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LA BUONA SCUOLA OGGI: Documenti e interventi su  "Piano Renzi" (settembre 2014)

(20.03.2015)

Qualche riflessione sulla autonomia scolastica
di Stefano Stefanel


         In occasione dell’emanazione del Disegno di legge del Governo sulla scuola alcuni commentatori di vaglio hanno scritto sulla stampa nazionale cose molto interessanti. Preciserei che la stampa nazionale non è praticamente letta dai giovani, è poco letta anche da una notevole parte di docenti, mentre l’opinione pubblica non ha grande interesse per la scuola, perché il proprio microcosmo di riferimento (le scuole frequentate dai figli) ha già determinato il parere definitivo sull’argomento con annesse le soluzioni definitive. Quindi ci troviamo comunque nell’ambito di un dibattito per specialisti.

         L’attenzione dei commentatori si è centrata su alcuni elementi critici fondamentali della scuola italiana, troppo presa da cambiamenti organizzativi che toccano i docenti e la loro carriera ma non il cuore del curriculum didattico. Ritengo sia molto interessante mettere in relazione tra loro tre articoli estremamente significativi.

         Ernesto Galli della Loggia traccia un bilancio sulle necessità della scuola molto condivisibile in La cattiva scuola è questa, “Corriere della sera” dell’8 marzo 2015. E conclude scrivendo: “l’«autonomia» degli istituti invece di essere quella catastrofe che si è rivelata viene ancora creduta la panacea universale, la solita melassa di frasi fatte e mai verificate.”. Credo che Galli della Loggia abbia sollevato un tema centrale, perché l’autonomia scolastica viene ritenuta da molti l’elemento scatenante la crisi del sistema dell’istruzione. Io invece ritengo che per risolvere i problemi sollevati da Galli della Loggia siano necessarie scuole autonome, responsabili, valutate perché è il centralismo ministeriale che ha prodotto i disastri che lui descrive. Le scuole sono tutte pronte ad ampliare italiano, matematica, fisica, ecc. e a contrarre il resto, ma non hanno l’autonomia reale per farlo. Il curricolo d’istituto può essere variato del 20% in tutte le scuole e del 55% nei trienni degli Istituti tecnici e professionali, anche a favore delle materie che lui reputa importanti. Ma solo te3oricamente perché ciò può avvenire solo se non si producono esuberi e quindi questa postilla finale vanifica il tutto. Il Ministero concede a parole l’autonomia, ma poi mette paletti affinchè non venga applicata.

         Lorenzo Bini-Smaghi (Gli standard europei che la nostra scuola non sa raggiungere,  “Corriere della sera” del 9 marzo 2015) punta l’indice su due questioni scolastiche rilevanti: la periodizzazione dell’anno scolastico e la durata del corso degli studi. Entrambe le questioni riguardano proprio l’autonomia scolastica: la periodizzazione italiana risente di un eccessivo dirigismo centralistico che sfocia negli esami di stato che danno il “famigerato” valore legale del titolo di studio e che condizionano tutto l’anno scolastico. Solo abolendo il valore legale del titolo di studio si permetterebbe alle autonomie scolastiche di modulare tempistiche ed esami d’uscita con un valore reale e non legale e tempistiche connesse alla tipologia degli studi.

         Entra nel vivo dell’autonomia scolastica l’intervento di Francesco Merlo “La stanza del preside diventerà “l’ufficio raccomandazioni e suppliche”, su “La Repubblica” del 15 marzo 2015. Anche in questo caso la questione è più semplice di quello che sembra. Il personale della scuola è tanto e – anche al netto degli insegnanti di sostegno – eccede le medie  dell’area Ocse. Per pagarlo realmente di più dovrebbe diventare di meno (ma con 150.000 nuove assunzioni all’orizzonte non pare questa la prospettiva), le risorse sono poche e devono servire a migliorare la scuola. Merlo dice che l’ultima persona che può fare questo è il dirigente scolastico, anche se è “responsabile del servizio”. Anche qui c’è un’idea di autonomia tutta italiana: il dirigente è responsabile del servizio mentre i doventi non lo sono, il dirigente può attribuire incarichi (come prevede un decreto del 2001) ma poi la contrattazione ne paga solo due e gli altri devono essere assegnati dall’organo collegiale. E via di questo passo. Dunque fiducia al minimo per i dirigenti che assumerebbero “nani e ballerine” o “amici, parenti e amanti” visto che non sono interessati alla scuola, anche se non si sa bene a cos’altro siano interessati. Come si possa dal centro verificare che i soldi per un milione di dipendenti vengano spesi bene è cosa molto difficile da spiegare.

         Credo che i tre articoli citati permettano di porre in chiusura alcune brevi domande. Rispondendo a queste domande poi forse sarà più agevole decidere cosa fare.

-      L’assunzione del personale deve avvenire solo per concorso o per sanatoria o può avvenire – anche parzialmente - per chiamata diretta da colui che risponde dei risultati del servizio?

-      I curricoli devono essere definiti da programmi ministeriali nazionali unitari o devono seguire logiche curricolari legate al territorio, alle università, alle esigenze del mondo del lavoro, della cultura, delle possibilità?

-      Servono i capi d’istituto o possono essere sostituiti da assemblee?

-      Un sistema complesso e variegato nel mondo globalizzato si può gestire senza una reale autonomia e tutto dal centro?

-      Il titolo di studio deve mantenere un valore legale ed essere determinato da esami di stato costosi e fortemente condizionanti?

E’ molto interessante vedere come l’amnesia non abbia toccato solo Fernando Alonso (Aluisi Tosolini, La LIP, il villaggio di Heidi e il triste caso di Fernando Alonso, su www.tecnicadellascuola.it del 9 marzo 2015). Anche  chi fa diagnosi interessanti poi rimanda a soluzioni centralistiche che si fermano al 1976.

 

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