24.10.2011
IL FEDERALISMO DELLE CHIACCHIERE
Ovvero: come usurpare per via
regolamentare le prerogative delle Regioni
di Antonio Luongo
Con la sentenza n. 92/2011 la Corte Costituzionale ha dichiarato
l'illegittimità dei commi 2 e 6 dell'articolo 2 del D.P.R. n. 89/2009 che in
materia di programmazione della rete scolastica e di iniziative per ridurre
il disagio degli utenti di zone svantaggiate aveva usurpato le competenze
delle Regioni. Di seguito si riportano: a) le argomentazioni delle Regioni
ricorrenti; b) le argomentazioni - a difesa - dell’Avvocatura dello Stato;
c) le argomentazioni della Corte Costituzionale che fondano la sentenza.
La regione Toscana e la
regione Piemonte, con due ricorsi (distinti ma simili nei contenuti),
presentati nel mese di settembre del 2009, avevano sollevato conflitto di
attribuzione contro lo Stato, a seguito dei commi 4 e 6 dell'articolo 2 e
del comma 1 dell'articolo 3 del D.P.R. n. 89/2009 "Revisione dell’assetto
ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia e del
Primo ciclo di istruzione ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla
legge 6 agosto 2008, n. 133" che, a loro parere, conteneva delle
disposizioni in contrasto con gli articoli 117 e 118 della Costituzione.
Le disposizioni impugnate (i commi 2 e 6 dell’articolo 2 e il comma 1
dell’articolo 3) sono riportate di seguito.
1) Il comma 4
dell’articolo 2 stabilisce che: "L’istituzione di nuove scuole e di nuove
sezioni avviene in collaborazione con gli enti territoriali, assicurando la
coordinata partecipazione delle scuole statali e delle scuole paritarie al
sistema scolastico nel suo complesso”;
2) Il comma 6
dell’articolo 2 prevede che "Le sezioni della scuola dell’infanzia con un
numero di iscritti inferiore a quello previsto in via ordinaria, situate in
comuni montani, in piccole isole e in piccoli comuni, appartenenti a
comunità privi di strutture educative per la prima infanzia, possono
accogliere piccoli gruppi di bambini di età compresa tra i due e i tre anni,
la cui consistenza è determinata nell’annuale decreto interministeriale
sulla formazione dell’organico. L’inserimento di tali bambini avviene sulla
base di progetti attivati, d’intesa e in collaborazione tra istituzioni
scolastiche e i comuni interessati, e non può dar luogo a sdoppiamenti di
sezioni”;
3) Il comma 1 dell'articolo 3 dispone che "L’istituzione e il funzionamento di scuole statali del I° ciclo devono rispondere a criteri di qualità ed efficienza del servizio, nel quadro della qualificazione dell’offerta formativa e nell’ambito di proficue collaborazioni tra l’amministrazione scolastica e i comuni interessati anche tra di loro consorziati”.
Le ricorrenti hanno ritenuto che le norme del citato D.P.R. intervengano,
illegittimamente, in ambiti di competenza regionale e diano attuazione a
disposizioni (l’articolo 64, comma 4, del D. Lgs. n. 112/2008
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione
tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n.
133/2008) di cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale con la
sentenza n. 200/2009.
Le ricorrenti sostengono, in particolare, che: il comma 4 dell’articolo 2 e
il comma 1 dell’articolo 3 del D.P.R. n. 89/2009, violerebbero gli articoli
117 e 118 della Costituzione, e il principio di “leale collaborazione”. Tali
disposizioni, infatti, interverrebbero su profili organizzativi della rete
scolastica, rientranti nella potestà legislativa delle Regioni ai sensi
dell’articolo 117, comma 3, della Costituzione. Le stesse norme, per un
verso, esulerebbero dall’ambito delle norme generali sull’istruzione o dei
principi fondamentali della materia, per altro verso, non esprimerebbero
esigenze di carattere unitario che potrebbero legittimare l’intervento
statale.
