è sufficiente osservare che per la giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 282/2002) si è in presenza di una normazione attinente ai livelli essenziali delle prestazioni, quando la normativa al riguardo fissi, appunto, livelli di prestazioni da assicurare ai fruitori dei vari servizi; fattispecie questa che certamente esula dallo spettro di applicazione delle norme regolamentari in ordine alle quali sono stati proposti i ricorsi, ora in esame, per conflitto di attribuzioni.
Riguardo all’impugnazione del comma 1 dell’articolo 3 del regolamento governativo,occorre rilevare che secondo detto comma, l’istituzione e il funzionamento di scuole statali del Primo ciclo «devono rispondere a criteri di qualità ed efficienza del servizio, nel quadro della qualificazione dell’offerta formativa e nell’ambito di proficue collaborazioni tra l’amministrazione scolastica e i comuni interessati anche tra di loro consorziati». Le ricorrenti denunciano l’illegittimità costituzionale della suddetta disposizione sulla base dei medesimi parametri sopra richiamati. La censura non è fondata.
La citata disposizione, nella sua prima parte, si limita, in realtà, a una mera affermazione di principio relativamente ad una generale e ineludibile esigenza, qual è quella riguardante la fondamentale necessità che anche l’istituzione e il funzionamento delle scuole statali del Primo ciclo (come, del resto, per tutti gli ordini di scuole) rispondano a criteri di qualità ed efficienza del servizio scolastico. La disposizione censurata, essendo priva di un reale contenuto precettivo, non sarebbe idonea, per sé sola considerata, a recare alcun vulnus alle competenze regionali in materia di istruzione. Nella sua seconda parte, però, la disposizione contiene una prescrizione, la quale ha, invece, un suo specifico contenuto precettivo; essa precisa che l’obiettivo della qualità ed efficienza del servizio scolastico nel Primo ciclo deve essere perseguito «nel quadro della qualificazione dell’offerta formativa e nell’ambito di proficue collaborazioni tra l’amministrazione scolastica e i comuni interessati anche tra di loro consorziati».
Considerata nel suo complesso, la disposizione impugnata può essere ricondotta, per il suo contenuto sostanziale, all’attuazione di disposizioni che questa Corte ha riconosciuto come ascrivibili alla materia delle norme generali sull’istruzione, riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (articolo 117, comma 2, lettera
n, Costituzione), poiché essa tende concretamente a dare attuazione a disposizioni, d’ordine generale, e come tali operanti in tutto il territorio nazionale, contenute nell’articolo 64, comma 4, del D. Lgs. n. 112/2008 e qualificate, con la citata sentenza n. 200/2009, come norme generali sull’istruzione.
Infatti, proprio per l’espresso riferimento alle esigenze specifiche della «qualificazione dell’offerta formativa», la disposizione impugnata concorre a delineare quel sistema nazionale dell’istruzione, il quale necessariamente deve essere caratterizzato da elementi di unitarietà ed uniformità su tutto il territorio nazionale. A ciò va aggiunto che la disposizione del comma 1 in questione, specificamente per il suo riferimento ai «criteri di qualità ed efficienza del servizio» scolastico del Primo ciclo dell’istruzione, ai fini del miglioramento dell’offerta formativa non è in contrasto, ma anzi ne rappresenta il necessario presupposto, con quanto previsto dal D. Lgs. n. 59/2004 “Definizione delle misure generali relative alla scuola dell’infanzia e al Primo ciclo dell’istruzione, a norma dell’articolo 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53”.
Quanto, infine, ai profili attinenti alla leale collaborazione, con riguardo alla deduzione delle ricorrenti circa l’illegittimità della mancata previsione nella norma censurata di un coinvolgimento regionale, deve osservarsi che, vertendosi in materia di competenza statale esclusiva, non sussisteva per lo Stato alcun obbligo a tale riguardo. Nondimeno, la norma regolamentare in esame si è data carico del coinvolgimento delle istituzioni locali e ha corrispondentemente previsto che la qualificazione dell’offerta formativa deve svolgersi comunque «nell’ambito di proficue collaborazioni tra l’amministrazione scolastica e i comuni interessati», eventualmente tra loro consorziati; con ciò prevedendo, appunto, un meccanismo di leale collaborazione con le istituzioni locali rappresentative degli interessi delle comunità territoriali e soddisfacendo la relativa esigenza di coordinamento interistituzionale.

 

La Corte Costituzionale, sulla scorta di quanto argomentato, stabilisce che:

 

a) non spettava allo Stato disciplinare l’istituzione di nuove scuole dell’infanzia e di nuove sezioni della scuola dell’infanzia, nonché la composizione di queste ultime - nei termini stabiliti dai commi 4 e 6 dell’articolo 2 del DPR n. 89/2009 -  per cui annulla i predetti commi dell’articolo 2;
b) spettava allo Stato stabilire i criteri ai quali devono rispondere l’istituzione e il funzionamento di scuole statali del Primo ciclo, nei termini stabiliti dal comma 1 dell’articolo 3 del suddetto D.P.R. n. 89/2009.

Note

(1). La lettera f-bis) prevede che il regolamento di attuazione avrebbero dovuto definire criteri, tempi e modalità per la determinazione e articolazione dell’azione di ridimensionamento della rete scolastica prevedendo, nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, l’attivazione di servizi qualificati per la migliore fruizione dell’offerta formativa.
(2). La lettera f-
ter) prevede che il regolamento di attuazione avrebbero dovuto contenere specifiche misure finalizzate alla riduzione del disagio degli utenti nel caso di chiusura o accorpamento degli istituti scolastici aventi sede nei piccoli comuni.

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