(12.09.2015)
SARA’ BUONA SCUOLA? Osservazioni e riflessioni sulla legge 107
di Enrico Bottero
Si è parlato molto sui media e sul web delle proposte del governo sulla scuola e della Legge n.107 varata dal Parlamento. I media e le discussioni degli addetti ai lavoro si sono concentrati sui commenti alla Legge. Poco si è fatto, invece per informare il grande pubblico sui suoi contenuti. Io credo invece che sia necessario partire da un’analisi, sia pur incompleta, dei suoi contenuti. Se la Scuola, come credo, è un bene che appartiene alla collettività, le decisioni che vengono prese su di essa dovrebbero essere note a tutti i cittadini in modo che possano esprimere liberamente e con cognizione di causa una loro valutazione. Con questo articolo ho cercato di dare un piccolo contributo in questa direzione. Ho dunque cerco di presentare i dati nel modo più chiaro e più completo possibile. Spero di riuscire a mantenere l’impegno.La Legge 107, denominata enfaticamente “La Buona Scuola” dai suoi promotori, è ricca di obiettivi. Cercheremo di analizzarli brevemente indicando volta per volta le risorse straordinarie messe a disposizione per la loro realizzazione. Sarà così più facile valutare la coerenza interna del provvedimento (rapporto obiettivi – risorse) e quindi formulare una valutazione complessiva.
1. Questioni di stile
Prima di venire all’analisi del contenuto, vorrei fare qualche osservazione sulla forma. Da un Governo nato all’insegna della novità ci si sarebbe aspettato qualcosa di meglio. La forma spesso è anche sostanza, come ben sa il capo del Governo, sempre così attento alle modalità di comunicazione. Ed ecco invece che il tanto sospirato prodotto si presenta con un unico articolo composto di 212 commi con sotto-commi e sotto-sotto-commi. A questa struttura complessa e disarticolata si aggiunge uno stile di scrittura complicato e con continui riferimenti a Leggi e norme precedenti. Non manca poi la deprecabile abitudine di introdurre modifiche a Leggi precedenti non riprendendo tutto l’articolo o il comma ma inserendo solo le frasi oggetto di revisione. Tutto ciò rende praticamente impossibile a un non addetto ai lavori (e credo anche a molti parlamentari, certamente a tutti i cittadini) un’analisi
completa e chiara del testo. Tale analisi richiederebbe infatti la consultazione di molte altre Leggi[1].
In tutto questo non c’è nulla di nuovo. Fa parte della nostra secolare tradizione giuridica, incomprensibile in altri Paesi. Viviamo ancora in una società corporativa che, per mantenere i suoi equilibri tradizionali, deve garantire un ruolo agli interpreti delle Leggi a cui i cittadini sono spesso costretti a rivolgersi (provocando come reazione diffidenza nei confronti delle istituzioni). Una forma di sudditanza che non ci permette di essere “cittadini” a tutti gli effetti.
Accanto alle questioni di stile ci sono quelle di metodo. Anche qui si tratta di questioni sostanziali perché si riferiscono al rispetto della corretta procedura nella formazione delle leggi secondo il dettato costituzionale. In questo caso qualche novità c’è, e non positiva. Ciò che balza all’occhio, infatti, è l’uso eccessivo di deleghe al Governo (commi 180, 181, 182). Non si tratta di deleghe da poco. Tra di esse, ad esempio, c’è l’istituzione del sistema integrato di educazione ed istruzione dalla nascita ai sei anni, cioè la ricostruzione di una parte fondamentale e del nostro sistema formativo. Sono delegati al Governo anche il riordino del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente delle scuole secondarie, la ridefinizione della normativa sull’integrazione scolastica, la revisione dei percorsi dell’istruzione professionale, il riordino della normativa sulle istituzioni scolastiche all’estero, ecc., tutti anelli essenziali del sistema di istruzione su cui al Parlamento viene concessa solo la possibilità di formulare un parere, peraltro non vincolante. Il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione viene poi completamente escluso da qualsiasi possibilità di proposta (comma 192).
