20.05.2015
Heri
dicebamus: tra “richiami ideali” (a buon prezzo…) e imprecazioni
di Franco De Anna
I tempi son maturi (mi pare) per
riprendere un pensiero e alcune considerazioni su quanto si sta facendo
nelle scuole in questa fase (quanto si sta facendo.. non quanto si sta
“dicendo” o gridando...). In particolare su un impegno come la valutazione
che appare come un “tormentone” in alcune fasi, per poi scomparire
inabissandosi senza avere apportato evidenti modificazioni (carattere non
nuovo del dibattito politico culturale sulla scuola…) l’importante è
“dire”, “predicare”, “rivendicare”, “richiamare”, “scongiurare”…La
“necessità della riforma” è giaculatoria così consolidata che non vi è
neppure bisogno di specificare cosa e come vada riformato. Del resto… Non
c’è espediente migliore per garantire così l’immobilismo.
Non c’è riforma che possa “mettere tutti d’accordo”. E se ciò accade
significa che si tratta in realtà di una cosmesi adattativa, non in grado di
modificare lo stato delle cose esistente.
Vorrei solamente aggiungere un richiamo ad una fondamentale “categoria”
maxweberiana che distingue tra “etica dei principi” e “etica della
responsabilità”. La nobiltà, l’essenza, il ruolo della “politica” è
garantire questo delicato passaggio e declinare “l’etica della
responsabilità”, coniugando quella dei principi, in questo caso dilatata dal
piano personale a quello pubblico.
In questi giorni la corposa messaggistica “sociale” che riempie la rete e
che vorrebbe offrirsi come potenza della partecipazione “disintermediata”,
da un lato mette a dura prova la sopportazione e induce la tentazione di
“spegnere l’interruttore”, dall’altro testimonia una clamorosa assenza di
pedagogia politica, di declinazione dell’etica della responsabilità…
I propri individuali interessi o desideri, diventan “politica”, in nome di
più o meno sensate iscrizioni del proprio interesse nell’ambito dei
“principi”; e, di conseguenza, il “dibattito e confronto” in realtà si
sviluppa tra richiami ad essi (a buon mercato, perché chi mai vi si
opporrebbe? In termini di principio chi potrebbe mai affermare di essere per
valorizzare il demerito, o, sul fronte opposto, per vanificare il valore
dell’uguaglianza…) e accuse di tradimento e imprecazioni.
E allora basta predisporre un
paniere sufficientemente ampio per raccogliere il tutto e far partire la
caccia… (vedi il mio articolo in proposito.
Avrei molto preferito non aver ragione qualche mese fa… )
E, tanto per non alimentare polemiche interne, potrei non riferirmi alla
scuola… si pensi alla sentenza sulle pensioni.. In nome di un principio di
eguaglianza giuridica tra i cittadini, la Corte avvalora la “disuguaglianza
reale”. Un provvedimento (politicamente discutibile se non sbagliato) che
distribuiva almeno in parte sacrifici economici in contro gradiente alla
entità delle pensioni, viene annullato e, se ci si limitasse a ciò,
significherebbe “dare a chi ha di più”, in nome di quell’astratto principio.
Leggete i commenti sulla rete … E non è un caso che la Corte sentenzia dando
ragione ad un ricorrente che è un ricco pensionato. Ma lo fa “per principio”
.. Per tacere che la medesima Consulta, in nome della eguaglianza dei
diritti, dichiarò incostituzionale il contributo richiesto agli stipendi
pubblici più elevati….(compresi quelli della Corte stessa)
E’ vero, sono un vecchio comunista
non pentito: ma se, fuori dalla polemica politica, volessi insegnare ai miei
alunni la differenza fondamentale che c’è tra l’impegno per “la difesa dei
diritti”, e l’impegno per una “costruire una società più giusta” (insisto:
non son la medesima cosa..) avrei tra le mani un buon esempio. Forse sono
tali esempi che portano ad una deriva curiosa e pericolosa: una opinione
politica diversa dalla propria viene immediatamente accusata di essere
”anticostituzionale”. Vale per la scuola, per la legge elettorale, per la
pensione, per la riforma della RAI, per le funzioni Dirigente Scolastico…
Il legame tra menzogna e potere non avrebbe bisogno di essere commentato nel
paese di Macchiavelli. Anche se il “..di che lacrime…e sangue..” per la
verità non sta nelle “corde” della cultura nazionale, prevalentemente
guicciardiniana: quel tragico nesso tra menzogna e potere non è declinato
per realizzare grandi disegni e strategie, ma piccole e mediocri
sopravvivenze e galleggiamenti.
