09.03.2016
Valutazione "esterna" delle scuole: si parte
di Franco De Anna
Come sempre una partenza preoccupa e tende a sequestrare
l’attenzione con la cura e l’ansia dei preparativi. Come accade nella
esperienza personale, spesso tali preoccupazioni rischiano di far calare
dietro l’orizzonte la domanda fondamentale: si parte, ma per dove?
Sicché non pare inutile spendere qualche parola a esplorare l’orizzonte.
Nelle prossime settimane si avvierà la nuova fase di
costruzione del Sistema Nazionale di Valutazione, con le visite che i Nuclei
Esterni di Valutazione (NEV) cominceranno ad effettuare in circa 400 scuole.
Si compie in tal modo, anche se solo in termini di “rappresentazione”, il
conseguente “sviluppo” del processo iniziato con la fase di autovalutazione
delle scuole (RAV), e con la individuazione sulla base di tale Rapporto del
progetto di miglioramento definito secondo criteri “vincolanti e omogenei”
(target triennali definiti in materia di esiti degli studenti e obbiettivi a
breve coerenti e funzionali a consentire il raggiungimento dei primi,
operando sui diversi processi di attività della scuola secondo la
classificazione ed il modello del RAV).
A monte le rilevazioni standard dei livelli di apprendimento che pur tra
molte contraddizioni si sono consolidate e che da quest’anno potranno
“restituire” alle scuole, accanto ai dati della rilevazione annuale anche la
“serie storica”. Un significativo apporto diagnostico (a patto che lo si usi
in termini di autoanalisi…)
La valutazione delle organizzazioni scolastiche attraverso
equipes di valutatori che
procedono con visite e interazione diretta sul campo è un passo essenziale e
connesso logicamente a quanto in questi anni si sta costruendo per
consolidare un Sistema Nazionale di Valutazione. L’esiguo numero di scuole
interessate da tali visite rischia di confinare il “significato pratico” di
tale passo ad un valore quasi esclusivamente esemplare.
Si tratta di un elemento critico che richiama con forza la necessità di
reperire ed organizzare risorse materiali ed umane per definire cadenze
realistiche di valutazione di sistema (una valutazione periodica per esempio
quinquennale…). E tuttavia va ricordato che il processo “strutturale”
rappresenta sostanzialmente un inedito. In passato vi furono alcune
sperimentazioni che utilizzarono lo strumento delle “visite” di “osservatori
esterni” a partire dall’esperienza del monitoraggio nella fase di avvio
della autonomia scolastica (il Monipof: interessò oltre 1000 scuole, con
terne di osservatori a composizione mista); più recentemente e direttamente
in rapporto con l’odierno sviluppo i progetti VALES e Valutazione e
Miglioramento, realizzati sempre dall’INVALSI.
Riferendosi a questi ultimi attraverso necessarie e opportune modificazioni
è stato elaborato lo “schema” (se non si vuol parlare di “modello”) che è
posto come riferimento sia per il RAV, sia per la “traccia” degli “oggetti”
e delle “griglie” di osservazione che guideranno il lavoro dei Nuclei
Esterni di Valutazione.
Insieme all’impegno ed alla sfida che tale novità
“strutturale” comporterà per molti che costituiranno le “terne” di
valutatori sul campo (quorum ego..), credo sia il momento più opportuno per
richiamare la necessità di mantenere una buona “soglia critica” su tale
lavoro, che ci consenta di verificare, sagomare, nel caso correggere, porre
rimedio a ciò che manca, integrare nell’esperienza, un “modello” e un
“protocollo” che si misura nella esperienza concreta.
Non c’è mai un modello o un protocollo di valutazione (siamo nel campo della
ricerca sociale e dunque dei suoi paradigmi legati ai sistemi complessi e
multivariabili) esaustivo e perfetto: la valutazione richiede sempre un
atteggiamento di ricerca e di verifica. Le notazioni critiche che seguono
sono proposte in questa chiave.
Le raggruppo in tre “campi” problematici.