2. Riorganizzazione dei curricoli e della didattica
Vengo ora agli obiettivi della legge. La Legge prevede prima di tutto una serie di obiettivi relativi alla riorganizzazione dei curricoli e della didattica. La maggior parte degli obiettivi è contenuta nel comma n. 7. Li elenco brevemente insieme alle eventuali nuove risorse messe a disposizione per la loro realizzazione:
Valorizzazione e potenziamento delle competenze linguistiche (italiano, inglese, altre lingue della comunità europea). Risorse: in assenza di personale competente nell’organico dell’autonomia, docenti specialisti di inglese dalla scuola primaria in avanti.
Potenziamento delle competenze matematiche e scientifiche. Risorse: nessuna
Potenziamento delle competenze nella pratica e nella cultura musicali, nell’arte, nella storia dell’arte, nel cinema, ecc. Risorse: docenti specialisti in musica nella scuola primaria in assenza di personale nell’organico dell’autonomia.
Sviluppo delle competenze in materia di cittadinanza attiva e democratica. Risorse: nessuna
Sviluppo di comportamenti responsabili ispirati alla conoscenza e al rispetto della legalità, ecc. Risorse: nessuna
Alfabetizzazione all’arte, alle tecniche e ai media di produzione e diffusione delle immagini. Risorse: nessuna.
Potenziamento delle discipline motorie e sviluppo dei comportamenti ispirati a uno stile di vita sano. Risorse: insegnante di educazione motoria nella scuola primaria.
Potenziamento delle metodologie laboratoriali e delle attività di laboratorio. Risorse: nessuna
Prevenzione e contrasto della dispersione scolastica, del bullismo, ecc. Risorse: nessuna.
Valorizzazione della scuola come comunità attiva aperta al territorio (ad es., attività durante la sospensione delle attività didattiche). Risorse: nessuna.
Incremento dell’alternanza scuola lavoro nelle scuole superiori (400 ore negli istituti tecnici e 200 ore nei Licei). Risorse: 100 milioni annui a decorrere dal 2016.
Valorizzazione dei percorsi formativi individualizzati. Risorse: nessuna
Valorizzazione del merito di alunni e studenti. Risorse: nessuna
Insegnamento dell’italiano come lingua seconda. Risorse: nessuna
Definizione di un sistema di orientamento. Risorse: nessuna.
Apertura pomeridiana delle scuole e riduzione del numero di alunni e studenti per classe o per articolazioni di gruppi di classi (comma 84). Risorse: nessuna.
L’obiettivo di ridurre il numero di alunni per classe è molto importante. Si tratta tuttavia di un obiettivo puramente velleitario ed aleatorio lanciato con grande enfasi (“No alle classi pollaio!”) per raccogliere consenso. La Legge, infatti, non modifica le disposizioni precedenti (25 alunni per sezione nella scuola dell’infanzia aumentabili a 28, almeno 25 alunni per classe nella scuola di base, almeno 27 nel primo anno di scuola secondaria di secondo grado). Il numero delle classi di ciascun Istituto è definito dall’alto come in precedenza ed è la base per il calcolo del numero di posti di docenti in organico. Il Dirigente, dunque, non potrà aumentare il numero delle classi ma solo spostare gli alunni da una classe all’altra utilizzando l’organico dell’autonomia (naturalmente con ciò sceglierà di sottrarli da altri compiti).
Piano nazionale per la scuola digitale. Il piano, oltre allo sviluppo delle competenze degli studenti (v. sopra), prevede “lo sviluppo delle competenze digitali degli studenti, il potenziamento degli strumenti didattici e laboratoriali necessari a migliorare la formazione e i processi di innovazione delle istituzioni scolastiche; c) adozione di strumenti organizzativi e tecnologici per favorire la governance, la trasparenza e la condivisione di dati, nonché lo scambio di informazioni tra dirigenti, docenti e studenti e tra istituzioni scolastiche ed educative e articolazioni amministrative del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca; formazione dei docenti per l’innovazione didattica e sviluppo della cultura digitale per l’insegnamento, l’apprendimento e la formazione delle competenze lavorative, cognitive e sociali degli studenti; e) formazione dei direttori dei servizi generali e amministrativi, degli assistenti amministrativi e degli assistenti tecnici per l’innovazione digitale nell’amministrazione; potenziamento delle infrastrutture di rete, valorizzazione delle migliori esperienze delle istituzioni scolastiche anche attraverso la promozione di una rete nazionale di centri di ricerca e di formazione; definizione dei criteri e delle finalità per l’adozione di testi didattici in formato digitale e per la produzione e la diffusione di opere e materiali per la didattica, anche prodotti autonomamente dagli istituti scolastici”.
