09.12.2012
Tiro
al piccione.
A proposito delle sorti del DDL sull’autogoverno delle scuole
di Antonio
Valentino
Sulle vicende
legate al DDL sull’autogoverno delle Scuole
(riforma degli OOCC) e al suo stop ormai scontato, vorrei partire da quello
che scrive il Ministro Profumo nella recente lettera, inviata a studenti e
docenti, sulle dopo le manifestazioni di piazza delle scorse settimane.
Dopo aver detto - e non detto - al riguardo, dichiara di voler “fare
chiarezza su uno dei punti che più hanno suscitato le proteste: il disegno
di legge 953, detto comunemente ‘ddl Aprea’. Ritengo doveroso specificare
che tale proposta è stata formulata e discussa in piena autonomia dal
Parlamento,
con la
partecipazione di tutte le forze politiche. Dunque non c’è alcuna diretta
responsabilità del Governo, né mia personale, nelle proposte ivi contenute.
Auspico, invece, che tutte le forze politiche sappiano ascoltare il dissenso
di vaste parti del mondo della scuola e intendano recepire le opportune
proposte di modifica durante la discussione attualmente avviata al Senato.”
La
citazione è lunga, ma si presta ad un paio di considerazioni non peregrine.
La prima: il ministro parla di una legge che affronta il problema
dell’autogoverno nel mondo della scuola, mondo di cui lui è il referente
primo, con il distacco e l’indifferenza - e sin dal primo momento - di chi
non ne capisce l’importanza e l’urgenza o è distratto da altro.
Dimostrando così che lui con la scuola c’entra poco.
La seconda: il ministro non solo gira la testa dall’altra parte su una cosa
che avrebbe dovuto vederlo attivo e propositivo, ma manda messaggi con cui,
in sostanza, dice: “vedete, cari studenti scesi in piazza contro questa
legge, che io non c’entro niente; questa è roba ‘loro’, della politica. Che
se la sbrighino loro. Imparino invece da me ad ‘ascoltare e tastare il polso
delle piazze’ come ho fatto io con le proteste degli insegnanti”.
Il riferimento è alla
proposta “smart” delle 24 ore di lezioni settimanali (un terzo in più
rispetto all’attuale quadro orario, tanto per gradire), in cambio del suo
prezioso sorriso.
Sulle ragioni
specifiche dello stop al DDL sull’autogoverno, invece, fa un po’ senso
leggere, quanto dichiara in un’intervista l’on. Bastico. La quale, dopo
aver affermato che “una legge sulla governance
non è solo necessaria ma anche urgente”, prosegue dicendo che
lo stop origina dai “segnali delle manifestazioni”, lanciati soprattutto
dagli studenti, e che, per un nuovo approccio al problema dell’autogoverno,
ci vuole una “pausa di riflessione”.
Dopo 10 mesi (10 mesi) di lavoro continuo da parte delle Commissione e di
centinaia di audizioni!
Delle due l’una: o la commissione è fatta d’incapaci o c’è dell’altro.
Questa litania della pausa di riflessione, di cui ha cominciato a parlare
per prima la responsabile scuola del PD (e lo dico da interno al Partito),
è decisamente avvilente.
Chiarisco: non ci troviamo
certo di fronte alla migliore delle riforme possibili. D’altra parte si
tratta di temi complicati, per i quali non ci sono ricette già belle e
pronte.
In più occasioni ho personalmente espresso riserve - per quello che potevano
valere - su alcuni punti, per le incertezze e le ambiguità che contenevano.
Alcune cose sono state aggiustate nell’ultima versione, grazie alle proposte
di emendamento da parte di vari soggetti (e tra questi, la FLC che ha però
continuato a mantenere nette le sue riserve).
Soprattutto è comparsa una clausola che fa, di queste norme, un terreno di
possibile sperimentazione e non già disposizioni da assumere in via
definitiva. Si legge, infatti, nell’articolo
11 bis
(Commissione di
monitoraggio):
“Con decreto dei Presidente del Consiglio dei Ministri, (…) è costituita
una commissione con lo scopo di monitorare per due anni il processo
attuativo delle disposizioni di cui alla presente legge, presentando alle
commissioni parlamentari di merito una relazione sullo stato di attuazione
(…)”.
Altri aspetti sarebbero da emendare. Per esempio, il punto
sull’autonomia statutaria e sulla configurazione del Consiglio Nazionale
delle scuole autonome
Ma lo stato
dell’arte complessivo, pur con le sue ombre, è bastevole per ingaggiare
questa che, nelle ultime settimane, si sta rappresentando come una gara di
tiro al piccione?
Anna Maria Poggi, giurista certamente fine di cui ho sempre apprezzato
l’acutezza e la concretezza dei ragionamenti, ha addirittura scritto un
pezzo dal titolo: “DL 953, il numero che suona il ‘funerale’
dell'autonomia” (sul sito de “il sussidiario”); che fa il paio con il
titolo dell’articolo di F. Greco, Presidente Associazione Nazionale Docenti:
“Progetto di legge 953, un de profundis per la democrazia” (su “edscuola.it”).