Ma rimane il fatto che la menzogna,
organica al potere, sia invece deleteria per chi si oppone e contrasta il
potere o anche solo svolga, da opposizione, la funzione essenziale del
controllo…
Che la politica in talo modo si riduca a “menzogna contro menzogna” è un
rischio soprattutto per chi vorrebbe “cambiare le cose” ( o lo vorrebbe
davvero…).
Temo sia questo lo spettacolo messo in scena in queste settimane, e con la
potenza pervasiva degli strumenti della comunicazione di massa. E quando si
tratti non di menzogna, ma di disinformazione, lo sconforto è ancora
maggiore. Quando si pensi che ciò accade nel più grande concentrato di
lavoro intellettuale del Paese. Centinaia di migliaia di persone che hanno
avuto il privilegio di studiare, protagoniste di una discussione fatta di
pregiudizi, imprecazioni, battute ad effetto (si pensi ai dirigenti
sceriffi, sindaci, manager, collusi…Le prove INVALSI che “schedano” ecc...
). Ma anche questa per la storia del nostro paese non è novità: il
tradimento dei chierici. Chi avrebbe, da intellettuale, prima ancora che da
insegnante, la responsabilità della costruzione dei significati condivisi
socialmente, diviene il moltiplicatore delle menzogne o delle incompetenze.
Forse ha ragione chi ritiene che la distinzione weberiana di cui sopra sia
inapplicabile al nostro Paese.
Tra l’etica dei principi e l’etica della responsabilità, passa infatti,
nella Storia, il “regicidio”. Da Cromwell, a Robespierre…
Ma non sta nella nostra tradizione nazionale. Abbiamo anche noi il nostro
regicida, ma è frutto di terrorismo individuale non di “responsabilità
nazionale”. Come ricordava U. Eco: Gaetano Bresci a Monza, esattamente come
Franti nel libro Cuore… “sarai la rovina della tua povera mamma..” .
Il nostro Stato ideale è ”mamma”… provvede a tutto lei, e un “regalino”, a
sua bontà (e discrezione) non lo nega mai. Finchè ce ne è un poco per
tutti, conviene che stiamo tutti insieme… E poi li chiamano “diritti”…
E quando “non ce ne è più per tutti”… la mamma si rivela all’improvviso
donna di costumi disdicevoli e oggetto, appunto, di insulto e imprecazione.
La costruzione del Sistema Nazionale di Valutazione in via di assemblaggio
Sono intervenuto più volte (ahimè..)
su queste pagine sui problemi, le scelte, gli aspetti critici e irrisolti,
le approssimazioni della impresa di costruzione del SNV. Rimando a tali
contributi.([1])
e a una panoramica generale ripresa su “Rivista dell’Istruzione” n. 1-2,
2015.
Ho seguito sul campo, intervenendo nei programmi di formazione dei docenti,
dei Dirigenti scolastici, dei nuclei di valutazione delle scuole della mia
Regione, che si sono sviluppati dopo la definizione degli strumenti
normativi (Regolamento, linee guida, circolari…).
L’esegesi di tali documenti, confesso, non mi attira affatto e la lascio
volentieri ad altri interlocutori. La “critica della storia” mi attira
sempre di più della “storia della critica”.