Risorse: 90 milioni il primo anno, 30 milioni gli anni successivi (risorse da detrarre dal fondo di funzionamento delle scuole).
Formazione nei settori strategici del made in Italy, apertura della scuola al territorio. Risorse: quota parte dei 90 milioni il primo anno, 30 milioni gli anni successivi (sono gli stessi fondi già destinati per il piano scuola digitale).
Insegnamenti opzionali nel secondo biennio e nell’ultimo anno della scuola superiore: Risorse: nessuna.
Quando scrivo “risorse: nessuna” non intendo affermare che la scuola sia totalmente priva di risorse per realizzare l’obiettivo indicato ma che con la nuova Legge non viene messa a disposizione nessuna nuova risorsa che non sia l’organico dell’autonomia. Naturalmente va ricordato che la legge prevede un congruo aumento delle spese di funzionamento che potrebbero essere utilizzate per sostenere la realizzazione degli obiettivi.
3. Formazione continua degli insegnanti
La formazione in servizio degli insegnanti ritorna finalmente obbligatoria, permanente e strutturale (comma 124). Un volta affermato il principio, la legge prevede questi strumenti per la sua realizzazione:1. Ad ogni insegnante viene concessa una Carta elettronica dell’importo di 500 Euro all’anno per l’acquisto di libri, pubblicazioni, Riviste, hardware e software, iscrizione a corsi di aggiornamento svolti da Enti accreditati, corsi di laurea, ingresso ai musei, mostre ed altri eventi culturali, iniziative di formazione coerenti con il piano triennale per l’offerta formativa elaborato dalle scuole sulla base delle priorità nazionali. Risorse: 381, 137 milioni all’anno.
2. Gli insegnanti partecipano a corsi di formazione organizzati dalla scuole o dalle reti di scuole in coerenza con il Piano triennale dell’offerta formativa elaborato sulla base delle priorità nazionali. Risorse: 40 milioni all’anno.
Le disposizioni sulla formazione degli insegnanti costituiscono uno degli aspetti più sconcertanti della Legge. Da anni in Italia è stato smantellato il sistema pubblico di formazione degli insegnanti presente nella maggior parte degli altri Stati europei. Invece di investire risorse per ricostruire questo sovra-sistema si investono poche risorse e per altri fini. Può ancora essere accettabile (come compromesso provvisorio per rimediare agli errori commessi dalla Riforma Berlinguer in poi[2]), la concessione di fondi alle reti di scuole per l’organizzazione di corsi di formazione.
Alle scuole, però, sono stati concessi fondi largamente insufficienti. Ciò che più sconcerta è che contemporaneamente si concedono fondi al singolo insegnante (per un ammontare complessivo molto più alto) per fare ciò che ritiene utile in base alle sue esigenze personali. Sia ben chiaro: è buona cosa che gli insegnanti acquistino libri e riviste, partecipino a corsi di aggiornamento, si iscrivano a corsi di laurea o frequentino musei. Il problema è se in una situazione di totale assenza di un sistema nazionale organizzato per la formazione degli insegnanti che ci fa essere fanalino di coda in Europa sia il caso di investire risorse per offrire una Carta elettronica individuale. Lo Stato, che dispone dell’uso del denaro della collettività, lo deve usare per attività coerenti con gli obiettivi che si è data la collettività stessa. La scelta della Carta elettronica come investimento in formazione in servizio, oltre che essere ridicola per uno Stato degno di questo nome, costituisce un esempio palese di uso distorto di fondi pubblici. Come sarà possibile verificare che la Carta elettronica individuale sia utilizzata per finalità coerenti con una formazione professionale e non solo personale? Come sarà possibile valutare se questa formazione professionale sia coerente con le esigenze della scuola e della collettività nazionale che la finanzia? Di questo la norma non parla anche perché credo sia francamente impossibile. Si tratta dunque con ogni evidenza di una mossa demagogica volta a recuperare tra gli insegnanti il consenso perduto nel corso dell’anno (quale insegnante rifiuterebbe una tale offerta?). Una mossa su cui ci si sarebbe aspettato qualche discussione sui media, da mesi concentrati esclusivamente sul piano nazionale di assunzioni e spesso molto attenti a denunciare il cattivo uso dei fondi pubblici. Un conferma che in Italia siamo ancora lontani dal percepire la scuola come un “bene comune”.
