(23.01.2017)
Alternanza scuola
lavoro. Esame di Stato. Università. Adesso serve il progetto
Stefano Stefanel
I recenti sviluppi della legge 107 del 13 luglio 2015
hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica alcune questioni scolastiche
aperte, che però si stanno confondendo nel confuso dibattito che ormai si svolge
senza soluzione di continuità tra gli “esperti” di scuola, sui social e
addirittura sui quotidiani una volta reticenti a dedicare ampio spazio alle
scuole a meno che non si trattasse di notizie sul bullismo, sul crollo di
soffitti, su atti riprovevoli di studenti e insegnanti. E’ evidente che qualcosa
si sta muovendo nel mondo della scuola e che la legge 107 ha aperto spazi che
erano chiusi, ma attendevano soltanto di essere aperti. Tutto ciò però si sta
sviluppando con tempistiche inattese e fortemente accelerate per quella che era
la meccanica del riformismo e del contro riformismo scolastico italiano. La
scuola italiana abituata a veder lanciare riforme e poi a dare troppo tempo alle
stesse per essere sperimentate o attuate in un convulso succedersi e
accavallarsi di norme di vario genere accolte quasi sempre con resistenze da
parte del mondo della scuola. D’altronde in un “corpo” di un milione di
lavoratori non è difficile trovarne diecimila soggetti sempre contrari a
qualcosa.
ALTERNANZA SCUOLA LAVORO
Le modalità e la velocità con cui le scuole
secondarie hanno sposato l’alternanza scuola-lavoro riformata dalla legge 107 e
introdotta anche nei Licei mostra non tanto un adeguamento “asburgico” a norme
cogenti, quanto piuttosto la necessità di far uscire la scuola superiore
italiana dai suoi riti autoreferenziali. Improvvisamente è diventato chiaro a
tutti che l’apprendimento è una questione troppo complessa per lasciarla solo
all’erudizione disciplinare. Sta cioè prendendo piede nelle scuole superiori
l’idea che è necessario acquisire metodologie di riconoscimento e valutazione di
tutto l’apprendimento che il giovane studente sta sviluppando.
Infatti l'
apprendimento può essere:
·
formale
quando avviene in un contesto scolastico o
formativo organizzato e strutturato, è esplicitamente pensato e progettato come
apprendimento e conduce ad una qualche forma di certificazione o valutazione;
·
non formale
quando è connesso ad attività pianificate ma non
esplicitamente progettate come apprendimento (quello che non è erogato da una
istituzione formativa e non sfocia normalmente in una certificazione, ad esempio
una giornata di approfondimento su un problema, una conferenza, una visita di
istruzione,... );
·
informale
quando deriva dell’esperienza personale
e dalle attività della vita quotidiana legate alla famiglia, al tempo libero,
etc; non è organizzato o strutturato e non conduce alla certificazione (ad
esempio un’appartenenza associativa, le attività sportive o musicali, gli
interessi personali,...).
Curioso è notare come
il manuale per i Fondi PON (Per la scuola
competente e gli ambienti di apprendimento – Programmazione 2014-2020,
pubblicato dal Miur nel 2015) contenesse già questa distinzione, ma il suo
passaggio nella scuola italiana non era per nulla scontato e difficilmente la
scuola italiana poteva essere scossa da un
Manuale per finanziare un progetto
comunitario. Ci sta pensando l’alternanza scuola-lavoro nella sua nuova
definizione e con la sua nuova prospettiva a correggere le storture progettuali
degli Istituti Tecnici e Professionali e questo avviene anche attraverso il
nuovo ingresso nell’alternanza scuola lavoro dei Licei per la prima volta
realmente catapultati dentro un ambito non teorico. Chi era ed è contrario alla
legge 107 si aspettava che su questo punto (inserito tra quelli per cui erano
state chieste le firme per il referendum) le scuole italiane insorgessero. E
invece le scuole italiane hanno subito iniziato a progettare e stanno mostrando
un grande senso dell’innovazione e della ricerca. Anche il richiamo alla
coerenza valutativa tra alternanza scuola-lavoro e valutazione dello studente ha
messo in moto un tentativo di raccordo tra la tradizionalità della valutazione
degli apprendimenti e la raccolta di dati utili ad accompagnare la crescita
dello studente Ci vorrà ancora tempo, ma l’impianto delle 200 ore per i Licei e
delle 400 ore per gli Istituti Tecnici e Professionali sta mettendo in moto un
enorme universo progettuale che influenzerà e non poco la scuola italiana, per
nulla protestataria su questo punto.
ESAME DI STATO
CONCLUSIVO
L’arretratezza congenita del sistema scolastico italiano si vede proprio nel suo
esame di stato. E’ una prova molto difficile e per nulla selettiva, che
curiosamente nessuno mette in relazione con gli insuccessi all’università o nel
mondo del lavoro. L’idea di paralizzare uno studente per almeno tre anni con lo
spauracchio di una prova finale nozionistica, per nulla selettiva nel suo esito
principale (promozione), ma molto selettiva nel suo esito secondario (voti)
significa non tener conto del contesto internazionale e della necessità che
l’uscita dello studente dal ciclo dell’istruzione per entrare nell’università o
nel mondo del lavoro sia accompagnata e non ostacolata. L’esame di stato
conclusivo è la certificazione sulla “tuttologia” di un soggetto che per sua
natura evolutiva non è più tuttologo. L’accanirsi su questo esame significa poi
non curare l’uscita dalla scuola di quel 60% di studenti che ha comunque delle
difficoltà e che non riesce a presidiare tutti i vari specialismi che la
bulimica scuola italiana accalca nei suoi curricoli.
