Ernesto Galli
della Loggia, le bocciature e la cassa integrazione
Con l’articolo Le scuole
italiane e il tabu delle bocciature (Corriere della sera, 29
aprile 2017) Ernesto Galli della Loggia ha collegato la scarsa
serietà della scuola italiana con le poche bocciature e la non
selettività dell’esame di stato (l’ex esame di maturità). La
superficialità con cui chi non fa parte del mondo della scuola
affronta i problemi di scuola molto spesso fa scambiare delle
idee generali e confuse per proposte rigeneratrici.
L’esame di stato conclusivo non è selettivo, ma non lo è neppure
l’esame di laurea con la discussione della tesi. Perché dovrebbe
essere selettivo un esame che sancisce la fine di un percorso?
L’Università ha mai bocciato un candidato che discuteva la tesi
di laurea? Quello che si può dire è invece che l’esame di stato
è molto difficile, per nulla selettivo e molto inutile. Inutile
non perché non boccia, ma perché altera le scelte degli studenti
prima dell’ingresso all’università o nel mondo del lavoro
costringendoli ad una gigantesca prova tuttologica nel momento
in cui di certo non si è tuttologi (19 o 20 anni).
La questione delle “poche” bocciature italiane merita poi un
punto esclamativo. Poiché sia l’Ocse, sia l’Unione Europea
certificano che siamo uno dei Paesi dell’Ocse col più alto tasso
di dispersione e certamente il Paese dell’Unione Europea tra i
più sviluppati con il più alto tasso di dispersione. O questi
organismi mentono insieme ai dati che forniscono oppure si
boccia troppo e non troppo poco. Con il termine dispersione si
intendono gli abbandoni, la non frequenze e appunto le
bocciature. Firmiamo protocolli (Lisbona 2000, Eu 2020) in cui
ci impegniamo a ridurre drasticamente la dispersione, ma poi ci
troviamo ad inneggiare a chi invoca maggiori bocciature.
Il sistema italiano boccia e non sa cosa fare dei bocciati, che
devono ripetere le stesse cose (sia quelle che sanno sia quelle
che non sanno) senza che vi sia un sistema organizzato di
recupero (magari per livelli, non per anni). Ogni bocciatura ci
costa dai 15.000 ai 30.000 euro l’anno (dati Ocse) e questo
conto non solo non ci spaventa, ma quasi ci convince che più
soldi buttiamo più siamo seri e rigorosi.
Un piccolo dubbio però insorge sui 6.000 dirigenti non valutati
e sugli 800.000 insegnanti non valutati che valutano gli
studenti e di fatto sanciscono la più grande dispersione del
mondo progredito. Forse qualcosa non torna nei conti e nelle
ideologie. Siamo talmente ossessionati da ciò che sta in basso
che non riusciamo ad alzare la testa. L’importante è bocciare,
non fare in modo che i migliori abbiamo quello che gli spetta
(un lavoro a tempo indeterminato a 23 anni, ad esempio). Così
non potendo dare ai migliori la soddisfazione di veder premiati
i loro sforzi riteniamo che i migliori possano essere contenti
vedendo i molti bocciati. La promozione non è un valore in sé,
ma vale solo se ci sono i bocciati.
Questo ridicolo modo di pensare poggia le basi su due grandi
pilastri del sistema scolastico: il valore legale del titolo di
studio (è più importante il “pezzo di carta” del come e del dove
quel titolo è stato acquisito) e le classi di concorso,
attraverso cui si insegna agli studenti non ciò di cui
abbisognano, ma quello che sta scritto in antichi programmi che
stanno alla base delle abilitazioni dei docenti, che neppure per
un attimo nel loro corso di studi hanno dovuto studiare come si
valuta l’apprendimento degli studenti.
In Italia si boccia troppo fondamentalmente perché le scale di
valutazione sono soggettive e in virtù della libertà di
insegnamento ognuno degli 800.000 scrive i numeri che vuole in
riferimento alle prestazioni che interessano a lui. E infatti
l’ostilità verso l’Invalsi viene dal mondo della scuola, non
dall’esterno.
Le bocciature sono come la cassa integrazione: ti faccio ripetere anche se non so se serve, ti tengo in cassa integrazione anche se non faccio niente per risolvere il problema che ti ha portato lì. Gli eccessi sono il quasi milione di ragazzi dal 17 ai 25 anni che non fa niente (non studia e non lavora) e i 7 anni di cassa integrazione concessi ai lavoratori Alitalia per traghettarli da un fallimento all’altro. Non avendo successo l’Italia si avventura a contare i bocciati e dato che giudica che sono troppo pochi ne invoca altri. Incurante – come Galli della Loggia – di quello che il mondo dice di noi e delle strade che ci indica di percorrere.