4. Valutazione degli insegnanti e dei dirigenti
La legge non prevede l’istituzione di un sistema di valutazione degli insegnanti. Di questo sistema avremmo invece urgente necessità. L’insegnante è un funzionario della scuola pubblica e alle istituzioni pubbliche deve dunque in qualche modo rispondere. Sappiamo bene che non è facile organizzare un sistema di questo tipo per via della linea delicata che distingue la libertà individuale (un dato distintivo e prezioso delle società democratiche) dagli obblighi collettivi. In primo luogo, sarebbe necessario individuare a livello nazionale un serie di indicatori sfuggendo alla pericolosa tentazione di fondarsi sui risultati degli allievi alle prove INVALSI. Un autentico sistema di valutazione degli insegnanti prevede dunque un’organizzazione complessa. E’ ciò di cui si sta discutendo in molti Paesi al fine di migliorare il sistema esistente. In quei Paesi, però, un sistema c’è già, sia pur imperfetto. In Italia si continua a non organizzarlo da parte di chi ne ha la responsabilità e a rifiutarlo a priori da parte di altri (quegli insegnanti, spero non molti, che cedono a quella che Philippe Meirieu chiama “irresponsabilità sociale”[3]). Per entrambi, si tratta di un atto di irresponsabilità nei confronti della società.
In sostituzione di un sistema di valutazione, la Legge n.107 organizza un sistema di premialità del merito (bonus) deciso dal Dirigente scolastico. Il Comitato di valutazione, composto anche di genitori, indicherà i criteri. I premi saranno concessi dal Dirigente scolastico senza che la sua valutazione debba fondarsi su indicatori nazionali, prevedere una serie di procedure e la documentazione dei risultati. Il sistema dei premi introduce un principio di per sé pericoloso che non farà che favorire la concorrenza tra gli insegnanti e alimentare il loro scontento. Il Comitato di valutazione di scuola, poi, sarebbe ancor meno indicato a svolgere questo ruolo, sia perché criteri e indicatori per la valutazione degli insegnanti non possono essere definiti scuola per scuola, sia perché il comitato è composto da persone che non sono i referenti giusti per questo compito (i colleghi, e ciò è di tutta evidenza, i genitori perché il loro indicatore non potrà che essere la “soddisfazione del cliente”).
Dalla norma si evince dunque che non c’è alcuna intenzione di formare e valutare veramente gli insegnanti. La logica non è quella della formazione e valutazione per tutti i docenti. Si gioca invece sul presunto valore incentivante della concorrenza: vinca il migliore. In una società neoliberale in cui tutti saranno sempre più chiamati a correre per non restare fuori, anche la scuola si adegua. Invece di preparare alla società competitiva e moderarne gli eccessi essa vi si adegua fin da subito anche nei suoi aspetti deteriori. A questa logica si richiama la disposizione (comma 79) che prevede dal 2016 la chiamata degli insegnanti da parte del Dirigente Scolastico, un ulteriore passo verso la scuola azienda.