Modelli, strumenti, misure standard e realtà e culture
organizzative
La valutazione in interazione
ravvicinata con realtà complesse come l’organizzazione di una scuola
autonoma, e contemporaneamente protesa a esitare (anche..) diagnosi
sistemiche, e dunque attenta a riferimenti standard, ripropone una questione
apparentemente “filosofica” ma in realtà significativamente influente sulle
competenze dei valutatori, sul loro atteggiamento, sulla loro
interpretazione di ruolo. Dunque sulla loro formazione e necessaria
supervisione.
La questione è rappresentabile attraverso una coppia di opposizione sia
concettuale che di approcci scientifici tra paradigma nomotetico e paradigma
idiografico. ([1])
Confesso di “averla buttata” sul filosofico nella
discussione sviluppata nel recente seminario di formazione per i valutatori
esterni organizzato dall’INVALSI, per evitare di essere frainteso come
“oppositore fastidioso” del modello proposto dall’Istituto (mi capita
spesso…). Mi è valso una raccolta silenziosa di sguardi interrogativi…
Si tratta in realtà, come accede sempre nella ricerca sociale, di declinare
due sguardi e di combinarli per una visione che restituisca la profondità
della realtà. Uno sguardo è diretto a rilevare regole, costanti, permanenze,
standard comuni; l’altro sguardo è diretto a rilevare la “unicità”
dell’oggetto osservato, la sua irripetibilità e singolarità.
Vale per gli oggetti della ricerca sociale, per le organizzazioni complesse,
ciò che vale per gli organismi viventi: la costanza del codice garantisce la
riproduzione della specie e il mantenimento delle sue caratteristiche
(l’appartenenza e pertinenza al sistema di istruzione, nel nostro caso). E’
questo il fondamento “nomotetico”.
La variabilità del codice costituisce invece il potenziale evolutivo. Dunque
l’attenzione idiografica alle differenze individuali delle organizzazioni è
di fondamentale importanza sia per la comprensione della loro specifica
“cultura organizzativa” sia per il potenziale innovativo evolutivo che
ognuna di esse declina.
Un elemento, quest’ultimo, di fondamentale importanza per i caratteri del
SNV, se l’attenzione rivolta alla “valutazione per il miglioramento” non è
(come a volte a me sembra che sia, specie in taluni interpreti) un puro
richiamo “consolatorio” e cosmetico rispetto ai fantasmi che la valutazione
suscita.
La pratica, l’allenamento, la sapienza di tale doppio sguardo costituiscono,
a mio parere, il cuore dell’impegno professionale, e dunque di formazione
clinica e di supervisione, per la costituzione di un “corpo” (e di un’anima…)
di osservatori e valutatori. ([2])
Sotto tale profilo, mentre
comprendo la necessità dell’INVALSI di consolidare in questa fase iniziale
gli strumenti di osservazione e misura con prospettiva sistemica (griglie,
indicatori, report standardizzati…), credo sia necessario declinare anche la
preoccupazione del consolidamento del “doppio sguardo” attraverso la
formazione di osservatori e valutatori, che deve essere ripetuta, alimentata
da scouting attento e selettivo,
supportata da indispensabile supervisione.
La composizione “mista” dei NEV (un ispettore, un valutatore proveniente dal
mondo della scuola, profilo A; un valutatore esterno alla scuola, profilo B)
che riprende l’esperienza positiva di VALES e Valutazione e Miglioramento
(una coppia di valutatori A e B), è un elemento di grande interesse e
valore, proprio per le ragioni su indicate. Il profilo B nelle
sperimentazioni precedenti, riequilibrava le tentazioni “nomotetiche” del
profilo A, che a sua volta manteneva nella equipe di valutazione,
l’approccio alla significatività “sistemica”.
Oggi, con l’aggiunta di un ispettore, è inutile nascondersi che vi sia lo
spostamento di equilibrio nel team di osservazione e valutazione.
