PavoneRisorse

LA BUONA SCUOLA OGGI: Documenti e interventi su  "Piano Renzi" (settembre 2014)

(20.02.2016)

Dirigente equilibrista? No: equilibratore e regolatore. Alcune riflessioni.
di Angelo Luppi

 

Un testo sul dirigente scolastico "equilibrista" ha ultimamente avuto un notevole rilievo in ambito scolastico, innescando un consistente dibattito sul valore della presenza in servizio dei dirigenti scolastici, visti, nelle varie realtà territoriali e scolastiche esaminate, sempre alle prese con molteplici problemi, di minima e di massima importanza. Il loro impegno, pur innegabile, viene assunto come poco strategico e molto contingente; da ciò la definizione di "equilibrista" che ha suscitato rimostranze da parte di vari dirigenti. Premesso che a mio avviso la definizione di Massimo Cerulo intendeva sintetizzare una situazione e non sminuire una funzione e chi la sta esercitando, mi sembra che le problematiche messe in luce dalla ricerca meritino un approfondimento capace di spingersi al di là dei malumori offesi. Chi ha avuto modo di leggere il testo ha certamente individuato il cuore concettuale della ricerca stessa e delle connesse riflessioni, ovvero la verifica della reale possibilità per i dirigenti scolastici di svolgere ad un tempo un ruolo manageriale ed un ruolo di leadership educativa. Il ruolo manageriale, anche se troppo spesso pressato dalle contingenze, verrebbe continuamente esercitato, quello di leader educativo solo a tratti, soprattutto in connessione con le emergenze disciplinari. Senza aggiungere lamenti a lamenti (e pur considerando che una ricerca aperta anche alle parti pomeridiane dell'impegno dirigente avrebbe magari colto interventi dirigenziali sull'educativo non gestiti in ufficio), resta comunque confermata e condivisibile la considerazione che la leadership educativa si ponga in condizione di cenerentola nell'ambito delle attività del dirigente scolastico.

Ciò premesso, ci sembra che vada necessariamente meglio approfondita la situazione sotto l'aspetto di alcune problematiche cruciali, comunque avanzate nel testo: delega, responsabilità dei delegati, organizzazione strutturata della scuola.

Nelle sue considerazioni l'autore fa riferimento alla scarsa propensione dei dirigenti verso la possibilità di delegare ad altri l'incarico di agire in campi e situazioni specifiche, strumento comunque previsto e disponibile nelle prerogative manageriali. Su questo aspetto, tuttavia, non sembra essere stata colta fino in fondo la debolezza intrinseca di questa soluzione, organicamente basata sul volontariato dei docenti e sulle loro disponibilità personali, precarie e mal retribuite. L'istituto della delega nella scuola, oggettivamente ed anche dal punto di vista del dirigente, è indebolito dalla circostanza che esso non allontana da questa figura le relative responsabilità in merito alle scelte ed alle eventuali azioni agite, a cascata, dai delegati, peraltro anche tendenzialmente inclini a non assumerle nelle incerte condizioni attuali. Resta nei docenti una convinzione generale: “«Eh, ma il Preside è sempre il Preside, quando c’è lui è meglio…»”, esemplarmente dichiarata, come citata nel testo, dalle parole di una insegnante. In queste condizioni l'esercizio delegato della leadership educativa non può che restare incerto ed infrequente; troppo spesso le problematiche rientrano di fatto al dirigente delegante da parte dei soggetti delegati.

Questo significa che non può essere sufficiente lavorare sulle predisposizioni (o sul coraggio) dei dirigenti, rispetto al delegare su specifiche questioni alcuni docenti in quanto volonterosi e disponibili, per rimuovere radicalmente questa situazione. Va invece realizzata una strutturazione delle figure professionali più consona alla situazione attuale delle scuole dell'autonomia, facendo riferimento a possibili e profonde modifiche di carriera e di ordinamento, quali una carriera docente tale da responsabilizzare anche figure od incarichi specifici e competenti su segmenti parziali dell'attività scolastica, tanto nell'organizzazione delle didattiche, quanto in quei campi organizzativi, legali, fiscali, di sicurezza che continuamente allontanano il dirigente dalla didattica. In questo contesto anche le reali competenze con cui si diventa Dsga andrebbero indagate e rese coerenti con la complessità dei compiti da gestire. Si tratta però di propositi a venire, ora la situazione resta ancora in sofferenza, data l'incompiutezza anche della legge 107 su questi terreni (attendiamo l'esercizio dei provvedimenti delegati) e le fortissime resistenze politiche e sindacali, legate a mitologiche visioni della scuola, rispetto ad alcuni passaggi di rinnovamento della nuova legge.

Ci sarebbe però da chiedersi se questo continuo lamento sull'insufficienza nell'esercizio di questa funzione educativa non sia in fondo anche la spia del fatto che ancora non si vogliono trarre le conseguenze reali e cogenti dei meccanismi di gestione e di indirizzo che la scuola autonoma, per forza di legge, ha assunto come assetto istituzionale in questi ultimi anni. La gestione della scuola riferita a comunità interne (studenti-insegnanti) ed esterne (stakeholder), tutte quante portatrici di legittime (non sempre per la verità) aspettative, forse non rende più possibile una funzione di leadership, se sostanzialmente ancora essa viene intesa come risolvente di tutte le possibili varianti formative. La scuola, un tempo molto più omogenea dell'attuale e sostanzialmente fondata sulle sole discipline e sulla richiesta di un buon comportamento personale, ora deve invece assicurare percorsi formativi plurimi, corretti ed efficaci nell'ambito dei saperi disciplinari, delle abilità esperienziali legate all'applicazione di quanto appreso, delle competenze trasversali connesse all'agire ed al relazionarsi nei vari contesti di vita ed infine deve anche corrispondere ai progetti educativi desiderati dalle famiglie, non sempre omogenei fra di loro ed alle sollecitazioni degli stakeholder ambientali. La multidimensionalità rispetto alla presenza di aspettative, di interessi di vita e di formazione spesso divergenti è quindi la cifra costitutiva della scuola attuale.

Da questo punto di vista, oltre ad obiettare sulla congruità del termine "equilibrista" utilizzato nel testo, che riporta ad una venatura negativa sulla operatività dei dirigenti, viene anche da chiedersi  quanto esso sia davvero appropriato nel descrivere i meccanismi reali con cui la scuola d'oggi si muove giorno per giorno. Più consono alla determinazione obiettiva del lavoro del dirigente attuale sarebbe invece definirlo da una parte come "equilibratore" nell'aspetto gestionale delle plurime richieste che deve vagliare e dall'altra come "regolatore" delle molteplici sollecitazioni educative, (compresa spesso l'inerzia e talora purtroppo anche una vera e propria incapacità ad operare), che invece si ritrova di fronte sul piano formativo. Non sappiamo se il binomio di riferimento attuale:  manager gestionale e leader educativo, potrebbe davvero andare ad eccellenza qualora fosse tradotto in manager equilibratore e leader regolatore, certamente però questo diverso binomio terminologico meglio contraddistingue le prassi dirigenziali attuali e meglio riconosce spazi d'autonomia anche alle volontà ed alle azioni progettuali e di docenza realizzate dagli insegnanti e/o proposte dalle famiglie e dagli stakeholder. Certamente queste due ultime definizioni non hanno il fascino di quelle precedenti, ma solo una congrua concettualizzazione delle situazioni può meglio fondare una prassi dirigenziale efficace; ma se si vuole altro, di più incisivo e meno controverso, occorre dare davvero ai dirigenti gli strumenti di gestione e di indirizzo adatti.

  torna indietro