Nientemeno!
Provo a
considerare il punto centrale dei rilievi di Anna Maria Poggi, che riguarda
essenzialmente le norme sulle rappresentanze istituzionali.
Tali norme sono criticate sia perché ritenute “invasive delle competenze
regionali” - e quindi impugnabili per incostituzionalità (ma le Regioni,
sempre fortemente gelose delle loro prerogative, nel parere dato alla
Camera, hanno condiviso sostanzialmente obiettivi e principi ispiratori
della riforma) -, sia perché l’impianto di organi esterni alla scuola
(Conferenze regionali e territoriali e Consiglio Nazionale) “potrebbero
influire negativamente sull’autonomia delle IS”.
Come dire: meglio tenerci l’autoreferenzialità inconcludente di oggi, che
correre avventure che non sappiamo dove ci portano; si muore più
tranquillamente.
O non ho capito?
L’interrogativo
da porsi oggi – tra l’altro a maggior ragione - è lo stesso di quando (il
marzo scorso) il DDL è stato pibblicizzato per la prima volta: le norme
sull’autogoverno sono, almeno sulla carta, un passo avanti o indietro? E
ammesso che sia un passo in avanti, vanno nella direzione giusta?
Di fronte a domande di questo tipo, continuo a sostenere, in primo luogo,
che l’apertura della scuola a soggetti esterni sia un fatto in sé positivo.
Ovviamente questo non garantisce di per sé il superamento delle chiusure che
oggi pesano negativamente sul funzionamento delle scuole: ci vogliono gambe
solide (dispositivi efficaci) perché il processo dia risultati positivi; ci
vuole cultura democratica e una cura e una regia attenta ai diversi livelli.
Ed è questo soprattutto che manca.
Come pure continuo a pensare che una più netta distinzione delle funzioni
tra gli organi collegiali - prevista nelle norme - aiuti a fare chiarezza su
“chi è responsabile di cosa”.
E anche che il Nucleo di autovalutazione - chiamato a predisporre un
rapporto annuale sull’andamento scolastico - sia (e ben lo sanno le tante
scuole che lo stanno sperimentando anche da qualche decennio) un dispositivo
importante per interrogarsi, con procedure non improvvisate e con
atteggiamento sperimentale, su come si funziona, su cosa non va, sui piani
di miglioramento da attivare.
Su questo punto, ci sono critiche sul fatto che il previsto coordinamento
nazionale dell’INVALSI possa concretizzarsi nell’offerta di “indicatori
nazionali e strumenti di rilevazione”.
Si preferisce - chiedo - una logica da repubblica delle banane?
Certo, occorre affinare strumenti e procedure, perchè il tutto non sia
ingabbiato da lacci e lacciuoli, su cui la nostra amministrazione centrale
non è - gliene va dato merito, incontestabilmente - seconda a nessuno.
Ma allora il problema è un altro: è quello della vigilanza democratica,
della proposta alternativa e condivisa, di una diversa attenzione generale
del sistema paese – come si dice – sui problemi della scuola. O no?
Continuo a pensare, inoltre, che la Conferenza di rendicontazione sia una novità di assoluto rilievo, perché potrebbe facilitare l’introduzione, nelle nostre scuole, di pratiche di responsabilità, trasparenza e partecipazione; pratiche potenzialmente capaci di invertire la tendenza, da sempre prevalente, per cui
la responsabilità di quello che non va è sempre e, comunque, prima di tutto degli altri,
i panni sporchi, al massimo, si lavano in famiglia e
la trasparenza è un tema importante, ma da trattare nei convegni – ovviamente con dovizia di particolari e presentazione di esperienze pilota .
Almeno le scelte
sopra richiamate ritengo offrano ragioni sufficienti - assieme alla
previsione dei nuovi organi di rappresentanza istituzionale - per dire che
questo DDL avrebbe potuto inaugurare una positiva inversione di tendenza per
la cultura rattrappita del nostro sistema scolastico.
C’è un interrogativo, infine, che in tanti tendono a porsi e che suona
pressappoco così: “Ma in questa stagione di demotivazione diffusa e di
difficoltà crescente delle scuole a provvedere al quotidiano funzionamento;
di scarsa considerazione sociale del lavoro della scuola – che tutti a
parole santificano – e di mancanza di risorse anche minime per misure di
accompagnamento efficace delle innovazioni possibili, è proprio il caso di
imbarcarsi in avventure destinate – ovviamente nella valutazione dei nostri
critici - a sortire esiti di scarso valore e addirittura a bruciare speranze
di rinnovamento, se non addirittura, a restringere gli spazi della
democrazia" (Polibio, su ScuolaOggi)?
È chiaro che se le domande sono queste anche nei gruppi dirigenti e tra chi
ha responsabilità delle sorti del nostro sistema, è meglio lasciar perdere.
E le considerazioni lette recentemente sono di questo tipo. O analoghe. Come
ad esempio, la sempreverde: ma le vere priorità sono altre!
Si può non convenirne?