Sono certo che qualcuno al MIUR avrà pensato alla necessità di organizzare un sistema di valutazione con personale qualificato e con procedure ben definite. La scelta finale però è stata politica: non si volevano impegnare ingenti risorse in questo settore (poco remunerativo sul piano elettorale) cedendo invece alla facile demagogia (con la Carta elettronica l’insegnante viene solleticato in quanto soggetto privato e non come persona incaricata di un pubblico servizio). Una scelta che denota il livello della nostra classe dirigente e che certamente costerà al Paese negli anni a venire. Invece di pensare all’interesse nazionale si guarda a ciò che è più popolare. Certamente è molto più popolare spendere soldi pubblici per eliminare la TASI che non per finanziare un sistema di formazione e di valutazione degli insegnanti.
5. Eliminazione del precariato?
Veniamo ora al capitolo più discusso della riforma, quello delle nuove assunzioni. L’obiettivo del piano è significativo e importante, tanto importante che forse non si sarebbe dovuto attendere il richiamo della Commissione Europea. Il precariato è una piaga tutta italiana che dura da molti, troppi anni. La piaga è durata nel tempo perché ha fatto comodo: ai governi per aumentare il consenso, ai sindacati per poter mantenere o aumentare il proprio bacino di tessere, a molti aspiranti insegnanti che grazie al precariato hanno potuto prestare servizio vicino alla propria residenza senza correre il rischio di doversi spostare in altre zone del Paese (ciò che ad inizio di carriera si sarebbe potuto fare senza molti disagi). Insomma, un compromesso al ribasso in cui l’ultimo interesse era quello rivolto all’istituzione scuola come bene collettivo e al suo buon funzionamento. Per anni molti insegnanti sono entrati in ruolo grazie a leggine che, in contrasto con il dettato costituzionale, garantivano loro un’immissione in ruolo senza concorso. Dunque, l’iniziativa attuale va salutata positivamente.
5.1. Esodo degli insegnanti?
Eliminare il precariato è come previsto molto difficile, visto che la sua cultura è ben radicata da molti anni. Oggi è più difficile perché la maggioranza dei posti disponibili si trova nelle Regioni del nord mentre molti degli aventi diritto sono residenti al sud. Ciò costringerà un certo numero di insegnanti precari a spostarsi in scuole anche molto lontane dalla loro residenza o a rinunciare all’incarico. Questo tema ha animato il dibattito sui media più di ogni altro, spesso non senza esagerazioni[4]. Lo spostamento, purtroppo, per qualcuno si presenta a questo punto come una soluzione quasi obbligata se non si vuole rinunciare all’assunzione. Non va dimenticato che a questi insegnanti viene garantito un posto a tempo indeterminato nello Stato, dunque ancora fortunatamente (e giustamente!) coperto da molte tutele e diritti sconosciuti oggi alla maggior parte dei lavoratori. Forse si sarebbero potuti limitare i disagi (la maggior parte degli insegnanti precari sono adulti di mezza età con famiglia) attraverso calcoli più sofisticati per assegnare l’insegnante al posto disponibile più vicino alla sua residenza abituale. Non si sarebbe certamente eliminata la necessità degli spostamenti ma forse le persone toccate da questo problema sarebbero state un po’ meno. In ogni caso, non sembra proprio che si tratterà di un esodo
Detto questo, è necessario ribadire un principio alla base della scuola come Istituzione della Repubblica: le esigenze poste dagli insegnanti sono del tutto legittime ma non possono essere accolte a qualunque condizione (soprattutto non possono essere spacciate come “difesa della scuola pubblica”)[5]. La scuola pubblica non misura la sua qualità dalla soddisfazione dei genitori (che diventerebbero in questo modo “clienti”) né da quella degli insegnanti. Intendiamoci, è bene che gli insegnanti e i genitori siano soddisfatti. Una scuola che vuole svolgere serenamente la sua attività formativa ha bisogno di persone motivate. Tuttavia, si deve prendere atto che non sempre questo è possibile senza causare danni all’interesse “pubblico” (come si è fatto per troppi anni in Italia, con i risultati che vediamo). La scuola pubblica e i suoi principi vanno dunque accettati anche quando sono in contrasto con i legittimi interessi personali.