Le Regioni verrebbero, di fatto, private del ruolo primario nell’istituzione
di nuove scuole – dell’infanzia e del Primo ciclo - che rappresenta
senz’altro l’aspetto più rilevante nell’ambito della programmazione e
dell’organizzazione della rete scolastica. La sussistenza in capo alle
Regioni della competenza sull’organizzazione scolastica e sul
dimensionamento degli istituti risale già agli articoli 138, comma 1,
lettere a),
b),
c),
e 143, del D. Lgs. n. 112/98 "Conferimento di funzioni e compiti
amministrativi dello Stato alle Regioni e agli enti locali, in attuazione
del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59"; sarebbe palese, quindi, la
violazione dell’articolo 117 Costituzione, poiché le norme impugnate
disciplinano aspetti organizzativi, con riferimento alla determinazione e
articolazione dell’azione di ridimensionamento della rete scolastica, senza
prevedere un adeguato coinvolgimento delle Regioni. Né potrebbe essere
invocato l’articolo 117, comma 2, lettera
m),
della Costituzione, giacché le disposizioni in esame non fissano standard
minimi di prestazioni scolastiche.
Le ricorrenti ritengono che le disposizioni sarebbero in contrasto con
l’articolo 117 della Costituzione sotto due profili: il primo, perché lo
Stato disciplina funzioni regionali (in violazione, quindi, dell’art. 117,
comma 3, della Costituzione); il secondo, perché tale disciplina è dettata
con regolamento (in violazione dell’articolo 117, comma 6, della
Costituzione).
Le norme sarebbero ulteriormente lesive delle attribuzioni regionali poiché,
attenendo ad ambiti di competenza regionale, il regolamento nel quale sono
state inserite avrebbe dovuto contenere la previsione dell’intesa con le
Regioni interessate, mentre, in un caso (articolo 2, comma 4), si richiamano
genericamente forme di collaborazione con gli enti territoriali per
l’istituzione delle scuole dell’infanzia; nell’altro (articolo 3, comma 1),
addirittura, non si prevede alcun ruolo delle Regioni nella istituzione e
nel funzionamento delle scuole del Primo ciclo. Le norme in questione,
quindi, invaderebbero le competenze delle Regioni anche per violazione
dell’articolo 118 della Costituzione e del principio della leale
collaborazione e non si giustificherebbero neppure alla luce del principio
di sussidiarietà. Infine le norme regolamentari non possono essere
considerate un regolamento statale poiché, ai sensi del comma 6
dell’articolo 117, della Costituzione, lo Stato emana regolamenti solo nelle
materie in cui ha potestà legislativa esclusiva; non è questo il caso.
L'avvocatura generale dello Stato ha sostenuto la non fondatezza del ricorso, deducendone l’inammissibilità, argomentando come segue.
1) Le disposizioni
impugnate costituiscono attuazione di norme generali in materia
d’istruzione, di competenza esclusiva dello Stato (articoli 33, 34 e 117,
comma 2 della Costituzione), contenute nella legge n. 53/2003 “Delega al
Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei
livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione
professionale” la cui attuazione è avvenuta con vari decreti legislativi
delegati e con l’articolo 64 del D. Lgs. n. 112/2008. Peraltro, tale ultima
norma è stata ritenuta, quanto alle disposizioni di principio in essa
contenute, costituzionalmente legittima (sentenza n. 200/2009), poiché esse
costituiscono norme generali sull’istruzione.
2) Un distinto titolo
di legittimazione dello Stato a disciplinare la materia, è ravvisato nella
competenza legislativa esclusiva relativa alla determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da
garantire su tutto il territorio nazionale (articolo 117, comma 2, lettera
m,
della Costituzione); ebbene le disposizioni impugnate rientrano tra le norme
generali sull’istruzione scolastica e tra i livelli essenziali delle
prestazioni in materia di organizzazione scolastica e di utilizzazione del
personale dirigente e docente della scuola; norme rientranti, dunque, nella
competenza legislativa esclusiva dello Stato, per l’attuazione delle quali
sussiste la potestà statale di emanare i relativi regolamenti (comma 2,
lettere n)
e
m),
e comma 6 dell'articolo
117 della Costituzione).
3) Il comma 1
dell’articolo 3 si limita a riprendere, senza modifiche sostanziali, quanto
previsto, in materia, dal D. Lgs n. 59/2004, contenente norme generali
sull’istruzione, specificandone le finalità generali e la durata
complessiva, e confermando la necessità di proficue collaborazioni tra
l’amministrazione scolastica e gli enti locali; pertanto, quest’ultima, deve
essere considerata una norma programmatica, che riguarda il sistema
scolastico complessivo del “primo ciclo d’istruzione” (materia di competenza
statale) e non attiene alla determinazione della rete scolastica o alla
programmazione della stessa (materia di competenza regionale). ) Pertanto il
contenuto del comma 1 dell'articolo 3 del D.P.R. n. 89/2009 non comporta
lesioni alle attribuzioni delle Regioni, poiché non introduce alcuna nuova
disciplina in un ambito a esse riservato e non mette in alcun modo in
discussione la spettanza alle medesime delle funzioni inerenti al
dimensionamento della rete scolastica.
