12.11.2015
Miglioramento, consulenti, tutor ed altro,
tra approssimazioni semantiche e pratiche operative
di Franco De Anna
A
proposito di semplificazioni e meccanicismi nel predicato rapporto tra
valutazione e miglioramento (vedi contributo precedente), occorre ricordare
che è previsto un “accompagnamento” alla scuole da parte di figura
variamente definite: tutor, consulenti…gira anche il “creativo” termine di
“miglioristi” a sottolineare una nebulosa semantica che corrisponde ad una
ancora incerta definizione: né può essere altrimenti. Stiamo cominciando una
impresa (la costruzione del SNV) per la quale è necessario almeno un
decennio di impegno. E’ necessario però non vendere come semplice ciò che
invece e complesso e dunque richiede attenzione critica e impegno.
Chi sono queste figure? Che competenze hanno? E soprattutto: di cosa e chi
hanno bisogno le scuole? Pensare ad una risposta univoca è la prima
semplificazione da evitare.
Provo, qui di seguito a schematizzare una riflessione in proposito,
necessariamente contenuta e parziale in questa sede. Il lettore scoprirà
facilmente il largo debito al pensiero di Gian Piero Quaglino, che considero
un maestro dell’approccio psicosociale alle teorie dell’organizzazione. Un
riferimento tanto più essenziale in quanto le scuole di pensiero
razionalistico-funzionaliste e il loro riduzionismo non costituiscono solo
“scuole di pensiero” ma diventano ispirazione della Pubblica Amministrazione
e dunque “prescrizioni”, regole, dispositivi formalizzati e validi “erga
omnes”.
I riferimenti “di scuola”.
L’etimologia del termine tutor (tutus,
sicuro) rimanda a un insieme di significati che si connettono con sviluppo,
crescita, autonomia, potenziamento, ma anche “correzione”, guida…
Nella letteratura relativa alla “scienza e cultura” dell’organizzazione, di
tale grappolo di significati se ne consolidano alcuni (secondo diverse
scuole di pensiero), ma ciò che li unifica è l’intendere la funzione del
tutor e della sua attività di tutoring come stimolazione all’apprendimento,
ed al cambiamento che esso comporta; il dare aiuto in vista della promozione
dell’autonomia e dell’autosufficienza; dunque non il “sostituirsi” ai
processi autonomi ma l’aiuto ad attivarli.
Corollari fondamentali di tale modo di intendere il tutoring sono la
disponibilità ad assumere la differenza, il riconoscimento del “diritto” di
errore, l’incoraggiamento alla scoperta, il confronto di idee differenti,
l’incoraggiamento alla fiducia.
Dunque il tutor è tutto tranne qualcuno che “sa la cosa giusta” e te la
“impone”. Il tutor non ha (in quanto tale) né leadership né potere.
Compito del tutor sarebbe dunque il fornire aiuto per operare la
trasformazione da una situazione o un contesto problematico e/o di
insufficienza, ad una maggiore autonomia e decisionalità.
Essenziale è la sottolineatura che si tratta di una “relazione di aiuto” e
di cura, nella quale il tutor non sostituisce l’autonomia decisionale e la
responsabilità del soggetto, anzi tende ad ampliarla e rispettarla,
favorendo il cambiamento.
In letteratura si distinguono con precisione diverse figure che, nelle
dinamiche organizzative esercitano funzioni “confinanti”, ma mai
sovrapposte: il tutor/tutoring; coach/coaching; mentore/mentoring;
counsellor/counselling.
Ciò che accomuna tutte queste figure è una comune metodologia che è propria
della relazione di aiuto, ma essa si sviluppa secondo modalità e differenze
specifiche.
1.
Un primo elemento che accomuna tali figure è
costituito dal fatto che il massimo potenziale di apprendimento ( e di
trasformazione) da parte del soggetto si realizza quando quest’ultimo (che
sia un individuo o una organizzazione) viene messo in contatto con una
figura che sia il più possibile differente da se stesso.
Solo in tale modo infatti, una persona o una organizzazione sono impegnati a
confrontarsi ed a ascoltare punti di vista, comportamenti, stili operativi,
opinioni e criteri decisionali alternativi a quelli propri e consolidati.