Nelle Marche abbiamo costruito momenti di formazione che hanno coinvolto
tutte le scuole, nei quali la riflessione sui caratteri del costruendo SNV e
della fase attuale di realizzazione di un modello di “autovalutazione
standard” si è passo passo accompagnata, e questo mi pare importante, con
fasi di esercitazione pratica, concreta.
Abbiamo usato “casi” tratti dalla realtà, dalle “restituzioni” sperimentate
nel progetto VALES che ha costituito una delle premesse al SNV, da dati
“restituiti” alle scuole nella appena aperta “piattaforma nazionale”. Casi
concreti, ovviamente (è il caso di precisarlo?) anonimizzati.
Abbiamo esplorato insieme alle scuole l’intero percorso della costruzione
del Rapporto di Autovalutazione, che va dall’esame delle “Domande guida” (il
punto di partenza ineliminabile: l’autovalutazione è fatta con le risposte
appropriate a tali domande contenute nel RAV) alla analisi puntuale dei dati
e degli indicatori che possono supportare tali risposte, motivarle e
renderle confrontabili, alla elaborazione del giudizio, e infine all’uso dei
repertori e delle scale di valutazione proposte dal sistema.
Credo, per ora, sia stato fatto un buon lavoro sia dal punto di vista dello
sviluppo della cultura della valutazione, sia nella costruzione di strumenti
critici capaci di decostruire e falsificare i troppi riduzionismi che
circondano i diversi richiami alla valutazione.
Vorrei qui richiamare solo alcune delle osservazioni sul campo enucleate in
tale lavoro comune.
Il modello di autovalutazione “standard” e l’impegno delle scuole.
Tra la cultura dell’autovalutazione,
almeno per come costruita nelle diverse esperienze sviluppate nel ventennio
scorso, e l’adozione di un modello “unificato” passa, come più volte
sottolineato, una dislocazione, una “faglia critica”, la cui entità occorre
tenere sotto controllo proprio per la riuscita dell’impresa. Ho sempre
sostenuto che l’impegno autonomo nel cercare, assemblare, analizzare
criticamente i propri “dati” costituiva, aldi là dei diversi modelli, il
valore fondamentale di tali esperienze. L’impegno all’autovalutazione come
indice della “propensione al miglioramento”.
L’esperienza di formazione ha confermato che anche il “modello standard”
elaborato e proposto dal Sistema, via INVALSI, non può fare a meno di tale
impegno, se non vuole ridursi a insignificante adempimento burocratico.
Il rischio del riduzionismo che guarda ai dati, agli indicatori, come
fossero esaurienti, ed anzi coincidenti con l’elaborazione del giudizio
viene presto svelato e falsificato in tale lavoro. I dati son “muti” senza
l’elaborazione di una loro interpretazione, la cui semantica è sempre più
ampia di quelle degli “indicatori”. Questi ultimi sono strumenti di
supporto, di rinforzo e di fonte “sensata inferenza” nella elaborazione del
giudizio. E più la scuola è in grado di elaborarne, al di là di quelli
standard, più il lavoro di autovalutazione è significativo.
Da questo punto di vista tutta la “elaborazione” della comunicazione
politica che in questi mesi ha teso a presentare l’impegno del Ministero
come “semplificante” del lavoro delle scuole (“vi” diamo la “fotografia”,”
vi” forniamo i dati, “vi” mettiamo a disposizione una piattaforma…) può
suscitare comprensione verso chi è preoccupato del “successo politico” più
che della effettiva costruzione del sistema di valutazione. Ma costituisce
un vero e proprio autogoal nei confronti delle scuole: non se ne
valuta/valorizza l’impegno necessario, se ne semplifica la portata, si
finisce per attenuare lo stesso significato degli strumenti.
Non si può dare della valutazione una immagine di “automatismo”. E
tantomeno (spero non sia così..) tale immagine può essere propria di chi ha
responsabilità politiche e amministrative. L’autore dell’autovalutazione non
sta in Viale Trastevere o a Villa Falconieri… ma dentro ad ogni scuola.
Il flusso di dati “esterni” alle scuole.
