21.11.2008
Piccole scuole e qualità
(Proposte realistiche per garantire la sopravvivenza dei piccoli plessi e per l’innovazione qualitativa)
di Pasquale D'Avolio
Le rassicurazioni circa la salvaguardia dei
piccoli plessi di montagna sotto i 50 alunni rischiano di farci perdere di
vista il vero problema del quale tutti dovremmo preoccuparci, dagli
operatori scolastici alle famiglie ai decisori politici a tutti i livelli,
dai Comuni alle Regioni: la funzionalità di queste realtà scolastiche e la
qualità dell’istruzione nei piccoli plessi. Queste esigenze non dipendono
solo dalla permanenza dei vari “punti di erogazione del servizio” nei
territori, ma dalle risorse umane e strumentali a disposizione.
I piccoli numeri aiutano indubbiamente l’individualizzazione
dell’insegnamento, e favoriscono il legame oggi molto stretto tra scuola e
ambiente circostante che rendono le scuole come ”aula aperta” al territorio
di cui parlano le Nuove Indicazioni, senza contare al fatto che la scuola in
certi casi rappresenti l’ “ultimo presidio”; ma non si possono nascondere
gli svantaggi di un isolamento culturale, di una povertà di stimoli e di
relazioni sociali, di cui soffrono indubbiamente gli alunni dei piccoli
plessi decentrati.
Credo che nessuno possa negare come “la polverizzazione sul territorio di
piccole scuole non risulta funzionale al conseguimento degli obiettivi
didattico pedagogici in quanto non consente l’inserimento dei giovani in
comunità educative culturalmente adeguate a stimolarne le capacità di
apprendimento e di socializzazione” (dallo Schema di Piano programmatico
della L. 133/2008)
Al di sotto di un certo limite numerico pertanto la chiusura di un plesso
potrebbe essere necessaria, salvo nelle zone più emarginate e prive di
collegamenti accettabili. Qui come dirò in seguito, occorre avanzare
proposte alternative o piuttosto integrative.
Occorre garantire in tutti i casi condizioni strutturali tali da non incidere sulla qualità didattica e per far questo occorre rivolgere l’attenzione a due aspetti poco noti a chi non è addetto ai lavori e che riguardano più la sfera amministrativa che quella legislativa. Mi riferisco da una parte alla Ordinanza sulla formazione delle classi e dall’altra all’assegnazione dell’organico docenti.
1) FORMAZIONE DELLE CLASSI
Nei piccoli paesi di montagna o di piccole isole esistono realtà scolastiche che vanno difese anche per numeri inferiori ai 30 alunni (limite che dovrebbe essere consentito in deroga” per i plessi di montagna e di piccole isole), a patto che l’organico consenta di avere a diposizione un numero di docenti adeguato e si possano costituire il maggior numero di “classi” autonome nei limiti attualmente consentiti, ricorrendo alle pluriclassi solo in casi limitati. Non ritengo che la “pluriclasse” sia di per sé un elemento negativo, anzi in certi casi può consentire un insegnamento altrettanto valido se non migliore, anche per la possibilità di costituire “classi aperte” con opportuni “gruppi di livello”, come sarebbe auspicabile anche nelle scuole “normali”. Occorrono comunque docenti motivati e possibilmente con una preparazione adeguata. Chi scrive ha potuto sperimentare tale assunto in un piccolo plesso di montagna (18 alunni).
Ma se queste condizioni non sussistono,
bisogna consentire la formazione di classi anche con piccoli numeri,
mantenendo l’attuale limite di 13 per sdoppiare le classi,
e quindi evitare la moltiplicazione
delle pluriclassi. Attualmente nella scuola
primaria le pluriclassi sono 3.441, di cui 500 a tempo pieno, su un totale
di 138.441.
Il minimo di
alunni per far funzionare una pluriclasse è oggi 6 e il massimo 12; si pensa
di innalzare tali limiti rispettivamente a 8 e 18.
Se ciò
accadesse le conseguenze sarebbero molto pesanti
Con l’aumento delle pluriclassi la sopravvivenza del plesso sarebbe a
rischio. I genitori, quelli in grado di farlo, potrebbero scegliere di
iscrivere i propri figli nelle scuole,viciniori con una caduta progressiva
del numero di alunni e quindi la chiusura “naturale” del plesso. Lo stesso
discorso vale per gli altri gradi di scuole, medie e superiori. La norma per
cui le prime classi si formano sommando tutti gli iscritti indipendentemente
dal corso prescelto (normale o sperimentale, a tempo normale o prolungato,
con due o più “indirizzi” ) danneggia le piccole scuole dove un aumento dei
limiti per costituire 1 classe, porterebbe alla chiusura di molti corsi e al
restringimento dell’offerta formativa da parte delle Scuole..
Nella fase di approvazione del numero di classi da autorizzare alle Scuole si svolge un complesso e lungo tira e molla tra Scuole e USR con possibili contrapposizioni tra città e periferia. Non si può tacere sul fatto che potrebbero crearsi situazioni di conflittualità tra le scuole di città, dove i numeri a volte sfiorano i 30 e qualche volta li superano, e quelle di montagna, che mirano a difendere le loro classi, a volte sotto i limiti. E’ una battaglia improba, in cui a rimetterci sono le parti più deboli e in questo caso sappiamo chi sono i “deboli”.