Se devo affiancare un tutore ad un olivo (come a qualsiasi altra pianta in
crescita) mi serve un “palo diritto” non un altro olivo…Non perché l’olivo
debba diventare un palo, ma perché la postura diritta del palo (il suo
essere “diverso” dall’olivo) aiuta quest’ultimo a utilizzare al meglio la
direzione della luce e le sue potenzialità di crescita.
Tutto ciò non si realizza spontaneamente. Tutti, che si tratti di persone o
di organizzazioni, tendono spontaneamente a rapportarsi a figure simili o
conosciute, che garantiscono apparentemente il massimo di comunicabilità e
il minimo di fatica del cambiamento.
Ciò significa che il ricorso ad attività di questo tipo, specie se ci
riferisce ad una organizzazione, corrisponde ad una scelta strategica, ad un
impegno, ad una fatica e a costi che si assumono in vista dei vantaggi di un
cambiamento che comunque è sentito come necessità propria e che corrisponde
a responsabilità propria. Dunque entro una dimensione di sfida, di
incertezza e di rischio.
Una “buona organizzazione” e un “buon leader” attivano relazioni
organizzative come quelle qui comprese, sulla base di una scelta consapevole
e ponderata che considera, tra le altre variabili, anche quella relativa al
rapporto costi/benefici, a partire dalla consapevolezza che i secondi non si
danno senza i primi. E che dunque l’organizzazione va investita
complessivamente di tale diverso equilibrio
2.
Un secondo elemento che accomuna le diverse figure
nelle quali si esprime una relazione di aiuto organizzativo consiste nel
fatto che tutte sono centrate sulla autoconsapevolezza del soggetto
assistito.
Tale autoconsapevolezza investe le modalità di lavorare e imparare. Il
tutor, il coach, il mentore, il counsellor sostengono i propri interlocutori
nell’osservazione, comprensione, autovalutazione degli stili, dei
comportamenti, dei valori comunemente praticati nella vita e nella cultura
organizzativa abitualmente operante.
In altre parole favoriscono una analisi ed una attenzione che trasformano la
propria situazione fattuale in un “autocaso”; costituiscono perciò le
condizioni dell’autoanalisi come primo passo per il cambiamento e il
miglioramento.
Il loro campo di azione è perciò, selettivamente, quello segnato dalle
attività di osservazione e concettualizzazione. L’esperienza concreta e la
sperimentazione sono invece nella piena responsabilità dell’assistito.
3.
Le differenze tra le diverse figure di aiuto e di
assistenza si devono invece rintracciare combinando l’estensione della
relazione (quali aspetti dell’esperienza risultano essere oggetto di
approfondimento nel lavoro di assistenza, cura e guida) e il grado di
mutualità del rapporto (le vie e l’intensità della relazione di cura, e
dunque il grado di “asimmetria” della relazione).
In generale si può affermare che vi sia una progressiva “estensione della
relazione” (ciò di cui si occupa la relazione di aiuto) nel passaggio dal
tutoring (che è esplicitamente dedicato all’apprendimento organizzativo) al
coaching, centrato sul miglioramento delle prestazioni, al counselling che
investe anche il piano più personale delle dinamiche interpersonali.
Conseguentemente il grado di asimmetria della relazione diminuisce passando
dal tutoring al counselling.
Sempre per sintetizzare può essere utile l’analisi dello schema seguente
(tenendo conto delle approssimazioni inevitabili nella sintesi schematica).
Esplicito
Implicito |
Ruolo assistente |
Ruolo assistito |
Obiettivo della relazione |
Lontananza
Vicinanza |
Tutor
|
Studente |
Dimostrare |
||
Coach |
Apprendista |
Dimostrare e discutere |
||
Mentore
|
Collega |
Stimolare |
||
Counsellor
|
Amico |
Consigliare |
4. Entro le distinzioni e le convergenze specifiche tra le diverse figure che si è cercato di sintetizzare più sopra il cui grado di evidenza si attenua spesso nella pratica organizzativa, nella quale i confini di ruolo spesso si sovrappongono, si possono riassumere i seguenti caratteri
a. Si tratta di relazioni di aiuto scelte consapevolmente e dunque sulla base di valutazioni di convenienza e disponibilità ad affrontarne l’impegno (e i costi) in vista di una trasformazione ritenuta necessaria da parte di una organizzazione.