Era stato presentato come un
contributo essenziale. E’ evidentemente di grande interesse per quanto
attiene alla restituzione degli esiti delle rilevazioni standard nazionali
sui livelli di apprendimento (per altro già restituiti alle scuole da parte
del rilevatore INVALSI).
Si rivela di interesse assai più contenuto per altre aree di dati: per
esempio i dati ISTAT sull’occupazione s ono raccolti su base campionaria e
su ripartizione provinciale (si sapeva dapprima della loro scarsa
significanza per il contesto operativo della comunità locale di riferimento
della scuola).
I dati “economici” delle scuole contengono un dato di grande interesse che è
rappresentato dal monte stipendi del personale della scuola (ma sul quale la
scuola poco o nulla può fare… importante però che i “cittadini sappiano” il
valore complessivo che è mosso dalla scuola del loro territorio, anche
perché proviene dalla loro fiscalità..). Ma sulle risorse effettivamente
disponibili alla attività della scuola, il bilancio di ciascuna
opportunamente indicizzato, conterrebbe informazioni assai più pertinenti,
per i cittadini, per gli utenti, per lo stesso personale della scuola. Ed è
in detenzione di ogni scuola… Semmai nella piattaforma nazionale, volendo
aumentare la significanza dei dati economici, occorrerebbe fare finalmente
pulizia dei trucchi contabili che gonfiano gli avanzi di amministrazione e
per questa via le entrate.
Rimane la considerazione che per gli stessi “dati esterni” forniti “chiavi
in mano” l’impegno analitico, la loro disaggregazione, lo scavo necessario
per renderne gestibile la significanza sono elementi insostituibili di
impegno e di costruzione dell’inferenza che conduce dai dati e dalle misure
alla elaborazione del giudizio. Ci abbiamo speso riflessione nella nostra
formazione regionale.
Esiti scolastici e esiti delle rilevazioni standard nazionali (prove INVALSI).
Forse è l’occasione buona per
ristrutturare chiarezza interpretativa e distinzione di categorie sulla
intera tematica della valutazione e degli apprendimenti.
Nelle esercitazioni che hanno accompagnato la formazione sul SNV e sul RAV,
le scuole si sono trovate concretamente di fronte a distinzioni che nel
dibattito (!?) e nella vulgata mediatica si perdono sempre nel nulla e nel
tutto.
La prima: la funzione della valutazione dei risultati scolastici in piena
padronanza dei docenti. Il RAV obbliga a raccogliere e confrontare i dati
di carattere generale. Appena i docenti si cimentano con questa area di
autovalutazione pongono l’esigenza di ricavare dati di scuola più analitici
e approfonditi: a livello di classi, di diverse discipline, ecc… e che
riguardano “i loro voti”, rispetto a quanto comunemente si fa a scuola.
La seconda: la rilevazione INVALSI
come strumento standard di rielaborazione di indicatori, più o meno
significativi sui livelli di apprendimento realizzati nella scuola,
distribuiti tra le classi, confrontati geograficamente e per similitudini
socio economico famigliari.
Nessun alunno è stato valutato attraverso le rilevazioni INVALSI.
(La prova nazionale di Terza Media non è una “rilevazione”: credo sia un
errore, ma non in quanto prova nazionale, ma perché quell’esame andrebbe
abolito..)
Per molti interlocutori che hanno partecipato alle esercitazioni questa è
stata la prima volta che si sono cimentati con tale analisi sia degli esiti
scolastici complessivi, sia nel confronto con i dati delle rilevazioni
INVALSI, i valori dei punteggi, la loro varianza, i livelli di equità
desumibili, il carattere di sintomi con i quali confrontarsi e verificare le
possibilità di intervento nella stessa didattica (per esempio con l’analisi
differenziata per processi rilevati o per aree di valutazione sia in
matematica che italiano).