Giustamente si tratta di un tentativo di consolidamento (e di riscrittura..)
delle funzioni del corpo ispettivo ( e l’anima?) in vista del consolidamento
del Sistema di Valutazione. Ma, proprio per ciò, si tratta di essere
avvertiti di tale spostamento di equilibrio e di porvi cura.
Se posso permettermi una critica sintetica: moderare “l’assiomatismo” dei
protocolli, delle griglie, delle schede che oggi sembra sequestrare
l’attenzione dell’INVALSI (se ne comprendono le ragioni…) e cimentarsi con
la “clinica della valutazione” nella formazione dei valutatori.
([3])
I limiti del “modello” RAV alla prova con la realtà.
La valutazione esterna e l’osservazione diretta devono
cimentarsi non solo con la problematica della interazione
osservato/osservatore cui si accennava più sopra, ma anche con i limiti
intrinseci del “modello”, del “protocollo” e degli strumenti.
Del resto un “modello” è, per definizione, una rappresentazione approssimata
della realtà ricostruita attraverso le variabili considerate influenti e
determinanti, ed escludendone altre. Nel nostro caso si tratta del Rapporto
di Autovalutazione (RAV) che costituisce la “traccia” della rilevazione “a
distanza”, ma anche il materiale di partenza e il riferimento essenziale per
l’osservazione diretta.
Il modello RAV, come tutti i modelli, ha alcune “mancanze” rispetto alla
realtà che vorrebbe rappresentare. Le riprendo di seguito, proprio perché
tali considerazioni critiche devono costituire altrettante “avvertenze” per
chi si cimenta con l’interazione diretta con la realtà.
Con il pensiero e con lo sguardo si tenga dunque conto che:
1.
Il RAV corrisponde ad un
modello di autovalutazione “indotto”. Molte scuole si sono cimentate negli
anni con modelli e protocolli di autovalutazione scelti e rielaborati
autonomamente, anche con supporto “amico”, e hanno acquisito sensibilità
autoanalitica. Si tratta di una minoranza, ovviamente. Rispetto a tale
sensibilità, il RAV è un protocollo etero determinato. Non poteva che essere
così dovendo estendere a livello sistemico la pratica dell’autovalutazione.
Ma ciò deve corrispondere ad una attenzione particolare che va posta nel
proseguo dell’esperienza: occorre disporre di modalità, strumenti (la
formazione innanzi tutto) capaci di scongiurare il pericolo di una lettura
dell’autovalutazione come “adempimento formale”, tanto più presente quanto
più la scuola è lontana da esperienze autonome di tipo auto valutativo. (La
tensione all’adempimento da parte dei membri dei NIV è più che percepibile
nei momenti di formazione dei nuclei stessi, almeno quanto quella verso la
comprensione effettiva dei protocolli e degli strumenti)
Tale attenzione deve ovviamente costituire una avvertenza degli osservatori
e dei valutatori che, visitando le scuole per la valutazione esterna,
troveranno esiti e documenti auto valutativi come materiale essenziale di
riferimento e di partenza nell’approccio con l’organizzazione scolastica.
Il “dichiarato” di tale documentazione ha evidentemente valore sintomatico e
diagnostico da interpretare rispetto ad autentici processi autoanalitici che
dovrebbero costituire l’essenza dell’autovalutazione. Ci vuole “occhio
clinico” e non solo opportune “griglie” da riempire.
2.
Dal RAV nella sua prima
edizione sono esclusi i contributi che provengono da strumenti di
rilevazione di opinioni, percezioni, attese degli interlocutori fondamentali
della vita della scuola come i docenti, gli studenti, le famiglie, gli
stakeholders della comunità
locale. Per la stesura del RAV non erano disponibili strumenti come i
questionari finalizzati che invece avevano costituito materiale diagnostico
importante nelle sperimentazioni VALES e Valutazione e Miglioramento.
O meglio: non erano a disposizione strumenti di quel tipo nel modello
nazionale. Le scuole potevano predisporre tali strumenti autonomamente. (E
alcune con esperienze auto valutative precedenti lo hanno fatto
ottimamente).
