(10.11.2014)
Una
priorità: contrastare la mala scuola
di Antonio Valentino
La buona scuola nel documento governativo
Cos’è la buona scuola nel documento governativo, oggetto di dibattito in queste settimane? A leggere i titoli delle varie sezioni e le parole chiave, è la scuola
- senza precari
- con un organico funzionale
- con docenti più motivati a) perché vedono riconosciuto il loro lavoro anche con incrementi stipendiali; b) perché,in virtù di tali riconoscimenti, possono aspirare a incarichi più importanti (progressione economica e di carriera).
- con docenti più e meglio formati e più capaci di protagonismo
- con insegnamenti e attività più accattivanti e formativi per i giovani
- con un ds timoniere, più che capo
- con zero molestie burocratiche.
Detta così, nessuno può dire che proposte /
piste di lavoro, ben presenti nel documento, non siano le mosse più importanti
per costruire la buona scuola.
Ma se si va a guardare dentro i ragionamenti e le proposte, le cose si
complicano a tal punto da creare, dentro le categorie e componenti interessate,
una qualche diffidenza e, in non pochi casi, indifferenza e ostilità.
Col rischio di non farne niente e di continuare a vivacchiare in questo pantano.
Parlo ovviamente del quadro generale e dei docenti in generale.
Perché va anche detto che, per fortuna, c’è una scuola militante, che,
sperimentando e costruendo percorsi innovativi senza arrendersi, fa sì che il
nostro sistema non collassi.
Ma l’attuale situazione può reggere?
Questa è la ragione per cui snobbare
o contrapporsi frontalmente a questo documento e alle opportunità che offre
penso sia sbagliato.
Perché comunque qualcosa accadrà.
D’altra parte il dibattito abbastanza vivace che si è sviluppato in queste
ultime settimane ha fatto registrare contributi che puntano a
correggere sensatamente
alcune distorsioni che nel documento non mancano e a chiarire in termini
propositivi aspetti importanti che o sono poco chiari o sono solo accennati.
Buona scuola e mala scuola
Quello che in questo contributo mi preme
riprendere e approfondire non riguarda comunque tanto le singole scelte.
Qui, il cuore del ragionamento è: la buona scuola non parte se non si mette
contestualmente in crisi la mala scuola (quella dell’individualismp e della
separatezza, la cui mentalità e le cui pratiche sono in molte situazioni ancora
prevalenti) con scelte che indichino, sulle varie questioni affrontate nel
documento, chiare direzioni di marcia che valgano a contrastarla.
Cosa si vuol dire? Essenzialmente
questo: che la Buona scuola significa certamente stabilizzazione dei precari, un
sistema premiante che rimotivi gli insegnanti, una formazione obbligatoria ecc..
Ma buona scuola è anche - e per alcuni aspetti soprattutto - scuola
• in cui Cdc, gruppi di dipartimento o di progetto, commissioni di lavoro non sono spazi da cui – ancora adesso - si scappa appena possibile, perché vissuti come non mirati e inconcludenti;
• in cui la formazione (quando c'è) non consiste nella partecipazione più o meno attiva a percorsi formativi che non hanno ricadute sulla qualità del fare scuola; o che non si alimentano di riflessione su esperienze proprie e altrui….;
• in cui la governance interna non è questione esclusiva del ds, perché non considera gli insegnanti impiegati dipendenti e coltiva una diversa idea di leadership.
In altri termini la buona
scuola parte male se, in primo luogo nel comportamento docente e nella sua
cultura, non si mettono in discussione e in crisi l’individualismo, la
separatezza, l’autoreferenzialità e l’autosufficienza, la responsabilità come
questione personale.
Non a parole, ma individuando invece dispositivi e strategie che abbiano come
principi ispiratori quelli di cooperazione e squadra, e di
sviluppo professionale come crescita collettiva (oltre che, ovviamente,
personale). E avendo a riferimento un’idea di scuola come comunità di pratiche e
di apprendimento; meglio, come rete di unità operative, in cui ci confronta, si
progetta, ma anche si ricerca e si fa autoformazione.
Siamo lontanissimi da ipotesi di questo tipo, che in tanti ritengono strategie
fondamentali per superare l’attuale stato di stallo?