Per molti la prima volta… per la maggior parte il misurarsi con dati che
rimanevano spesso non analizzati, accontentandosi dei confronti territoriali
(“siamo nella media provinciale… dunque va bene…”); o, quel che è peggio,
soggiacendo al pregiudizio che le “valutazioni” INVALSI fossero un prodotto
della congiura aziendalista, discriminatoria, un vulnus alla “valutazione
formativa” che è l’orgoglio professionale della scuola italiana. (mi si
scusi l’ironia: deve essere questa l’origine della esclusione dal “successo
formativo” (!?!?) di oltre il 20% del totale degli alunni lungo l’intero
percorso scolastico….). E via discettando…
Ascoltare, per esempio, un gruppo di lavoro che dopo l’esercitazione
condotta sui dati (veri) di un Comprensivo mi dice che “qui è evidente che
tra primaria e secondaria della stessa scuola vi sono impostazioni
valutative diverse..” fa (tristemente) sorridere. Una verità risaputa per
tutto il sistema, viene “scoperta” e affermata in quell’esercizio di
misurarsi con i dati… con uno sguardo più ampio di quello che investe la
“mia classe e il mio lavoro quotidiano”, ma falsificando il feticcio rituale
della “rappresentata” collegialità professionale.
Ho risposto invitandoli, nel tornare a scuola, a guardare ai dati della
propria scuola con altrettanta attenzione critica… Ma ricordando loro che
tale situazione ha carattere “sistemico” … A livello della singola scuola si
può fare qualche cosa per migliorare (qualche esortazione?)…ma quella
differenza è stratificata e radicata nella differenza e gerarchia di modelli
di identità professionale tra primaria e secondaria… stratificazioni
storiche, modellizzazioni professionali che non hanno ormai alcun rapporto
con le necessità pedagogiche dell’oggi, ma sopravvivono nelle loro
stratificazioni.
Per porre rimedio ad esse non bastano inviti e suggestioni varie: dal
curricolo verticale, agli assetti dei Comprensivi, alle “Indicazioni”
(sempre nuove ovviamente..). E’ necessaria invece una poderosa opera di
riconversione professionale da un lato e destrutturazione e
ristrutturazione degli inquadramenti e delle classificazioni del lavoro
scolastico dei docenti…(ma come la mettiamo con i “diritti acquisiti”?)
Questioni strategiche, non di breve periodo. Altro che buona scuola..
E’ solo un esempio di elemento di “riforma necessaria” “toccato con mano” e misurato nei fatti, e non oggetto di slogan.
Valutazione delle scuole, rendicontazione sociale, valutazione dei dirigenti scolastici.
Gli oggetti sopra indicati sono
connessi nel regolamento del SNV e dunque fin dal principio del lavoro che
stiamo facendo. Ma in corso d’opera emergono con maggiore evidenza e
fondatezza elementi che, all’inizio avevo proposto come punti critici di
attenzione.
Solo alcune affermazioni anche un poco tranchant, rispetto a questioni più
estesamente analizzate ed approfondite([2])
La fase successiva al RAV (il miglioramento) va liberata con critica attenzione dai rischi di automatismo riduttivo del suo rapporto con la valutazione. La progettazione del miglioramento non è un “sillogismo” rispetto al Rapporto di Autovalutazione. Mette in moto il complesso dei meccanismi decisionali della scuola, la sua cultura organizzativa, i profili di ruolo, le attese, le convenienze, le dislocazioni di risorse. Il riconoscimento collettivo di insufficienze e l’impegno collettivo di porvi rimedio chiedono cura, analisi, clinica, spesso aiuto e supporto… Un capitolo altrettanto complesso di quello della valutazione.
La rendicontazione sociale non è la
mera “pubblicità” degli atti e dei risultati come sembrerebbe trapelare da
alcune interpretazioni ministeriali. Non consiste nel “mettere tutto” sul
portale della scuola. Le istituzioni scolastiche autonome sono “Enti
Pubblici” e, in quanto tali, alla pubblicità e trasparenza sono (sarebbero…)
obbligate per legge. La rendicontazione sociale è una “filosofia” del
rapporto tra la scuola che è “produttrice finale” dei servizi che rispondono
ad un diritto di cittadinanza (l’istruzione) e i cittadini stessi, ha per
oggetto sia la quantità e qualità dei suoi “prodotti” (e non basta
l’osservanza delle “norme”), sia le risorse che sono impegnate in tale
produzione “di qualunque fonte siano”, e a maggior ragione se di fonte
pubblica.