Nella valutazione esterna la rilevazione delle variabili relative a opinioni
atteggiamenti, attese, ecc… è affidata ai colloqui e alle interviste tra il
NEV e gli interlocutori. E’ evidente che comunque queste ultime mancheranno
di un “gancio” importante costituito da rilevazioni più allargate e
codificate realizzate attraverso questionari. Occorrerà tenerne conto e
usare con destrezza sintomatica il protocollo di interviste e colloqui.
3.
Nel modello
aree/processi che costituisce la struttura del RAV e che alimenta il
protocollo di osservazione e valutazione esterna, è sostanzialmente assente
una area di indagine e di esame relativo ai caratteri della leadership e
della direzione della scuola. Le poche tracce si riferiscono a elementi di
gestione generale (incarichi, uso del FIS, Funzioni strumentali, ecc....)
del tutto insufficienti a descrivere tipologie e caratteri della leadership
e della Direzione.
Quasi inutile ricordare che, nell’osservazione di una organizzazione, si
tratta di un’area essenziale di raccolta di informazioni, osservazioni,
sintomi. Tutti sappiamo che a parità di condizioni “strutturali” spesso il
carattere della leadership determina la qualità e la adeguatezza delle
prestazioni e dei risultati di una organizzazione. E la scuola non fa
differenza.
Che il NEV non abbia in dotazione strumenti standard per tale osservazione,
non può significare che trascuri tali variabili. Dovrà sostituire la
mancanza di strumenti standard con la propria sensibilità, appunto, “idiografica…”
e collocare sensatamente gli esiti dell’applicazione di tale sensibilità
entro il profilo valutativo definito per la scuola valutata. ([4])
4.
Ho più volte ricordato
in diverse occasioni di dibattito politico e scientifico, che nei diversi
“modelli” e protocolli di valutazione delle organizzazioni scolastiche messi
a punto dall’INVALSI l’attenzione alla dimensione economica è a mio parere
non del tutto adeguatamente approfondita.
Non a sufficienza per caratterizzare il profilo operativo, gestionale, di
efficacia e produttività della scuola in termini di coerenza funzionale tra
il complesso delle scelte didattiche e formative, relative al complesso dei
processi di apprendimento e insegnamento, e la gestione delle risorse
economiche, di diversa fonte e finalizzazione. ([5])
Si è compiuto un grande sforzo per ricondurre a
declaratorie standardizzabili e a indicatori significativi processi
operativi della scuola come la progettazione didattica, le iniziative di
orientamento, la misura degli esiti dell’apprendimento, ecc… di rilevante
contenuto qualitativo. Paradossalmente processi come quelli della gestione
economica che meglio si prestano alla classificazione quantitativa non sono
oggetto di approfondimento analogo.
Sono convinto, per esempio, che una assennata, appropriata e mirata,
“indicizzazione” dei bilanci delle scuole potrebbe fornire un tratto
essenziale per una rappresentazione più completa della operatività
dell’organizzazione scolastica, della coerenza e funzionalità tra scelte
economiche e priorità “di processo e prodotto”; tra composizione effettiva
dei costi e qualità e quantità di “servizi formativi” offerti. Insomma una
rappresentazione più completa e realistica della organizzazione osservata e
valutata. I dati di “scuole in chiaro” vanno comunque disaggregati e
indicizzati per coglierne il potenziale di significato.
So che la responsabilità di tale insufficienza chiama in causa
prioritariamente la disponibilità del “finanziatore” principale (MIUR) e la
sua apertura non tanto e non solo alla trasparenza e pubblicità interpretate
oggi in Scuole in Chiaro (mancherebbe..), ma alla logica della
accountability della quale le
prime sono solo condizioni necessarie, ma non sufficienti.
Se davvero la Rendicontazione Sociale sarà la tappa finale del processo di
costruzione del Sistema Nazionale di Valutazione, meglio sarebbe porvi
attenzione per tempo e in modo significativo.