Sì, se gli indicatori rinviano alla cultura professionale e al modo di lavorare
che sottendono queste strategie innovative; no, se si considera che le comunità
di pratiche (le Unità operative di cui parlava Romei) potrebbero ben
svilupparsi dentro i nostri consigli di classe o i gruppi di materia o progetto
o le nostre commissioni di lavoro. Se, ovviamente, altre fossero, dentro la
categoria, la consapevolezza dei traguardi comuni e la motivazione, e altro
l’assetto organizzativo a sostegno (figure di coordinamento responsabile) di
questo modo di fare scuola.
Ma la buona scuola parte male anche se il DS non impara a esercitare i suoi
poteri in termini di condivisione, coinvolgimento, di leadership diffusa.
Sciogliere ambiguità e incertezze
Questa visione complessiva, che la più avanzata
ricerca ha sviluppato e sperimentato da più di un decennio, non mi pare evidente
nel documento.
Qualche spia a conferma:
• nella proposta sui crediti, attraverso la scelta della soglia del 66% dei premiandi, si privilegia la competizione e non invece la dimensione collettiva dell’insegnamento e, più in generale, i comportamenti collaborativi,
• nell’idea di formazione obbligatoria si afferma – e questo è certamente positivo (molto) - che “un docente è il formatore più credibile per un altro docente”, ma non si parla dei vari gruppi di lavoro come di luoghi privilegiati della formazione e dello sviluppo professionale, attraverso il confronto e la riflessione comune sulle esperienze professionali,
• nella concezione delle funzioni e delle figure di coordinamento e collaborazione è assente l’idea di èquipe, funzionale ad una leadership educativa di scuola (e non emanazione del “capo”),
• nella nozione di protagonismo docente, pure evocato, mancano riferimenti a strumenti che lo rendano praticabile,
• nella idea di ds - a parte l’immagine del timoniere e l’enfasi sulla promozione della didattica e sul coordinamento della progettazione educativa - si ignora la dimensione del DS come promotore di modelli organizzativi in cui sia praticabile una leadership estesa e sia evidente soprattutto il suo ruolo di coordinatore delle diverse articolazioni collettive del fare scuola, di costruttore di ambienti e di efficaci condizioni di lavoro (ambienti cioè in cui la dimensione collegiale del profilo docente abbia modo di concretizzarsi e diventare produttiva).
In primo piano: cooperazione, coordinamento, rete
In altri termini, si ha l’impressione che la
visione complessiva trascuri l’idea di scuola in cui abbiano valore e peso non
secondario parole chiave come squadra, cooperazione, crescita
professionale come risultato di pratiche condivise.
Anche qui, qualche “spia” significativa: la parola cooperazione, in un
documento in cui le parole chiave si sprecano, non è presente. È presente la
parola collaborazione una sola volta, ma in un senso che non è proprio
quello dei ragionamenti che si stanno facendo qui. La parola
squadra
ricorre una volta sola, ma per indicare la squadra che il DS potrà
formarsi anche chiamando personale da altre scuole!
Lo stesso protagonismo degli insegnanti o è, in primo luogo e soprattutto,
protagonismo degli insegnanti come squadra ( o se si preferisce, come insieme di
squadre coordinate al loro interno e tra di loro), o non è. .
La dimensione
collettiva dell’insegnamento – va ribadito - è un must difficilmente
confutabile. Perciò va recuperata e fatta crescere, valorizzandola attraverso
specifici indicatori da prevedere nell’accertamento dei crediti.
È questa dimensione collettiva,
reticolare - più che collegiale nei termini con cui abbiamo declinato negli anni
questo termine - che può ridare un senso nuovo anche alla funzione e al lavoro
del DS.
Concludo e riassumo tutto con questa
considerazione: che
la buona scuola la fanno i buoni insegnanti, non però come singoli, ma come
squadra. E che dietro la buona squadra c'è sempre il bravo dirigente che
fa la differenza.
(Senza tralasciare comunque che la differenza la fanno anche una buona selezione
e formazione iniziale del personale e - Udite! Udite! - un buon contratto)