4) La disposizione del
comma 4 dell’articolo 2 stabilisce alcuni principi generali ascrivibili alla
materia della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto
il territorio nazionale che spetta allo Stato provvedere in materia ai sensi
del comma 2 lettera m) dell’articolo 117 della Costituzione.
5) La previsione del comma 6 dell'articolo 2, riguardo alla possibilità di accoglienza di bambini di età compresa tra i due e i tre anni nelle sezioni di scuola dell’infanzia in specifiche realtà territoriali, non potrebbe considerarsi lesiva delle attribuzioni regionali e del principio di leale collaborazione. Tale disposizione non appare, infatti, preordinata ad ovviare a disagi derivanti dalla chiusura di istituzioni scolastiche e, quindi, il richiamo all’articolo 64, comma 4, lettera f-ter), sarebbe inconferente. La norma si riferisce a un servizio aggiuntivo che si vuole garantire e per la cui erogazione è necessario disporre del relativo organico sulla base del quale, poi, esso potrà essere dimensionato. Le disposizioni sarebbero rivolte ad assicurare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale, di esclusiva potestà legislativa dello Stato, ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione.
La Corte ha argomentato il suo pronunciamento come segue.
La questione posta con
i ricorsi per conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni deve essere
risolta alla luce della pronuncia resa con la sentenza n. 200/2009 sulla
legittimità costituzionale delle disposizioni contenute nell’articolo 64,
comma 4, del D. Lgs. n. 112/2008 "Disposizioni urgenti per lo sviluppo
economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della
finanza pubblica e la perequazione tributaria", di cui non si è tenuto
conto nell’adozione del regolamento governativo emanato con il D.P.R. n.
89/2009, recante, tra le altre, le disposizioni di cui all’articolo 2, commi
4 e 6, e all’articolo 3, comma 1.
La Corte nel pronunciarsi sulla questione essenziale concernente la
distinzione tra le norme generali sull’istruzione, riservate in via
esclusiva allo Stato dal comma 2, lettera
n)
dell’articolo 117 della Costituzione, e i principi fondamentali della
materia istruzione, rientrante questa nella competenza legislativa
concorrente di cui al comma 3 dell’articolo 117della Costituzione, ha
affermato, testualmente che: rientrano tra le norme generali sull’istruzione
«quelle disposizioni statali che definiscono la struttura portante del
sistema nazionale d’istruzione e che richiedono di essere applicate in modo
necessariamente unitario e uniforme in tutto il territorio nazionale,
assicurando, mediante un’offerta formativa omogenea, la sostanziale parità
di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio dell’istruzione (interesse
primario di rilievo costituzionale), e la libertà di istituire
scuole e la parità tra le scuole statali e non statali», mentre sono
espressione di principi fondamentali della materia dell’istruzione
«quelle norme che, nel fissare criteri, obiettivi, direttive o discipline,
pur tese, ad assicurare l’esistenza di elementi di base comuni sul
territorio nazionale in ordine alle modalità di fruizione del servizio
dell’istruzione, da un lato, non sono riconducibili a quella struttura
essenziale del sistema d’istruzione che caratterizza le norme generali
sull’istruzione, dall’altra, necessitano, per la loro attuazione (e non già
per la loro semplice esecuzione) dell’intervento del legislatore regionale».
Per stabilire, dunque, se, con le norme regolamentari impugnate, lo Stato
abbia effettivamente invaso una sfera di competenza legislativa regionale,
occorre partire dalle suindicate affermazioni, osservando, in particolare,
che, nella stessa sentenza, si è precisato la non spettanza allo Stato
dell’adozione di disposizioni regolamentari, ancorché contenute in un
regolamento di delegificazione, che fossero esorbitanti dall’ambito della
competenza legislativa esclusiva in tema di determinazione delle norme
generali sull’istruzione; ciò in applicazione, in particolare, di quanto
previsto dall’articolo 117, comma 6, della Costituzione.