L’elenco precedente potrebbe continuare. Ma mi pare sia
evidente l’istanza comune: attenzione sempre a considerare che report,
griglie, schede, batterie di indicatori, sono strumenti di essenziale
utilità, ma non sono la realtà e neppure sono in grado di contenerla e
descriverla interamente.
Una prospettiva
(?!) della valutazione esterna delle scuola
Ripropongo qualche richiamo in relazione al significato ed
al valore “sistemico” della costruzione di un Sistema Nazionale di
Valutazione che è in corso d’opera, agganciando l’ultimo argomento del
paragrafo precedente.
In sintesi estrema: l’impegno scientifico, professionale, organizzativo e
economico che la costruzione di tale sistema comporta, sono socialmente,
culturalmente e politicamente giustificabili se finalizzati, in ultima
analisi, a migliorare la razionalità decisoria dei diversi decisori che
operano nel sistema. Dal decisore politico e amministrativo a quello che
porta la responsabilità della “produzione finale” in rapporto ai cittadini
delle attività e servizi che corrispondono alla fruizione concreta del loro
diritto all’istruzione.(Le scuole autonome)
La necessità di un sistema di valutazione strutturato e comune è in
particolare vincolate nei sistemi di
governance, di welfare territorializzato a titolarità mista, con
compiti, responsabilità e funzioni distribuiti su più soggetti: stando alla
nostra Costituzione, per esempio, tali sono la Sanità, l’Istruzione,
l’Assistenza (art. 117 Cost). In questi casi la valutazione ha due aspetti
fondamentali: supportare l’esigenza di erogare Livelli Essenziali di
Prestazione (LEP) corrispondenti a diritti sociali “uguali” tra i cittadini,
e supportare di conseguenza la razionalità della distribuzione delle risorse
pubbliche necessarie, provenienti dalla fiscalità generale. (fabbisogni e
costi standard).
I LEP (compito definitorio dello
Stato) contemplano dunque due aspetti definitori: da un lato
l’individuazione di “diritti” sociali; dall’altro appunto il “contenuto” di
“prestazioni”.
Cioè di valutare strumenti, lavoro, e organizzazione (la combinazione dei
primi due fattori) necessari a “produrre” i servizi, e la loro declinazione
in termini di costi e di qualità erogata.
La questione fondamentale della decisione relativa alla distribuzione equa e
razionale delle risorse pubbliche, è dunque legata alla fondamentale
disponibilità di un repertorio di LEP, come base portante (sia pure non
esauriente) della politica di spesa pubblica. Ciò vale anche per
l’istruzione, anche se, ovviamente, la definizione di LEP trova un campo
specifico e non riducibile ad altre esperienze. La domanda cui rispondere è:
quali i “servizi” essenziali e comuni, eguali dall’Alpi alla Sicilia, al
diritto di istruzione?
Ne ho scritto molto tempo fa ma la questione è riemersa perché recentemente
sono stato invitato ad una audizione presso la Commissione Cultura della
Camera, in occasione di una mozione riguardante proprio le politiche di
spesa in relazione ai servizi connessi all’istruzione. L’invito nasceva
proprio dalla lettura di quei miei “antichi” contributi. (Si veda per
esempio
“Federalismo
e autonomia scolastica. Gli sviluppi”
reperibile on line in
http://storico.cidi.it/edicola/DeAnna16set08.pdf).
Nel confronto in Commissione della Camera è emerso il nesso tra impegno di
ricerca sul campo necessario a pervenire ad un adeguato repertorio di LEP
(la misura delle qualità delle prestazioni, il rapporto tra esse e i costi,
la definizione di costi standard per prestazione richiedono l’esplorazione
ravvicinata nei luoghi di “produzione”) e le attività di valutazione a
livello sistemico. (a chi interessa il video della audizione è disponibile
nel sito della Camera
http://webtv.camera.it/evento/9063
)
L’inizio della esperienza della valutazione esterna potrebbe essere
l’occasione per organizzare un sistema di comparazione allargata delle
esperienze “produttive” relative, declinandone costi e qualità. Da qui il
raccordo con le osservazioni relative alla attenzione della pertinente
indicizzazione dei bilanci delle scuole del capitolo precedente.