b. Si tratta di relazioni “asimmetriche” (sia pure con diversi gradi di asimmetria). Come tutte le relazioni asimmetriche comportano una attenta cura da parte dei protagonisti, e in particolare da parte dei tutor (il tutoring presenta il massimo di asimmetria), per attenuarne le componenti di ansia, di paura ma anche le possibili derive opportuniste e/o autoritarie.
c.
In particolare attenta cura deve essere posta
perché tali relazioni si configurino appropriatamente rispetto alla propria
finalità che è quella di suscitare, stimolare, promuovere maggiori gradi di
autonomia, consapevolezza, decisionalità nell’organizzazione. Le figure di
aiuto non sostituiscono dunque la responsabilità autonoma
dell’organizzazione cui prestano aiuto ma la promuovono.
Il tutor, il coach, il counsellor si misurano dunque innanzi tutto
nell’individuare e gestire positivamente il grado di asimmetria che
caratterizza la relazione nella quale sono impegnati, curando “la distanza”
con l’assistito, rielaborando in permanenza le tensioni, le contraddizioni,
i conflitti e/o gli opportunismi, le possibili ansie connesse alla
relazione.
Si è già accennato che nella
concretezza dei processi che investono le organizzazioni, il ruolo
effettivamente svolto dalle figure di assistenza vede sovrapporsi e sfumarsi
i confini delle “definizioni di scuola”.
Ciò non significa che le distinzioni diventano ininfluenti; al contrario ciò
sottolinea la necessità di aumentare la consapevolezza delle specificità
delle relazioni che si costruiscono sul campo e di esercitare cura
appropriata al loro svilupparsi nelle diverse fasi dei processi di
trasformazione organizzativa, piccoli i grandi che siano, connessa al
miglioramento.
Gli spunti di riflessione critica che si propongono di seguito hanno dunque
tale significato; vorrebbero stimolare una riflessione specifica che aiuti
in termini di autoconsapevolezza l’esercizio concreto della funzione di
tutoring nelle condizioni specifiche del progetto che le coinvolge.
Il tutoring e l’autovalutazione “indotta”.
Nelle condizioni “ideali” i processi
autovalutativi messi in opera da una organizzazione segnalano, prima ancora
di apprezzarne i contenuti, i protocolli e i modelli (che possono essere
anche molto diversi) un indicatore di “propensione al miglioramento” che una
organizzazione esprime.
In tali condizioni l’autovalutazione come intrapresa autonoma da parte
dell’organizzazione (la sua propensione al miglioramento) costituisce il
“medium” ideale con l’attività di “osservatori esterni”, che si tratti di
tutor o di altre figure di aiuto.
Nella esperienza concrete in corso l’autovalutazione di scuola rappresenta
invece una “condizione di accesso” ad un progetto ed alle sua
sperimentazione.
E’ cioè elemento “indotto”, sia pure in diverso grado e modo, dall’esterno.
Se incontra una pre esistente e autonoma attività organizzata e formalizzata
di auto valutazione si ripropongono le condizioni “ideali”. Se l’induzione
esterna è prevalente occorre considerare che al compito di tutoring si
propongono contorni assai specifici.
In particolare una già presente ed elevata “propensione al miglioramento”
quale si esprime nella autonoma pratica auto valutativa, disegna per il
tutor un compito i cui contorni si avvicinano alle ”definizioni di scuola”
sopra ricordate.
In caso contrario il tutor si trova a dover preliminarmente esplorare
proprio il terreno della costruzione di tale propensione. Il compito di
analisi, di osservazione, concettualizzazione si dilata.
Far maturare la consapevolezza dell’organizzazione attraverso l’assunzione
di sé come “autocaso” diventa compito primario.
E in tale compito rileva il campo delle motivazioni collettive, dei
linguaggi e significati comuni scambiati nell’organizzazione, la loro
“clinica”; le “latenze” (ciò che sta sotto e sorregge) dell’organizzazione a
confronto con gli enunciati dichiarati. (Per esempio la cosiddetta “retorica
progettuale”).