Sulla base delle indicate premesse, la Corte, con la citata pronuncia, ha,
in particolare, dichiarato l’illegittimità costituzionale, proprio con
riferimento a quanto previsto dal comma 2 lettera
n)
dal comma 3 e dal comma 6 dell’articolo 117 della Costituzione, delle
disposizioni contenute nelle lettere f-bis)
ed f-ter)
del citato art. 64, comma 4, del D.L. n. 112/2008, aggiunte dalla relativa
legge di conversione. Le disposizioni recate dalle lettere f-bis)
e f-ter)
sono state ritenute estranee all’area della materia rientrante nella
locuzione “norme generali sull’istruzione”. Da quanto precede, deriva che
devono essere ritenute esorbitanti dall’ambito della competenza esclusiva
statale in tema di norme generali sull’istruzione e lesive della potestà
legislativa concorrente della Regione in materia d’istruzione pubblica, le
disposizioni del regolamento governativo che, in qualche modo, possono
essere considerate dipendenti, derivanti o comunque connesse a quelle
dichiarate incostituzionali con la citata sentenza n. 200/2009.
Riguardo, quindi, il comma 4 dell'articolo 2 di cui le ricorrenti assumono
l’illegittimità, la Corte afferma che la censura è fondata. Il suddetto
comma, con riferimento alla “Scuola dell’infanzia”, dispone che «l’istituzione
di nuove scuole e di nuove sezioni avviene in collaborazione con gli enti
territoriali, assicurando la coordinata partecipazione delle scuole statali
e delle scuole paritarie al sistema scolastico nel suo complesso».
Orbene, l’istituzione di nuove scuole e di nuove sezioni nelle scuole
dell’infanzia già esistenti, attiene, in maniera diretta, al dimensionamento
della rete scolastica sul territorio; attribuzione che la sentenza n.
200/2009 ha riconosciuto spettare al legislatore regionale, poiché non
riconducibile all’ambito delle norme generali sull’istruzione. Con la
disposizione inserita nel comma 4 dell’articolo 2 lo Stato ha invaso la
competenza delle Regioni sul punto specifico di adattamento della rete
scolastica alle esigenze socio economiche di ciascun territorio regionale,
«che ben possono e devono essere apprezzate» in ciascuna Regione, con la
precisazione che non possono, al riguardo, «venire in rilievo aspetti che
ridondino sulla qualità dell’offerta formativa e, dunque, sulla didattica»
(dalla sentenza n. 200/2009). Infine, la norma regolamentare non può essere
ascritta all’area dei “principi fondamentali” della materia concorrente
dell’istruzione, poiché la fonte regolamentare (in forza di quanto previsto
dal comma 6 dell’articolo 117,della Costituzione) sarebbe comunque inidonea
a porre detti principi (è necessaria una legge non un DPR). Inoltre (ma ciò
si osserva solo
ad abundantiam)
sarebbe violato, in modo palese, il principio di “leale collaborazione” per
la mancata previsione di ogni forma di coinvolgimento regionale
nell’adozione delle relative misure di riordinamento della rete.
Anche la censura riguardo il comma 6 dell'articolo 2 del regolamento
governativo è fondata; infatti, detto comma prevede che «le sezioni della
scuola dell’infanzia con un numero di iscritti inferiore a quello previsto
in via ordinaria, situate in comuni montani, in piccole isole e in piccoli
comuni, appartenenti a comunità privi di strutture educative per la prima
infanzia, possono accogliere piccoli gruppi di bambini di età compresa tra i
due e i tre anni, la cui consistenza è determinata nell’annuale decreto
interministeriale sulla formazione dell’organico». Il suddetto comma
prosegue disponendo che «l’inserimento di tali bambini avviene sulla base
di progetti attivati, d’intesa e in collaborazione tra istituzioni
scolastiche e i comuni interessati, e non può dar luogo a sdoppiamento di
sezioni». La Corte, con la sentenza n. 200/2009, ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 64, comma 4, lettera f-ter),
del D. Lgs. n. 112/2008, poiché demandava all’allora emanando regolamento
governativo di prevedere, «nel caso di chiusura o di accorpamento degli
istituti scolastici nei piccoli comuni ... specifiche misure
finalizzate alla riduzione del disagio degli utenti». A fondamento
della declaratoria d’illegittimità costituzionale questa Corte ha affermato
che «la disposizione contenuta in tale lettera opera un’estensione allo
Stato di una facoltà di esclusiva pertinenza delle Regioni, mediante
l’attribuzione allo stesso di un compito che non gli compete, giacché quello
della chiusura o dell’accorpamento degli istituti scolastici nei piccoli
Comuni costituisce un ambito di sicura competenza regionale proprio perché
strettamente legato alle singole realtà locali, il cui apprezzamento è
demandato agli organi regionali». La Corte ha aggiunto che è in facoltà
delle Regioni e degli enti locali «prevedere misure volte a ridurre, nei
casi in questione, il disagio degli utenti del servizio scolastico, proprio
per l’impatto che tali eventi hanno sulle comunità insediate nel territorio
e con riguardo alle necessità dell’utenza delle singole realtà locali».