Ma oltre che una “filosofia” la rendicontazione sociale si esprime in un
“oggetto”: il Bilancio Sociale, che costituisce lo strumento (o gli
strumenti, nelle sue diverse versioni) per la comunicazione significativa
con gli interlocutori sociali, innanzi tutto i cittadini della comunità
locale nella quale opera la scuola. Tante (anche se non numerosissime) le
esperienze e diversi i modelli. Si tratterà di consolidarne le
caratteristiche, senza mortificare la rendicontazione in semplice pubblicità
e trasparenza.
L’ultima tentazione cui è necessario
sfuggire nella prosecuzione dell’opera di costruzione del SNV è quella della
semplificazione/riduzione della costruzione di un sistema valutativo dei
Dirigenti Scolastici, alla compilazione del RAV e alla definizione degli
obiettivi di miglioramento.
Disposto ad approfondire questi argomenti, (rinvio a pubblicazioni in
proposito). Ricordo solo che “valutare le organizzazioni” (SNV) e “valutare
le persone nell’organizzazione” sono cose assai diverse. Ogni modello di
valutazione del personale deve innanzi tutto misurare la propria coerenza
con il carattere dell’organizzazione cui si rivolge.
Per esempio il semplice modello di valutazione “obiettivi-risultati” è
coerente con una organizzazione caratterizzata da MBO (management by
objectives) o per figure dirigenziali ad altissima autonomia e
responsabilità. Quando lo si applica ad organizzazioni a “parametri
costanti”, cioè con forte componente “procedurale” (come per esempio la
Pubblica Amministrazione) o a figure a bassa autonomia operativa, produce
valutazione non significativa (Si veda la valutazione nella Pubblica
Amministrazione…).
La scuola non è una organizzazione modello MBO, la dimensione di autonomia,
responsabilità e padronanza dei fattori produttivi dei suoi dirigenti non si
presa a valutazioni esclusive obiettivi-risultati. Il rischio vero di
ridurre la valutazione dei dirigenti della scuola al RAV o ai progetti di
miglioramento è da un lato il conflitto pregiudiziale, dall’altro
l’adattamento cosmetico, che può anche risalire alla “fonte” e promuovere
una autovalutazione che si configuri come opportunistico adempimento
amministrativo.
Si potrebbe ri-partire da alcune elaborazioni ed esperienze sperimentali
condotte negli anni passati superando la tentazione di inventare sempre
“novità epocali” da appiccicare come gradi alla manica dei ministri di
turno.
[1] F. De Anna, “L’aquila e il Cavallo. Ovvero la valutazione dei dirigenti”, in www.pavonerisorse.it,
F. De Anna, “Il sistema dell’istruzione e il senso dell’architettura” in www.pavonerisorse.it
F. De Anna, “Sulla bozza di regolamento per il sistema di valutazione” in www.pavonewrisorse.it
F. De Anna “Valutazione delle scuole e dimensione economica dell’autonomia” in www.pavonerisorse.it
F. De Anna, “La retribuzione dei docenti (merito anzianità e dintorni”, in www.pavonerisorse.it
F. De Anna, “Lo specchio e la fotografia: a proposito di autovalutazione”, in www.pavonerisorse.it
([2]) Scusandomi dell’autocitazione. F. De Anna, “Autonomia scolastica e Rendicontazione Sociale: dal POF al Bilancio Sociale”, Franco Angeli Editore, Milano 2005. E ancora F. De Anna “ Valutare i Dirigenti della scuola: strumenti, metodologie, sfide culturali” Editore Spaggiari, 2006