5.2. Con le nuove assunzioni si riusciranno a realizzare gli obiettivi?
Analizziamo ora brevemente i contenuti e gli effetti del piano di assunzione. La Legge prevede che l’organico sia suddiviso in organico di diritto (posti comuni, posti per il sostegno) e posti per il potenziamento. A decorrere dal 2016/2017 questo organico sarà ripartito tra gli ambiti territoriali. Il piano di assunzioni interessa chi è iscritto nelle graduatorie del concorso 2012 per titoli ed esami e nelle graduatorie ad esaurimento (GAE).
Ora, il tema principale è il seguente: con il piano straordinario di assunzione si riuscirà ad eliminare il precariato? Si riusciranno poi a realizzare gli obiettivi indicati dalla Legge? La risposta alle due domande è sostanzialmente no. Lo vediamo brevemente. La legge prevede che l’assunzione abbia luogo in tre fasi[6] :
a) nella fase a, svoltasi a livello provinciale, sono stati assunti docenti delle graduatorie ad esaurimento (GAE) e docenti utilmente collocati nelle graduatorie di merito del concorso 2012 ;
b) Nella fase b sono stati assunti a livello nazionale altri 16.000 docenti provenienti dalle GAE o dalle graduatorie di concorso;
c) Nella fase c verranno assunti a livello nazionale docenti GAE e docenti di concorso per la copertura dei posti dell’ “organico per il potenziamento” previsto dalla tabella 1 allegata alla legge.
All’inizio della fase b) dovevano essere ancora attribuiti circa 73.000 posti (55.000 dei quali relativi all’organico potenziato). Le domande presentate entro il 14 agosto 2015, come da scadenza fissata dal MIUR, sono state 71.000 (di cui quasi 15.000 di docenti dell’infanzia e quindi inammissibili). Secondo una stima attendibile i docenti che parteciperanno di fatto alla fase c) saranno 37 - 40.000 circa (dai 71.000 che hanno presentato domanda vanno detratti i circa 14.500 di scuola infanzia, tutti gli assunti in fase b e coloro che hanno ottenuto una supplenza annuale). Dunque, prevedibilmente, per quest’anno resteranno non assegnati tra i 15.000 e i 18.000 posti per il potenziamento. I posti per il potenziamento disponibili nelle regioni del sud (22.500) risulteranno coperti mentre quelli del nord (20.000) risulteranno in larga misura inutilizzati. Si deve tener conto del fatto che i posti di potenziamento rimasti scoperti per l’anno 2015/2016 non potranno essere coperti con supplenze (comma 95). Con questi numeri è difficile pensare che sia possibile raggiungere gli obiettivi indicati: eliminare il precariato, realizzare progetti significativi, ampliare il tempo scuola in modo stabile, ecc. (v. comma 7 citato sopra). Qualcuno potrebbe dire che il prossimo anno saranno finalmente e coperti tutti i posti e dunque ci sarà a disposizione un organico sufficiente a realizzare gli obiettivi. A parte il fatto che gli obiettivi sono così ambiziosi da dubitare che anche in questo caso l’organico dell’autonomia sarebbe sufficiente, potrebbe presentarsi una novità non positiva. Nel comma 65 si legge infatti: “Il personale della dotazione organica dell’autonomia è tenuto ad assicurare prioritariamente la copertura dei posti vacanti e disponibili”.
In un clima di ricerca continua di risorse, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, invocando questo comma, il prossimo anno potrebbe imporre l’utilizzo dei posti del potenziamento per la copertura parziale dei posti resisi vacanti per il normale turn over (circa 20.000 posti all’anno). Se sarà così, i posti per il potenziamento finirebbero per essere riassorbiti nei posti comuni e non sarebbero più utilizzabili per altri scopi.
L’obiettivo dell’eliminazione del precariato, quello più ambizioso e condivisibile della Legge, non risulta realizzabile anche per altre ragioni:
le graduatorie di Circolo e di Istituto, limitatamente alla prima fascia, continuano ad avere efficacia per i soggetti già iscritti e non assunti con il nuovo piano
la scelta per la copertura degli insegnanti assenti spetta al Dirigente Scolastico. La Legge dice che “può” utilizzare personale dell’autonomia per supplenze fino a 10 giorni (resta anche in vigore la norma secondo cui fino a 5 giorni non “deve” nominare supplenti).