La disposizione del regolamento governativo, non può essere considerata
attuazione delle norme generali sull’istruzione, di specifica competenza
legislativa esclusiva dello Stato, poiché le misure previste sono
chiaramente volte a eliminare o ridurre il disagio dell’utenza del servizio
scolastico nei piccoli comuni, con una valutazione che non può prescindere
dalle particolari condizioni in cui versano le comunità locali di ridotte
dimensioni, perché insediate in territori montani o in piccole isole ovvero
comunque in comuni di dimensioni tali da essere privi di strutture educative
per la prima infanzia. È, dunque, del tutto ovvio che spetti alle Regioni,
nell’esercizio della loro competenza legislativa concorrente in materia di
istruzione pubblica, non disgiunta (è bene aggiungere) da rilevanti aspetti
di competenza regionale, di carattere esclusivo, in tema di servizi sociali,
l’adozione di misure volte alla riduzione del disagio di tali particolari
utenti del servizio scolastico. Né è senza significato, d’altronde, che,
come già rilevato dalla sentenza n. 200/2009, le Regioni, anche prima del D.
Lgs. n. 112/2008 e della stessa riformulazione dell’articolo 117
Costituzione per opera della legge costituzionale n. 3/2001 erano titolari
di competenze attinenti alla programmazione della rete scolastica in
conformità a quanto, a suo tempo, previsto dall’articolo 138 del D. Lgs. n.
112/1998 “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle
Regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo
1997, n. 59” e delle altre disposizioni legislative richiamate dalla stessa
citata sentenza n. 200/2009. Le prescrizioni contenute nel comma 6 non
possono essere considerate espressione di “principi fondamentali”
della materia concorrente della istruzione, per la inidoneità della fonte
regolamentare a fissare detti principi e, in ipotesi, per la violazione,
comunque, del comma 6 dell’articolo 117 della Costituzione, oltre che per la
radicale mancanza di ogni forma di coinvolgimento regionale, in violazione
del canone del principio di “leale collaborazione” tra istituzioni.
Sotto il primo profilo, quello relativo cioè alla chiamata in sussidiarietà,
è sufficiente osservare che, a prescindere da ogni altra e diversa
considerazione ostativa e comunque dalla questione concernente
l’utilizzabilità, a tale fine, della fonte regolamentare, l’allocazione al
superiore livello statale di attribuzioni spettanti alle Regioni, secondo la
costante giurisprudenza costituzionale, presuppone che siano previste
adeguate forme di coinvolgimento delle Regioni al fine di tutelare le
istanze regionali costituzionalmente garantite in un ambito che involge
indubbiamente profili di competenza concorrente (sentenza n. 303 del 2003,
alla quale ha fatto seguito una giurisprudenza costante; da ultimo sentenza
n. 16 del 2010).
Sotto il secondo profilo, è sufficiente osservare che per la giurisprudenza
di questa Corte (sentenza n. 282/2002) si è in presenza di una normazione
attinente ai livelli essenziali delle prestazioni, quando la normativa al
riguardo fissi, appunto, livelli di prestazioni da assicurare ai fruitori
dei vari servizi; fattispecie questa che certamente esula dallo spettro di
applicazione delle norme regolamentari in ordine alle quali sono stati
proposti i ricorsi, ora in esame, per conflitto di attribuzioni.
Riguardo all’impugnazione del comma 1 dell’articolo 3 del regolamento
governativo,occorre rilevare che secondo detto comma, l’istituzione e il
funzionamento di scuole statali del Primo ciclo «devono rispondere a criteri
di qualità ed efficienza del servizio, nel quadro della qualificazione
dell’offerta formativa e nell’ambito di proficue collaborazioni tra
l’amministrazione scolastica e i comuni interessati anche tra di loro
consorziati». Le ricorrenti denunciano l’illegittimità costituzionale della
suddetta disposizione sulla base dei medesimi parametri sopra richiamati. La
censura non è fondata.