Si segnala qui il valore della “diversità” del tutor che è chiamato ad un
preliminare approccio clinico.
Si tenga conto, al contrario, che proprio nella percezione delle scuole
interessate è stata rilevata una “domanda di somiglianza” tra scuola e
tutor: in tale contraddizione sta una misura della intensità “analitica” del
compito specifico che qui si segnala.
Come già accennato nel tutoring si
condensa una particolare esigenza di “gestione clinica” della asimmetria
relazionale, che comunque caratterizza tutte le funzioni e figure della
assistenza organizzativa.
Nel nostro caso tale esigenza viene particolarmente enfatizzata dalle
caratteristiche dei progetti di miglioramento.
La sequenza di principio nella quale si inseriscono le relazioni di aiuto e
assistenza organizzativa è infatti caratterizzata da:
domanda → impegno di risorse → impegno nella relazione → autoanalisi
assistita → identificazione del miglioramento → responsabilità del
miglioramento.
L’impegno dell’organizzazione è
tanto più forte quanto più è asimmetrica la relazione di aiuto, ma tanto più
elevata è la potenzialità di trasformazione.
Nel nostro caso la relazione di aiuto fa parte del “pacchetto dell’offerta”
e, come già ricordato si accompagna addirittura ad incremento (sia pure
modestissimo) delle risorse disponibili, non a impegno “proprio”.
Si aggiunga inoltre un’altra forma di possibile incentivo: se il rotocollo
di valutazione dei dirigenti scolastici confermerà la semplificazione (a mio
parere inacettabile) di legare valutazione deòl Dirigente a progetto di
miglioramento, è evidente una ulteriore deformazione/forzatura potenziale
del rapporto di titoring o di counselling.
Espresso brutalmente: una organizzazione che si cimenti con il proprio
miglioramento e con le trasformazioni necessarie “paga” per l’aiuto che
domanda. Nel nostro caso viene “pagata”.
Ma ciò vale anche per il tutor. Nel primo caso la sua prestazione è oggetto
di una relazione e di uno scambio ed è condizionata dalla “scoperta” comune
degli indirizzi del cambiamento.
Nel nostro caso è invece etero-impostata entro una intelaiatura
predeterminata dei rapporti tra domanda e offerta.
La “figura di aiuto” fa semplicemente parte di un albo nazionale che
l’INDIRE mette a disposizione delle scuole certificando così le “competenze”
(ma quali rispetto alla panoramica sia pure sintetica qui indicata?)
Ciò significa che l’asimmetria che caratterizza tutte le relazioni di aiuto
organizzativo viene in questo caso “sagomata” in termini specifici, non
attraverso una risposta organizzata alla domanda fondamentale “Di cosa ha
bisogno e cosa si aspetta l’organizzazione scolastica?”; ma attraverso la
congruenza di un “atto amministrativo” (bando, curricolo, albo…). Magari
qualcuno farà un “ricorso”…
Anche sotto tale aspetto la relazione di tutoring si carica di specificità
che devono essere esplorate, governate, corrette, rielaborate con una
attenzione particolare. Fatta di analisi e scambio comune e di attenta
formazione e rielaborazione collettiva.
Vale la pena di affrontare positivamente tali impegni, curando in
particolare gli aspetti di socializzazione delle esperienze professionali
che i tutor matureranno in tali progetti.
Sia per perseguire al meglio i risultati attesi, sia in prospettiva.
Credo per esempio che l’INDIRE dovrebbe promuovere, insieme a strutture
locali (reti di scuole p.es, o anche semplicemente gli uffici regionali)
momenti di coordinamento, scambio confronto, contestualizzazione, tra le
“figure di aiuto” impegnate nelle diverse scuole locali.
Partiamo dalla consapevolezza che siamo all’inizio di un lungo percorso (la
costruzione del SNV) e che dunque la disponibilità di risorse umane e
professionali per tale lavoro (reclutamento, formazione, selezione..)
costituirà uno dei fattori limitanti fondamentali per raggiungere il
consolidamento di modelli e protocolli.