Si deve riconoscere che la Legge mira a ridurre il più possibile l’attribuzione di supplenze onde evitare il riprodursi della piaga del precariato. Non si è pensato però di eliminare i contratti temporanei costituendo un organico ad hoc per le supplenze (una sorta di dotazione organica aggiuntiva, come avviene in altri Paesi).
In conclusione: la Legge investe le risorse più consistenti messe a disposizione nel nuovo piano di assunzioni. Con queste risorse si invitano le scuole a fare di tutto: coprire le supplenze, potenziare il tempo scolastico, ridurre il numero di alunni per classe, ecc. (v. paragrafo 2). Ben consapevole dell’irrealizzabilità del compito, la Legge non si assume la responsabilità di indicare quanti insegnanti andrebbero utilizzati per ciascun obiettivo. Essa lascia la scelta al Dirigente Scolastico, il quale, in cambio di un modesto aumento contrattuale e con la prospettiva di essere valutato sui risultati, sarà così investito di una pesante responsabilità. E’ probabile che non ce la faccia con le risorse messe a disposizione dallo Stato. Si potrà così dire che è stata colpa sua perché non è stato un bravo manager. Anche perché la legge gli offre un’altra possibilità. Vediamola.
6. Realizzazione degli obiettivi con risorse esterne
La legge ripete quasi ossessivamente la frase “senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica” ma lascia aperta la possibilità di percorrere altre vie per la realizzazione degli obiettivi. Si apre così il capitolo dei finanziamenti esterni (comma 29). Per le erogazioni liberali in denaro destinate alle scuole è previsto un credito di imposta del 65% nei primi anni e del 50% negli anni successivi. E’ anche previsto un limite massimo di 100.000 euro per ogni periodo di imposta. Il credito di imposta implica altri oneri per le finanze pubbliche, dai 5,8 ai 20,8 milioni l’anno (comma 150). E’ previsto anche un bonus, molto limitato, quale rimborso per l’iscrizione dei figli alle scuole private[7].
Siamo in presenza di cifre piuttosto modeste a carico del contribuente, dunque non sono esse il problema. Il problema è che nel momento in cui lo Stato investe risorse insufficienti in obiettivi essenziali per il proprio sistema educativo (il che può anche essere comprensibile, ma solo nei tempi brevi), introduce la possibilità di realizzare questi obiettivi con finanziamenti privati. Lo Stato indica obiettivi ambiziosi ma non offre risorse sufficienti per realizzarli. Nel contempo si astiene dalla gestione di settori essenziali (ad es., la formazione in servizio degli insegnanti). Ciò significa che non ha alcuna intenzione di impegnarsi realmente per la loro realizzazione su tutto il territorio nazionale. Ci si limita infatti a dare alle scuole la possibilità reperire liberamente risorse ove quelle pubbliche fossero insufficienti. Il sistema pubblico dell’istruzione potrebbe diventare di fatto un sistema di libera concorrenza (il congiuntivo è d’obbligo perché si tratta di vedere come reagiranno i privati), ciò che è già in gran parte. Questo sistema introdurrà inevitabili disparità tra le scuole che potranno disporre di finanziamenti esterni (per l’attivismo del Dirigente manager e per la presenza di soggetti esterni interessati e con fondi a disposizione), e quelle che non potranno disporne (zone a rischio, zone periferiche a scarso sviluppo economico, ecc.). La cifra di 100.000 euro annui come limite per l’erogazione da parte di ciascun soggetto non è infatti così modesta da evitare questa deriva.Potrebbe dunque venir meno uno degli obiettivi fondamentali del sistema pubblico di istruzione, già oggi in declino. quello della riduzione e del riequilibrio delle disuguaglianze, in vista della “riduzione degli ostacoli”, come recita la Costituzione. La nuova Legge invoca la libera concorrenza, la mano invisibile del mercato anche nella scuola. Scelta legittima da parte di un Parlamento sovrano ma che va chiamata con il proprio nome. Si chiama liberismo. Il modello neoliberista, a differenza di quello socialdemocratico che è stato il segno distintivo di molte democrazie occidentali dal dopoguerra in poi, intende estendere la mano invisibile del mercato anche alla scuola. La ragione è semplice. Non si ha l’intenzione di ridurre le disuguaglianze offrendo a tutti una base di saperi essenziali per essere domani cittadini liberi e uguali nelle opportunità. La scuola cui guarda il modello neoliberista ha un’altra priorità: valorizzare i presunti talenti e le potenzialità individuali, i quali dovrebbero costituire l’elemento trainante di un’economia competitiva. Questo il nucleo di una politica il cui scopo è preparare le forze “migliori” (non importa se perché già favorite in partenza) al mondo produttivo. L’arretramento dello Stato nell’investimento sull’istruzione non è dovuto, come spesso si crede, ad una carenza oggettiva di risorse. Le risorse si possono trovare come accade per altri settori ritenuti strategici. Questo arretramento è frutto di una scelta precisa, a mio parere miope, non solo per ragioni di equità sociale e di unità del Paese, ma anche per ragioni economiche.