Qualunque metodo di valutazione si preveda porterà sempre ad un’altissima
percentuale di licenziati (adesso è del 98% circa e il 90% del 2% di bocciati
sono privatisti) e meno male che è così. Bocciare diciannovenni o ventenni è un
ottimo modo per arretrare ancora, mettendo i più deboli in una posizione di
rincalzo all’avvio del loro percorso post scolastico. L’esame non è selettivo,
ma crea disparità perché comunque i più bravi non hanno poi difficoltà
all’università e si laureano presto (cosa divenuta fondamantale soprattutto
nelle materie scientifiche). Così il soggetto debole che già esce un anno dopo
rispetto ai suoi coetanei europei se la prova fosse selettiva rischierebbe di
uscire anche un anno dopo gli studenti più forti, per poi confluire nello stesso
mondo delle professioni che richiede a gran voce precocità: una follia. Poi ci
si meraviglia che i giovani che non studiano e non lavorano dai 17 ai 25 anni in
Italia siano un numero minaccioso.
Il
triennio dovrebbe diventare “nordico” (Finlandia e Svezia) con lo studente che
sceglie il suo percorso e raggiunge diversi tipi di diploma e attraverso quel
diploma poi sceglie l’università o il lavoro. Ad esempio nel Liceo ci potrebbero
essere il Diploma “completo” (tutte le materie che vengono esaminate nell’esame)
oppure il Diploma “di indirizzo” (scientifico, umanistico, linguistico, ecc.)
che però permette l’accesso solo ad alcune facoltà. Rendere flessibile il
sistema significa orientare lo studente non costringendolo ad essere tuttologo
in un’età in cui ormai non lo è più nessuno. C’è un rimpianto di scuola primaria
nel nostro esame di stato, con lo studente quasi ventenne che parla di tutto
come quando aveva sette anni. Un puro non senso.
Trovo
inutile discutere se è meglio che lo studente venga ammesso con tutti i voti
positivi oppure con la media positiva, perché entrambe le posizioni scambiano il
mezzo con il fine. Il concetto di esame di stato tuttologico per tutti, di prova
finale difficilissima ma non selettiva, di prevalenza di questo esame sulla
scelta e il percorso futuro sta fuori dalle necessità italiane del momento.
Inoltre il dibattito odierno fa emergere un incomprensibile desiderio di
bocciare persone adulte che hanno solo bisogno di trovare la loro strada. Anche
perché l’esame di stato dovrebbe aprire un discorso su come si valuta nelle
scuole e perché – ad esempio – nell’esame di stato fioccano i 14 e i 15, mentre
i 9 e i 10 durante l’anno non sono poi così frequenti. La valutazione degli
apprendimenti all’italiana è uno dei grandi enigmi irrisolti: non sta in piedi,
produce dispersione, ma nessuno la discute veramente.Tra l’altro l’Italia non ha
un piano di recupero reale e lo studente bocciato ripete le stesse cose già
fatte l’anno prima, nella speranza che le faccia meglio, il che spesso è una
pura assurdità. Produrre dispersione a 14 e 15 anni è già una brutta cosa,
soprattutto se non si hanno le idee chiare su come si recupera, diventa una pura
follia se lo si fa coi ventenni.
Il
raccordo tra alternanza scuola lavoro, revisione dei curricoli disciplinari,
valutazione che integra il non formale e l’informale con il formale mostra la
necessità che il Piano Nazionale di Formazione del personale docente affronti e
in fretta un progetto per i nostri studenti del secondo ciclo messi a contatto
con le sfide della società della conoscenza, ma oggi attraverso una battaglia di
saperi che si vogliono sopraffare a vicenda e che richiedono tuttologie in
funzione dell’esame di stato, che – così com’è organizzato – sta tra l’inutile e
il dannoso, perché non aggiunge nulla a chi è già bravo o molto bravo e
costringe ad una faticosa preparazione chi non riesce a seguire tutto ed è così
costretto a trascurare la scelta universitaria o l’esplorazione preventiva del
mondo del lavoro.
Io
credo serva un sistema di valutazione per crediti disciplinari che si connetta a
quello dei crediti per l’esame finale, in modo che venga tolta al docente di
classe almeno una parte della sua univocità valutativa, che troppo spesso si
trasforma nel valutare l’adeguamento dello studente a ciò che ha detto il
docente stesso. Mentre invece quello di cui c’è bisogno oggi è che gli studenti
si colleghino direttamente agli statuti scientifici delle discipline, non
necessariamente mediati da una manualistica di parte.
L’UNIVERSITA’
Questa modalità “nordica” prevede un aumento dell’autonomia dello studente che
costruisce insieme ai due soggetti deputati alla formazione e all’apprenduimento
il proprio percorso. In questo scenario l’alternanza scuola lavoro costruisce in
terza e in quarta lo scenario entro cui avviene la scelta. Diventando in quinta
il punto più alto del progetto per gli Istituti Tecnici e Professionali e
l’esperienza attraverso cui lo studente liceale scopre che specialismo vuol
affrontare all’università. Delle lamentele dell’università sulla poca
preparazione di molti studenti non se ne può più, come non se ne può più dei
corsi fatti per soddisfare le presunte competenze dei docenti e non le reali
esigenze di una formazione superiore.
Quello che è certo è che non si può restare fermi
all’idea che contro la dispersione scolastica e universitaria le armi da usare
siano i brutti voti e le bocciature. Va rivisto l’impianto generale e
strutturale attraverso un progetto realistico e non nostalgico. Così la notte
prima degli esami magari si dorme.