Pertanto penso che la vera battaglia si debba spostare proprio sulla O.M. che detta le norme per la formazione delle classi (a dicembre) salvaguardando le piccole realtà, e successivamente nel momento in cui si fanno a definire le classi da autirizzare da parte delle Direzioni regionali (questo avviene nel mese di marzo di ogni anno). Evitando contrapposizioni deleterie ma anche opponendosi alla legge del più forte, che in questo caso sono le scuole di città. Occorre che le Comunità montane e i Comuni sappiano far fronte comune
2) ASSEGNAZIONE DEGLI ORGANICI ALLE SCUOLE
Conseguenze altrettanto pesanti si
avrebbero se fosse assegnato ai plessi sottodimensionati un numero di
docenti tale da non consentire una flessibilità tra i gruppi di alunni di
diverse età, un numero di docenti tale cioè che le pluriclassi (che in molti
casi resterebbero anche con l’attuale limite) si “sdoppino” per un certo
numero di ore settimanali.
Le operazioni per l’assegnazione dei docenti agli Istituti avvengono dopo
che il MIUR assegna i contingenti di organico alle Direzioni regionali sulla
base di parametri stabiliti centralmente (in attesa del trasferimento di
tali compiti alle Regioni, come già previsto da una sentenza della Corte
costituzionale). Successivamente le Direzioni, sentite le OSSS, assegnano i
docenti alle Scuole. Qui avviene il complesso lavoro di distribuzione tra
vari ordini di scuole, tra i vari territori, su pressioni delle Scuole, che
non di rado si rivolgono ai Comuni per avere un sostegno per soddisfare le
esigenze reali dei propri Istituti. E’ un secondo momento importante di
presenza e mobilitazione, se occorre. La “contrattazione” non può non
coinvolgere le Associazioni degli Enti locali (UPI, ANCI, UNCEM).
3) ASSEGNAZIONE DEI DOCENTI AI PLESSI
Il terzo momento è quello dei docenti ai plessi. Questa operazione, come è noto, spetta al Dirigente scolastico sulla base dei criteri stabiliti dal Consiglio di Istituto e tenendo conto delle “proposte” del Collegio Docenti. Una fatica improba a volte per il DS il quale deve tener conto delle esigenze dei vari plessi, tra i quali a volte si scatenano veri e propri conflitti. La “lotta” diventa sempre più dura quanto più l’organico è limitato. Un interevento dei Comuni sulla Dirigenza scolastica, specie laddove il plesso si trova in un Comune montano, mentre la Direzione è in pianura o in città, può essere utile, ma può accadere che il restringimento dell’organico renda estremamente difficile soddisfare le legittime esigenze. Di fronte a un ipotesi del genere, si potrebbero proporre due soluzioni: o battersi perché nell’assegnazione dell’organico di fatto le Direzioni scolastiche regionali avessero la disponibilità di posti in organico espressamente destinate alle scuole con pluriclassi, oppure le Regioni, come avviene già in Piemonte, destinassero risorse aggiuntive alle piccole scuole di montagna proprio per superare le situazioni di “sofferenza” più evidenti.
A questo punto diventa importante battersi non tanto e non solo per la sopravvivenza del plesso sottodimensionato, ma per l’assegnazione di un adeguato numero di docenti ai plessi suddetti
PROPOSTE INNOVATIVE
La montagna tuttavia non può limitarsi a
difendere semplicemente l’esistente, ma può creare autonomamente le
condizioni per superare l’handicap dei piccoli numeri, e ciò attraverso dei
progetti innovativi. E’ già avvenuto nel 1994 quando dalla montagna è
partita l’esperienza degli Istituti comprensivi, che ora vengono proposti
come modello innovativo, non solo per salvare le Presidenze nei piccoli
centri, ma come modalità nuova di assicurare le “continuità” tra i vari
gradi di scuole.
Naturalmente questo processo di innovazione non è automatico: esistono
soluzioni organizzative e didattiche che possono garantire la qualità
dell’istruzione anche laddove esistono le pluriclassi. Si tratta di
indicarle e di convincere i docenti ad applicarle.
Il richiamo all’art. 4 dell DPR 275 comma 2
lettera d del D.P.R 275/99 (Regolamento dell’autonomia), laddove si parla di
“articolazione modulare di gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da
diverse classi o da diversi anni di corso” presente nello Schema di
piano programmatico è a parere del sottoscritto estremamente importante. Si
tratta delle cosiddette “classi aperte” che stentano ad affermarsi ma che
altrove in Europa sono già presenti anche nelle “grandi” scuole.
Si tratta di
soluzioni magari dettate dalla necessità, ma che contengono un tasso di
innovazione notevole sul piano didattico. Le piccole scuole di montagna
possono adottare soluzioni flessibili non solo tra classi diverse, ma anche
tra plessi vicini, prevedendo accorpamenti di classi per un certo numero di
ore settimanali e alleviando così i disagi dei trasferimenti.
Occorre naturalmente disponibilità da parte dei docenti e programmazione
orizzontale tra i plessi, ma non è impossibile.
Una ulteriore soluzione è la “teledidattica” di cui abbiamo pochi ma
interessanti esempi già in alcune realtà (la montagna friulana ad esempio).
Le nuove tecnologie, adeguatamente supportate da attrezzature telematiche,
sono una nuova modalità di insegnamento in grado di
coniugare qualità dell’insegnamento ed
esigenze sociali, specie nelle realtà decentrate. Esistono “programmi” in
grado di collegare alunni e plessi distanti fra di loro con lezioni ed
esercitazioni on-line in modalità interattiva.
Concludo affermando la necessità di una riflessione attraverso un Convegno
che illustri le varie prospettive del “fare scuola” in montagna per una
Scuola attenta alle esigenze del territorio, ma attenta principalmente alla
qualità dell’istruzione.