Un aumento delle risorse destinate all’istruzione è dunque necessario ma non sufficiente. Tutti chiedono un aumento delle risorse per l’istruzione, soprattutto in Italia (qui l’investimento in istruzione è più basso rispetto alla maggior parte dei Paesi europei). Il problema centrale è la destinazione delle risorse. Altro è avere come priorità la riuscita scolastica di tutti, indipendentemente dalla classe sociale di origine e dalla zona del Paese di residenza, altro è puntare solo sulle presunte eccellenze fin dall’inizio anche se ciò dovrà significare l’esclusione di molti. Gli eventuali premi per le presunte eccellenze dovrebbero essere sempre aggiuntivi rispetto a quelli necessari per il normale funzionamento della scuola. Credo che lo Stato debba essere in grado di garantire un’equa distribuzione delle risorse e non solo per ragioni etiche e di principio. Solo allargando la base dei competenti e non promuovendo semplicemente i già “dotati” per nascita, infatti, si può far crescere un Paese in qualità della vita, civile ed economica. Lo diceva due secoli fa Condorcet, che con il suo Elogio dell’istruzione pubblica, aprì la strada ai moderni sistemi di istruzione[8]. Non sarebbe davvero auspicabile tornare indietro.
[1] Io stesso ho fatto difficoltà a districarmi tra commi e codicilli del testo. Ringrazio l’amico e collega Reginaldo Palermo che con la sua competenza in materia mi ha permesso di ritrovare la strada in questi meandri.
[2] Dico “provvisorio” perché non coerente con l’esigenza di garantire un’equa distribuzione della formazione su tutto il territorio nazionale.
[3] V. l’articolo di Philippe Meirieu La scuola tra la pressione consumista e l’irresponsabilità sociale” a questo indirizzo: http://www.enricobottero.com/insegnare/?page_id=1005 .
[4] Penso, in particolare, a coloro che hanno parlato di “deportazione”. Le parole hanno un senso e non vanno utilizzate a sproposito per sostenere una propria legittima esigenza personale.
[5] Per un’analisi dei principi che sono a fondamento della Scuola pubblica v. Philippe Meirieu, Fare la Scuola, fare scuola, Franco Angeli, Milano, 2015, p. 35 e segg.
[6] Ringrazio ancora una volta Reginaldo Palermo per avermi fornito una chiave di lettura nel complicato sistema delle nuove assunzioni. Solo grazie alla sua pazienza e competenza ho potuto venirne a capo.
[7] Il bonus prevede per queste famiglie la possibilità de dedurre dall’imponibile del proprio reddito annuale la cifra di E.400.
[8] V. J.A.C. de Condorcet, Elogio dell’istruzione pubblica, Il manifesto libri, Roma 2002. Per un’analisi delle tesi di Condorcet v. alla pagina http://www.enricobottero.com/insegnare/?page_id=37 .