La citata disposizione, nella sua prima parte, si limita, in realtà, a una
mera affermazione di principio relativamente ad una generale e ineludibile
esigenza, qual è quella riguardante la fondamentale necessità che anche
l’istituzione e il funzionamento delle scuole statali del Primo ciclo (come,
del resto, per tutti gli ordini di scuole) rispondano a criteri di qualità
ed efficienza del servizio scolastico. La disposizione censurata, essendo
priva di un reale contenuto precettivo, non sarebbe idonea, per sé sola
considerata, a recare alcun vulnus alle competenze regionali in materia di
istruzione. Nella sua seconda parte, però, la disposizione contiene una
prescrizione, la quale ha, invece, un suo specifico contenuto precettivo;
essa precisa che l’obiettivo della qualità ed efficienza del servizio
scolastico nel Primo ciclo deve essere perseguito «nel quadro della
qualificazione dell’offerta formativa e nell’ambito di proficue
collaborazioni tra l’amministrazione scolastica e i comuni interessati anche
tra di loro consorziati».
Considerata nel suo complesso, la disposizione impugnata può essere
ricondotta, per il suo contenuto sostanziale, all’attuazione di disposizioni
che questa Corte ha riconosciuto come ascrivibili alla materia delle norme
generali sull’istruzione, riservata alla competenza legislativa esclusiva
dello Stato (articolo 117, comma 2, lettera
n,
Costituzione), poiché essa tende concretamente a dare attuazione a
disposizioni, d’ordine generale, e come tali operanti in tutto il territorio
nazionale, contenute nell’articolo 64, comma 4, del D. Lgs. n. 112/2008 e
qualificate, con la citata sentenza n. 200/2009, come norme generali
sull’istruzione.
Infatti, proprio per l’espresso riferimento alle esigenze specifiche della
«qualificazione dell’offerta formativa», la disposizione impugnata concorre
a delineare quel sistema nazionale dell’istruzione, il quale necessariamente
deve essere caratterizzato da elementi di unitarietà ed uniformità su tutto
il territorio nazionale. A ciò va aggiunto che la disposizione del comma 1
in questione, specificamente per il suo riferimento ai «criteri di qualità
ed efficienza del servizio» scolastico del Primo ciclo dell’istruzione, ai
fini del miglioramento dell’offerta formativa non è in contrasto, ma anzi ne
rappresenta il necessario presupposto, con quanto previsto dal D. Lgs. n.
59/2004 “Definizione delle misure generali relative alla scuola
dell’infanzia e al Primo ciclo dell’istruzione, a norma dell’articolo 1
della legge 28 marzo 2003, n. 53”.
Quanto, infine, ai profili attinenti alla leale collaborazione, con riguardo
alla deduzione delle ricorrenti circa l’illegittimità della mancata
previsione nella norma censurata di un coinvolgimento regionale, deve
osservarsi che, vertendosi in materia di competenza statale esclusiva, non
sussisteva per lo Stato alcun obbligo a tale riguardo. Nondimeno, la norma
regolamentare in esame si è data carico del coinvolgimento delle istituzioni
locali e ha corrispondentemente previsto che la qualificazione dell’offerta
formativa deve svolgersi comunque «nell’ambito di proficue collaborazioni
tra l’amministrazione scolastica e i comuni interessati», eventualmente tra
loro consorziati; con ciò prevedendo, appunto, un meccanismo di leale
collaborazione con le istituzioni locali rappresentative degli interessi
delle comunità territoriali e soddisfacendo la relativa esigenza di
coordinamento interistituzionale.
La Corte Costituzionale, sulla scorta di quanto argomentato, stabilisce che:
a) non spettava allo
Stato disciplinare l’istituzione di nuove scuole dell’infanzia e di nuove
sezioni della scuola dell’infanzia, nonché la composizione di queste ultime
- nei termini stabiliti dai commi 4 e 6 dell’articolo 2 del DPR n. 89/2009
- per cui annulla i predetti commi dell’articolo 2;
b) spettava allo Stato stabilire i criteri ai quali devono rispondere
l’istituzione e il funzionamento di scuole statali del Primo ciclo, nei
termini stabiliti dal comma 1 dell’articolo 3 del suddetto D.P.R. n.
89/2009.
Note
(1). La lettera f-bis)
prevede che il regolamento di attuazione avrebbero dovuto definire criteri,
tempi e modalità per la determinazione e articolazione dell’azione di
ridimensionamento della rete scolastica prevedendo, nell’ambito delle
risorse disponibili a legislazione vigente, l’attivazione di servizi
qualificati per la migliore fruizione dell’offerta formativa.
(2). La lettera f-ter)
prevede che il regolamento di attuazione avrebbero dovuto contenere
specifiche misure finalizzate alla riduzione del disagio degli utenti nel
caso di chiusura o accorpamento degli istituti scolastici aventi sede nei
piccoli comuni.