Senza tale lavoro di ricerca il calcolo dei fabbisogni mantiene livelli di
arbitrarietà che confliggono con l’istanza di equità e controllo di spesa.
(La storia della spending review insegna: si taglia oggi con la stessa
incongruenza con la quale ieri si è speso..)
Un lavoro in prospettiva per l’INVALSI? Non solo. La ricerca valutativa è un
compito che appartiene all’Istituto, ma in tale prospettiva esso dovrebbe
consolidare la sua funzione di “tecnostruttura” al servizio dell’intero
sistema di governance e superare
la mortificante (a mio parere e dal punto di vista dell’autonomia della
ricerca) declinazione di “ente strumentale del MIUR”. I referenti
interessati alla decisione sui trasferimenti di spesa pubblica, e
interessati alla valutazione del servizio scolastico, sono tutti i titolari
del governo misto del welfare territorializzato: le Regioni, il sistema
delle autonomie locali, le stesse autonomie scolastiche.
Aggiungo che per affrontare un orizzonte di ricerca come quello qui
delineato (valutazione e declinazione dei costi standard e dei trasferimenti
di spesa) sarebbe essenziale la collaborazione tra soggetti di ricerca.
Per esempio (perché no?) tra INVALSI e SOSE, la società creata dal Ministero
delle Finanze per la ricerca dei fabbisogni e dei costi standard per il
sistema delle autonomie.
Forse un modo per pensare al futuro del sistema della ricerca educativa?
[1]
Per i riferimenti rimando a Windelband o a
Rickert. Mi limito qui solo a considerare
come in generale si sconti, sul piano della
ricerca sociale, un retaggio di
colonizzazione della filosofia e del
pensiero anglosassone. Triste condizione per
una cultura che, su altro fronte, sconta
ancora la subordinazione crociana e
gentiliana. La doppia stretta minaccia
asfissia culturale soprattutto nel mondo che
ha riferimenti inevitabili con la Pubblica
Istruzione e con la P. A.
Tangenziale a tale problematica vedi anche “Il
resistibile fascino della ricerca educativa”
in
http://www.pavonerisorse.it/scuolaoggi/ricerca_educativa.htm
[2]
Fu questa una delle principali
preoccupazioni che, nello sviluppo
dell’esperienza citata del MONIPOF, produsse
una intensa e ripetuta formazione degli
osservatori, oltre che una “sagomatura”
adeguata dei protocolli di osservazione. Si
veda in proposito
Franco De Anna, a cura di “Monitoraggio
autonomia: monitoraggio, valutazione,
consulenza nella scuola che cambia”
Franco Angeli Editore, Milano, 2001.
[3]Vedi
contributi
“La
pazienza e la virtù”
in
http://www.pavonerisorse.it/buonascuola/autovalutazione/pazienza.htm
e anche “Le
prossime tappe del Sistema Nazionale di
Valutazione: i nodi e i pettini.” In
http://www.pavonerisorse.it/buonascuola/autovalutazione/nodi_pettini.htm
[4]
In relazione all’uso di strumentazioni
adeguate per l’osservazione di alcune
fenomenologie che animano la cultura
organizzativa (percezioni, attese,
interpretazioni di ruolo ecc..) segnalo
oltre al protocollo MONIPOF già citato in
nota precedente, l’esperienza riassunta in
Franco De Anna, a cura
di
“Ciclicamente, percezioni, opinioni,
pensieri di docenti sulla riforma dei cicli
e dei curricoli”
Franco Angeli Editore, Milano, 2001
[5]
Per esempio un vecchio articolo “La
valutazione delle scuole e la dimensione
economica dell’autonomia.”
in
http://www.pavonerisorse.it/riforma/valutazione/dimensione_economica.htm